la ri-partenza ha il volto e il nome della speranza
articolo ripreso da portalecce
La piazza del Duomo non è gremita di folla che attende esultante i simulacri dei santi patroni che, benedicenti, toccheranno alcune vie della città per la annuale processione.
L’arcivescovo Michele Seccia ha però scelto il cuore della città e della diocesi per dare il via ai festeggiamenti dei santi Oronzo, Fortunato e Giusto e, da lì, dare il tradizionale MESSAGGIO ALLA CITTÀ , il tutto in DIRETTA su Portalecce e Telerama.
La pandemia in corso vuole, per tutti nessuno escluso, il rispetto di alcune regole che quest’anno vietano il consueto itinerario processionale e conferiscono ai giorni della festa una colorazione prettamente liturgica.
Ne è consapevole l’arcivescovo: Questa sera – ha esordito Seccia –, le statue dei nostri santi, come ogni 24 di agosto, erano pronte per essere portate in processione; purtroppo la situazione che stiamo vivendo suggerisce cautela e prudenza ma, siamone certi, se stasera apriremo le porte, Oronzo, Giusto e Fortunato entreranno nelle nostre case, visiteranno la nostra vita, le nostre famiglie e, come buoni samaritani, cureranno le nostre ferite. Il virus, che ancora oggi sta contagiando il mondo, ci ha fatto scoprire chi siamo davvero donne e uomini fragili, poco preparati ad affrontare le avversità, a rispondere adeguatamente e in tempi brevi alle catastrofi, anche se molto avanzati nella conoscenza scientifica. Più volte in questi mesi siamo stati tutti richiamati al senso di responsabilità che dovrebbe essere patrimonio di ogni persona”.
Ecco perché non occorre ritenersi immuni da tale contagio, bensì agire in maniera prudente, a cominciare da quanti, nei mesi del lockdown, sembravano essere intoccabili dal virus: i giovani.
Continua il presule: “soprattutto ai giovani che nelle ultime settimane sembrano essere diventati i principali diffusori del contagio e che tra qualche settimana speriamo possano tornare a scuola in sicurezza e in serenità. Ragazzi miei, non vi chiedo di rinunciare al divertimento. Vi invito invece a divertirvi senza rischiare, senza essere un pericolo per voi stessi e per i vostri amici. Siate fecondi collaboratori di un dialogo che va oltre il rispetto delle norme e oltre ogni sterile moralismo. Io stesso sono il primo ad accettare le critiche ma vorrei anche essere il primo a ricordarvi da padre che nessuno di noi oggi è fuori pericolo. Le immagini delle bare sui carri militari, le storie dei medici, degli operatori sanitari e dei sacerdoti che ci hanno lasciato nei mesi scorsi solo perché colpevoli di aver fatto il proprio dovere, appartengono ad una triste parentesi della nostra vita a cui manca la parola fine. Perché dobbiamo continuare a scrivere racconti di dolore, di paura, di morte?“.
I santi patroni, anche in questa festa inusuale non mancano di ricordare a tutti che, il segreto della santità cui ogni cristiano è chiamato ad anelare, risiede in un processo di dono-resa; la vita è donata da Dio e il discepolo che lo ama non può non ri-renderla al suo Dio in un evento che si chiama martirio, non per forza estremo a causa della effusione del sangue.
Bella l’attualizzazione del pastore salentino: ” lì, in cima al nostro campanile, dall’alto del cielo dove abita al cospetto della Trinità, Oronzo mostra fiero la palma del martirio e sembra volerci ricordare, da una posizione visibile da tutta Lecce, che il dono della vita a motivo della fede è la più alta forma di gratitudine verso il Creatore e Padre di tutti noi.
Martirio, cari miei è consegnare totalmente la nostra vita nelle mani di Dio, affidare a lui le nostre gioie e le nostre fatiche, essere certi che tutte le nostre sconfitte quotidiane, le incomunicabilità tra marito e moglie, i tradimenti, le discussioni tra un padre e un figlio, le liti tra fratelli, le incomprensioni tra un vescovo e i suoi preti, le preoccupazioni quotidiane, persino le maldicenze che ci feriscono – come anche la paura del contagio che in questi mesi accompagna la vita di tutti noi – sono i piccoli martirii cui il Signore ci chiama ogni giorno. Essi vivono nel suo cuore e sono in mani sicure. Forse, alcuni quando pensano ai nostri santi patroni li immaginano come se fossero eroi. Non è così: essi non sono fuggiti di fronte alla morte non perché erano super uomini ma perché sono stati conquistati dal Signore e hanno riposto nel cuore dell’Amato tutta la loro fiducia. Hanno consegnato la loro vita – fino all’effusione del sangue – nelle sue mani. Proprio come succede tra due sposi fedeli. Proprio come succede per i genitori verso un figlio: sono pronti a tutto per amore. Proprio come dovrebbe succedere per ogni innamorato di Dio. È qui il fulcro di ogni martirio e, direi, è qui il senso della vita di ogni credente. Ecco perché alla base di ogni atto di fede, all’origine del nostro stesso battesimo, c’è un atto d’amore“.
