sacerdoti e diaconi a scuola di sinodalità
articolo ripreso da portalecce
Possiamo definire il prossimo incontro di formazione permanente del clero (presbiteri e diaconi), che si terrà dal 7 al 9 di settembre prossimi presso la sede dell’Issrm di Lecce (ex nuovo seminario), un vero e proprio «esercizio di sinodalità».
Si è voluto dare unanimemente, da parte del clero, questo stile sinodale, proprio in quanto stile, che non è costituito da procedure standard da applicare ma è una disposizione permanente, aperta e dinamica, a vivere e operare insieme nello spirito di comunione, collaborazione e corresponsabilità. Non esiste la formula magica della sinodalità, ma ciò che conta è invece proprio questo spirito che per noi è spirito ecclesiale, che la anima, la promuove, la sostiene.
Proprio in quanto stile, non è neppure un semplice ideale, un insieme di auspici che rischiano di rimanere retorici, ma consiste nel mettersi all’opera assumendo determinati atteggiamenti e avviando determinati processi.
Uno stile sinodale è un dinamismo aperto, che chiede perciò di essere coltivato e alimentato. Si cresce nella sinodalità esercitandola, si capisce meglio in cosa consiste cominciando a lavorare e a confrontarsi insieme sulle questioni concrete delle nostre comunità.
Tale esercizio della sinodalità comporta due profili: la prospettiva della concretezza, dove si intrecciano insieme il coraggio del proporre, l’intelligenza del ricercare e del capire, la cura dell’ascolto, la fatica dell’operare, la pazienza dell’attesa, la creatività del costruire; e la prospettiva dell’alleanza, dove l’incontro e la comunicazione profonda con l’altro diventa strada di continua umanizzazione.
In primo luogo, il metodo della sinodalità, semplice nella sua idea e articolato nella sua realizzazione, ci dice l’importanza di alcune caratteristiche di base del lavorare insieme: promuovere idee, riflettere, dare a ciascuno la possibilità di parlare, darsi il tempo per l’ascolto e il confronto, mettere insieme le idee e le proposte. Non possiamo costruire sinodalità con riunioni affrettate, o invitare le persone chiedendo loro soltanto di ascoltare una relazione.
Occorre permettere a tutti di capire su che cosa si sta lavorando e dove si sta andando. Occorre che sia chiaro il senso del lavoro, è importante che vi sia cura anche alla strutturazione degli spazi. È difficile, ad esempio, confrontarsi senza potersi guardare in faccia. Perché, poi, confrontarsi intorno a un tavolo di lavoro per molte ore? Non certamente per lamentarsi, non per chiuderci in noi stessi, ma per dare concretezza a ciò che più è proprio della sinodalità, ossia il discernimento circa la verità, ossia il non avere paura di guardare la realtà delle nostre comunità parrocchiali, dei nostri territori, della società in cui viviamo; la complessità, cioè la bella fatica di cogliere la pluralità di elementi che concorrono a determinare la realtà, lontano da banali semplificazioni; la speranza, vale a dire il leggere la realtà nella sua complessità nella consapevolezza credente che lo Spirito è all’opera; la progettualità, che è tensione pratica a diffondere il bene. Infatti, la progettualità comporta la fatica di scegliere, di lasciare da parte alcune cose, di osare il nuovo.
È desiderio comune: vescovo, presbiteri e diaconi fare insieme la strada dialogando.
Dialogare è «narrarsi». Il dialogo non è, dunque, costituito anzitutto da parole o da pensieri, ma dal dono di se stessi, di qualcosa che inerisce all’intimo delle persone. Rivelarci all’altro è donare noi stessi, è condividere i nostri sentimenti, i nostri bisogni, i nostri progetti.
Dialogare è costruire insieme i «significati». Come tra “stranieri”, il dialogo è un punto di arrivo, non un punto di partenza. Per questo è necessario pazientemente lavorare insieme nel costruire una base comune di comprensione e condivisione fatta di frequentazione e rispetto in cui deve essere chiaro a tutti che il tempo è superiore allo spazio.
Questo stile sinodale di stare in ascolto dello Spirito per condividere, raccontare e ripartire insieme, serva a ravvivare la gioia di essere presbiteri e diaconi a servizio delle nostre comunità.