siamo disposti ad amare ‘fino alla fine’?
articolo ripreso da portalecce
“Cosa significa amare fino alla fine? Forse, per noi è naturale comprenderlo conoscendo già come è andata a finire dopo quell’ultima cena di Gesù con i suoi discepoli e dopo che egli ha insegnato loro che essere suoi seguaci vuol dire abbassarsi fino al punto di lavare i piedi ai nostri fratelli più prossimi”.
È il commento dell’arcivescovo Michele Seccia al brano del vangelo proclamato ieri sera in una cattedrale gremita di fedeli per la Messa in Coena Domini. A concelebrare con il presule, il vescovo Cristoforo Palmieri, il vicario generale, mons. Luigi Manca e i canonici, mons. Antonio Montinaro con don Biagio Miranda, mons. Nicola Macculi e don Antonio Ingrosso. Il servizio liturgico è stato guidato da mons. Giancarlo Polito con la collaborazione di don Vito Caputo, parroco della cattedrale di Lecce. Per tutta la celebrazione, il canonico don Vincenzo Caretto, ha amministrato nel confessionale il sacramento della riconciliazione.
“Siamo noi capaci di amare nella prospettiva della morte in croce di Gesù? – si è chiesto Seccia nell’omelia -. Siamo in grado di farlo fino alla fine, fino in fondo, fino all’umiliazione, fino al servizio più mortificante? Con troppa facilità diciamo a chiunque ci è vicino, ‘ti voglio bene, ti amo’; ma fino a che punto siamo disposti ad amare se poi questo nostro amore non arriva dritto al cuore dei fratelli fino all’abbassamento, fino all’incarnazione del suo dolore, della sua sofferenza, fino alla lavanda dei piedi?”
“Gesù ce lo insegna. Ha lavato i piedi anche a chi sapeva che lo avrebbe tradito. Sarebbe stato troppo facile servire soltanto quelli che gli volevano bene. Invece lava i piedi anche a Giuda. Lavare i piedi vuol dire entrare in una relazione profonda con chi ci sta di fronte. Proprio come ha fatto Lui: in relazione con i suoi, in relazione con noi, con ogni battezzato. Oggi, Egli ci chiede di incarnarci nella storia della comunità in cui siamo inseriti perché la fede non è solo la professione di un ‘Credo’ ma è carità incarnata. Fede professata e carità incarnata è ciò che il vangelo ci chiede di fare e di vivere”.
“Stasera facciamo anche memoria del Cristo che si consegna alla storia e all’umanità di ogni tempo e di ogni luogo per rimanerci per sempre. L’Eucarestia è tutto questo. E accostandoci alla comunione, noi riceviamo davvero il suo corpo e il suo sangue dati per noi. Entriamo in comunione con quel Cristo appeso alla croce e risorto. Ecco perché ricevere l’Eucarestia è la più grande gioia sacramentale, spirituale, di intimità, d’amore… Ma mentre Gesù si consegna nell’Ultima Cena, c’è già chi lo tradisce: posso essere io, può essere il diacono, può essere il papà, la mamma… Tutti noi peccatori lo tradiamo ogni qualvolta rompiamo quella comunione sacramentale e reale che stabiliamo con lui durante ogni celebrazione eucaristica”.
“È l’esperienza della misericordia che ci rimette in carreggiata e in comunione con il Signore. Facciamolo in questa Pasqua: riconciliamoci con Lui e tra di noi, mettiamo sotto i piedi le superbie e gli egoismi e scegliamo di risorgere con Lui”.
Dopo l’omelia, l’arcivescovo si è cinto di un grembiule e, come Gesù, ha lavato i piedi a dodici rappresentanti della comunità: una religiosa. due consacrate dell’Ordo Virginum, una catechista, un bambino, due diaconi, una famiglia con un bimbo neonato, un volontario e un ospite della Casa della carità. Presenti alla messa anche i cavalieri e le dame dell’Ordine del Santo Sepolcro.
“Signore, questa chiesa, stasera è il nostro cenacolo – così inizia la preghiera spontanea con cui l’arcivescovo ha chiuso l’omelia -. Con te partecipiamo all’Eucarestia come se fosse la prima, come se fosse l’unica, come se fosse l’ultima volta… Perché ogni incontro con te ha il sapore dell’eternità, ha il valore dell’intimità, ha il valore della povertà di spirito. Solo grazie a te: grazie per questo tuo umile esempio di libertà dal potere con il quale ti sei chinato fino a diventare schiavo e servo dei tuoi discepoli. Fa che anche noi che ti abbiamo scelto come Signore della nostra vita, possiamo imparare a servire gli altri: nella chiesa come in famiglia, nella società come nelle associazioni, nelle relazioni di lavoro come nelle relazioni di amicizia. Allora potremmo dirci veramente testimoni credibili del tuo Vangelo e dell’esempio che tu ci hai dato. Questa sera ti chiediamo ancora di accompagnaci in questi giorni e a mantenere concentrati i nostri pensieri e il nostro cuore sul dono d’amore, sulla tua passione e la tua morte. Aiutaci a vivere con te le nostre piccole o grandi esperienze di dolore, sia spirituali che fisiche e aiutaci a viverle come passaggi d’amore offerti ai fratelli per amor tuo. Cammineremo con te e potremmo fare anche noi un giorno festa con te quando ti contempleremo faccia a faccia per sempre. Amen”.
Al termine della messa l’arcivescovo, accompagnato dai concelebranti, dai diaconi e dal servizio liturgico, ha portato il SS. Sacramento nell’altare della reposizione e in tarda sera ha presieduto la veglia di preghiera. Stasera alle 18, mons. Seccia presiederà in cattedrale l’azione liturgica della Passione del Signore con la liturgia della Parola, l’adorazione della Croce e la comunione sacramentale e, alle 19,30, guiderà la processione del Cristo morto e della Desolata (LEGGI) che dalla chiesa di Santa Teresa si snoderà per le vie del centro storico. Al ritorno, l’arcivescovo proporrà una breve riflessione e concluderà la serata con la benedizione dal sagrato della rettoria di Via Libertini.
Racconto per immagini di Arturo Caprioli.