Ci si riconosce amati solo se ci si lascia convertire; la fase pandemica, al dir del vescovo, ha colto tutti alla sprovvista ma ha consegnato al mondo cristiani meno egoisti e più evangelici perché condivisori.
Ancora Seccia: “se la pandemia non è servita a farci cambiare prospettiva, insegnandoci l’essenzialità della vita, sarà stata un’esperienza inutile, un tempo semplicemente da cancellare. Invece no, anche la pandemia potrà diventare provvidenza se saremo capaci, una volta per tutte di cogliere i segni dei tempi per diventare migliori. Quando sarà passata, oltre a rimanere nella nostra memoria come un brutto ricordo, sarebbe utile che restasse pure come un’esperienza di conversione dell’uomo e del credente che è in noi. Siamo pronti a convertirci a Dio? Oronzo lo fece con coraggio e senza freni inibitori qualche millennio fa. Ora tocca noi. […] Insieme, sulla stessa barca. Non è una parola magica. È il senso vero del nostro stare qui. Ed il segreto del nostro voler ri-partire. Per tutto il lungo lockdown, insieme, sulla stessa barca, nel mare in tempesta, abbiamo riscoperto l’amore vicendevole, declinazione evangelica della più laica “solidarietà”. Sarà stata la paura della malattia e della morte? Non so darvi una risposta certa. Ciò che è certo, invece, è che quando crollano le nostre smanie di onnipotenza, diventiamo tutti più buoni, diventiamo cercatori di Dio”.
Mai come in questo terzo millennio inoltrato, Cristo provoca il desiderio di santità dell’uomo, bussando al suo cuore nelle vesti del migrante, del privato della propria dignità.
È qui, che il vescovo sprona tutti ad avere uno sguardo di fede in grado di accogliere il Signore che divinamente fa irruzione nella vita dell’uomo.
Esaltante il paragone di Seccia: “siamo insieme, sulla stessa barca, con i nostri fratelli migranti. Mi unisco anch’io all’appello del mio fratello vescovo di Nardò-Gallipoli e figlio di questa Santa Chiesa di Lecce, don Fernando Filograna, intervenuto nei giorni scorsi per ricordare a tutti noi, dopo lo sbarco di 80 fratelli disperati a Porto Selvaggio che anche ogni povero che approda sulle nostre coste è sulla nostra stessa barca. E nemmeno la paura del contagio, che sembra essere diventata il nuovo alibi di tanti profeti di sventura, potrà mai dispensarci dal vivere il comandamento dell’amore che è l’arma vincente di chi vuole diventare profeta di speranza”.
“E la speranza – ha proseguito – per la nostra Chiesa locale si è trasformata da gennaio a giugno in gesti concreti d’amore fraterno. Un numero per tutti segna il cammino della nostra ri-partenza: 28mila pasti distribuiti in sei mesi nelle mense della Casa della carità e di Santa Rosa e poi tanta, ma proprio tanta generosità da chi meno ce l’aspettavamo. Nelle prossime settimane la speranza assumerà anche il nome di “Fondo San Giuseppe”. È la nuova sfida della nostra Chiesa di Lecce che presenteremo a breve. Si tratta di un fondo al quale ciascuno potrà destinare il proprio contributo: i privati, le aziende, le raccolte delle parrocchie e delle associazioni laicali… La Caritas non distribuirà denaro ma, dopo aver intercettato le offerte di lavoro del nostro tessuto imprenditoriale, offrirà a chi purtroppo è rimasto senza lavoro per via della pandemia, l’opportunità gratuita di riconvertirsi professionalmente attraverso percorsi di formazione che mettano i nuovi poveri nelle condizioni di poter ricominciare”.
Entrare in questo dinamismo consentirà alla comunità diocesana di Lecce di riscoprirsi annunciatrice di speranza e così sarà davvero la festa di un popolo che si sentirà più credente perché più innamorato di un Cristo che ha stravolto la propria vita.
Photogallery di Arturo Caprioli