Sant’Oronzo, la statua della piazza. Sulla colonna l’opera settecentesca di Mauro Manieri/2

Sant’Oronzo, la statua della piazza. Sulla colonna l’opera settecentesca di Mauro Manieri/2

articolo ripreso da portalecce
e scritto da Andrea Pino

La statua di Sant’Oronzo fu quindi realizzata a Venezia da una bottega d’arte specializzata, la quale non solo seguì il modello fornito da Mauro Manieri, ma si attenne scrupolosamente alle sue indicazioni, riguardo a misure e materiali da utilizzare.

 

 

 

Manieri, inoltre, ebbe sicuramente un ruolo nelle complesse operazioni di sollevamento e di fissaggio della statua sulla colonna. Tra l’altro, appena un anno prima, in qualità di architetto-ingegnere, aveva portato a termine i lavori del vasto controsoffitto, in cartapesta e legno, della chiesa di Santa Chiara a Lecce.

Si può ben affermare che la statua di Sant’Oronzo, in ragione anche della committenza e della destinazione d’uso, rappresenta il punto più alto della produzione scultorea di Manieri.

Il santo vescovo, vestito con abiti pontificali, orienta il suo sguardo fermo e sereno verso la piazza, e mentre con la mano sinistra tiene saldamente il pastorale, con la destra, con gesto ampio e deciso, estende al popolo e al territorio la sua benedizione.

Il confronto stilistico va naturalmente alle due sante francescane della chiesa di San Francesco, la Beata Michelina e Santa Elisabetta, e non alla Santa Irene, della chiesa omonima, troppo lontana nel tempo.

Si riscontra nel simulacro di Sant’Oronzo e in quello delle due sante, la stessa gestualità naturale, la stessa empatia che viene a crearsi tra la figura del santo e lo spettatore e, soprattutto, la stessa leggerezza e libertà delle forme scultoree.

Quest’ultimo carattere, evidente negli ampi svolazzi del piviale, che sembra da più parti gonfiato dal vento, e nello sventolio della stola, non sarebbe compatibile con un prototipo in terracotta (come il primo modello, descritto da Piccinni), ma con un modello in cartapesta, tecnica che, sul finire degli anni Trenta, Manieri predilige e padroneggia appieno.

Si può ragionevolmente sostenere che Manieri mandò a Venezia proprio un modello in cartapesta. Resta un’ipotesi, ma un’ipotesi che non può essere scartata. D’altronde il procedimento è analogo: struttura di sostegno in legno, rivestita da lamine di rame in un caso, da strati di carta nell’altro.

L’elemento più significativo della statua, però, il punto focale in cui si concentra tutto il suo valore espressivo, è il gesto del braccio destro proteso in avanti, con le tre dita della mano aperte. Esso non rappresenta semplicemente il consueto atto del benedire.

Quel gesto è lo stesso che, in epoca romana, i consoli, i generali, gli imperatori compivano davanti al popolo, al senato o all’esercito, per richiamare l’attenzione, prima di pronunciare un discorso importante o solenne. La rappresentazione dell’adlocutio o allocutio (allocuzione) è frequente nella scultura romana, ma anche nelle monete e nei rilievi di soggetto storico: l’Aulo Metello, in bronzo (90 a.C. circa), l’Augusto di Prima Porta, in marmo (12-8 a.C.), la statua equestre di Marco Aurelio, in bronzo dorato (161-180 d.C.), solo per citare alcuni esempi noti.

La profonda cultura classicista, di cui Manieri si era nutrito fin da ragazzo, ci porta a pensare che la scelta di quel tratto espressivo, autorevole e rassicurante insieme, non fu affatto casuale.

Condividi questo post