Il ‘battesimo’ di ‘Mater Terra’. Il vino da messa di Apollonio e il plauso del card. Semeraro

Il ‘battesimo’ di ‘Mater Terra’. Il vino da messa di Apollonio e il plauso del card. Semeraro

articolo ripreso da portalecce

Esiste un legame indissolubile tra Chiesa e vino, “simbolo di amicizia e fedeltà a un segno di nostro Signore”.

 

 

Così stamattina il card. Marcello Semeraro a proposito del Mater Terra, negroamaro passito rosso Salento IGP della Cantina Apollonio di Monteroni, divenuto a tutti gli effetti “vino da messa”, ovvero autorizzato per le celebrazioni eucaristiche nelle chiese dell’arcidiocesi di Lecce come stabilito nei mesi scorsi dall’Ufficio liturgico diocesano (LEGGI pdf).

Il vino è stato presentato presso la Sala del Trono del Palazzo arcivescovile di Lecce durante una conferenza stampa cui hanno preso parte, oltre ai produttori, il card. Semeraro, l’arcivescovo Michele Seccia, Giuseppe Baldassarre, componente del Consiglio nazionale dell’Associazione italiana sommelier, la scrittrice Giovanna Politi, il giornalista Loris Coppola in qualità di moderatore.

“Un vino su cui io non intervengo in alcun modo – ha spiegato scherzosamente in apertura Massimiliano Apollonio, l’enologo che con il fratello Marcello conduce la cantina dove il Mater Terra si produce -. Fanno tutto il sole, il mare e il vento del Salento, con i grappoli ad appassire direttamente sulla pianta e nessun lievito selezionato, nessuna filtrazione”. Un prodotto che insomma combacia appieno con i requisiti imposti dal diritto canonico, che privilegia la scelta di un vino “naturale, del frutto della vite e non alterato”. Idoneità che l’Ufficio liturgico diocesano di Lecce si riserva di verificare periodicamente perché il vino “rimanga sempre conforme al diritto canonico”. 

Dal punto di vista organolettico, il Mater terra è un vino di colore rosso rubino, con riflessi granati e profumi intensi, corposo ma bilanciato, con un bouquet aromatico ricco e persistente. “Ringrazio i fratelli Apollonio per il grande dono che fanno alla comunità e alla celebrazione della santa liturgia dell’Eucarestia, fonte e culmine della vita della Chiesa” – il commento dell’Arcivescovo di Lecce Michele Seccia -. Già da vescovo della diocesi di Teramo-Atri mi sono fatto promotore nell’Anno della Misericordia (il 2015)  di un’iniziativa analoga. Io stesso avevo proposto l’immagine dell’etichetta, la ‘Resurrezione di Cristo’, un affresco opera del pittore rinascimentale Andrea di Litio, custodito nella concattedrale di Atri. Il vino si chiama Cotto d’amore, frutto genuino dell’uva di Montepulciano d’Abruzzo prodotto da un’azienda di Montorio al Vomano. Ogni anno, ancora oggi, me ne inviano una piccola fornitura per la mia cappella privata”. Un ricordo indelebile per l’arcivescovo, e d’altronde “benedire qui a Lecce, insieme con il card. Semeraro, il lancio di questo nuovo vino da messa, non solo mi fa tornare indietro nel tempo ai ricordi del mio episcopato nella Chiesa teramana, una comunità che mi rimarrà per sempre nel cuore.  Soprattutto, infatti, mi inorgoglisce il fatto che, da oggi in poi, anche da Lecce parta un vino elevato alla dignità di frutto della vite, vino in purezza adatto per il sacrificio eucaristico. Un dono grande per i credenti”.

Il card. Semeraro, prefetto del Dicastero delle cause dei santi e amico della famiglia Apollonio da lungo tempo, ha concluso con cenni scherzosi frammisti a considerazioni più profonde la conferenza stampa: “Partecipo a quest’incontro con grande tranquillità, cosa che non avrei potuto fare se fossi ancora vescovo di Albano –  diocesi in cui insiste Marino, ‘dove le fontane buttano vino’ – o di Oria, dove il vino ‘d’ordinanza’ è il Primitivo di Manduria ha sottolineato il porporato ricordando come quest’ultimo sia a tutti gli effetti il vino più diffuso in Polonia, dove si è recato per alcuni riti di beatificazione”.

Semeraro ha inoltre ricordato le sue origini monteronesi e il paese natìo, “dove nei primi giorni di settembre era tutto un ribollire di vino e dove io stesso bambino ‘stumpavo’ l’uva”, ma pure i significati simbolici e religiosi di un nettare “che dà il senso della fedeltà alla storia e alla parola amicizia”. Come pure l’idea che Cristo, legando l’Eucarestia al pane e al vino, abbia voluto invitare i suoi fedeli alla lietezza: “Non si sopravvive senz’acqua, si può vivere senza bere vino. Ma Gesù non voleva che i suoi discepoli sopravvivessero, bensì che fossero felici e contenti. Perché, se manca il vino, manca la gioia”. 

 

Photogallery di Arturo Caprioli.

 

 

 

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