Intervista a Mons. Sgreccia

Intervista a Mons. Sgreccia

Mons. Sgreccia, può tracciare, sia pure per grandi linee, il panorama culturale entro cui si inseriscono le sfide della bioetica?

Le sfide della bioetica si collocano nel clima della secolarizzazione. Sono posizioni che vanno dal 500 ad oggi e che si sviluppano su tre livelli ancora oggi coesistenti. Il primo livello coincide con l’esaltazione delle attività e dei valori umani (ragione, amore umano, scienza, politica) senza negare Dio, anzi per glorificare il Creatore. In questa prima fase vi è coincidenza con la prassi cattolica; erano teorie che non volevano mettere Dio in ombra, anche se vi era entusiasmo per le attività umane. Il secondo passo fu l’affermare una distinzione tra le varie scienze umane e anche una separazione delle scienze umane della teologia: la politica separata dalla morale, la scienza dalla teologia. Questo creò maggiore ambiguità, perché, mancando l’unità del sapere, certamente la condotta umana veniva ad essere disarmonica. Anche qui il concetto di Dio non veniva messo in discussione, se non perché la sua immagine veniva trasformata. Un esempio ne è l’illuminismo, che concepisce Dio come grande architetto ma che lo identifica con le realtà autenticamente umane (la ragione, la volontà, ecc.). La terza fase è quella della cosiddetta intronizzazione dell’Io, per cui il centro delle scelte è l’Io e vi è la morte di Dio. Ricordo i primi anni 80 quando comincia ad affermarsi l’idea che l’etica non ha nessuna verità e oggi ha portato alla bioetica senza Dio.

Essa sostiene che se c’è l’Io che sceglie che si autodetermina, che decide di sé, allora non c’è più posto per Dio ; di conseguenza,  la parola centrale diventa l’autonomia. Questo è anche un vocabolo che ricorre nel manifesto per l’eutanasia del 1984: l’Io è autonomo e si trova a decidere da solo della propria vita e anche della propria morte, attraverso la proposta del testamento di vita.Questa possibilità lascia però l’Io in balia di se stesso. L’Io e la ragione ne risultano indeboliti, perché essi non soltanto non hanno voglia di cercare il trascendente e l’assoluto, ma risultano assolutamente incapaci di regolare loro stessi nel quotidiano. Questo porta a un fallimento di Dio ma anche fallimento del con fine tra bene e male. Ritroviamo tali posizioni nel contrattualismo e nell’utilitarismo, che non prevedono valori oggettivi per definire il bene. In queste accezioni, è bene ciò che è utile, in quelle circostanze, nella maggioranza, secondo ciò che è necessario nelle diverse situazioni.

La cultura contemporanea presenta soltanto criticità o sono riscontrabili delle aperture?

Indubbiamente vi è una rivendicazione da parte di forze che, anche se sono minoritarie, sono degne di rispetto e foriere di speranza quando affermano la dignità della persona umana nella sua pienezza e primato, sia di fronte alla società, sia di fronte ai doveri di rispetto, accoglienza e difesa della singola persona, riconosciuta come tale dall’inizio alla fine. E’ lo sforzo della nostra cultura e delle nostre scuole, che pur vivendo in tempi di relativismo, si confrontano con tali problemi e propongono soluzioni garantite dal rispetto della persona, che è un valore oggettivo e non soltanto soggettivo e va rispettato anche in chi non ha la lucidità e si trova vicino alla morte. E’ un valore trascendente che non si esaurisce nella realtà temporale, trascende il momento terreno.

Prima l’aborto, poi l’eutanasia, poi l’ingegneria genetica: quali sono oggi i nuovi ambiti di impegno per la bioetica ?

Il fronte tutt’ora aperto è sia nella fase iniziale (concepimento e nascita) che finale della vita ( il malato morente. Nel momento della vita nascente ci sono nuovi mezzi e nuove vie per l’aborto che, in virtù di tali strumenti, sta rischiando di diventare un fatto privato, al di là della stessa legge 194. Un esempio è la diffusione delle pillole intercettive o che impediscono l’impianto dell’ovulo fecondato e che   porta il feto alla morte. Il problema è aggravato dal fatto che la decisione di somministrare questo farmaco è affidata alla donna o al medico. Quindi ricade nell’ambito della decisionalità privata. Questo rende indifesa la persona nella giovane età o nelle situazioni di fragilità, poiché di fatto si traduce in una pratica che  priva questi soggetti del sostegno della legge. Questa è una prevaricazione provocata dal mercato farmacologico, che è interessato ai guadagni economici associati  a questi farmaci. L’altro versante è quello dell’eutanasia. Anche in questo caso la fonte dei problemi è un atteggiamento fondato sull’utilitarismo,  perché il fenomeno trova la sua giustificazione non nel fatto di provocare la morte anticipata per non far soffrire il paziente, ma nel tentativo di ridurre le spese di assistenza da parte dello stato. Il rispetto della vita in se stessa nel momento fragile viene negata.

Accanimento terapeutico e eutanasia. Quali gli elementi di novità introdotti nell’analisi del problema dalla dottrina morale cattolica?

Avendo alla base la dignità della persona, intesa in senso oggettivo e non soggettivo, e che riguarda anche i momenti di incoscienza del soggetto, il criterio affermato dalla dottrina cattolica è quello della proporzionalità. Niente accanimento, né eutanasia. Vi è, invece, una terza strada: date le terapie e le cure di sostegno, anche quando la morte si avvicina, perché esse sono un atto di rispetto della persona. Quando il paziente è “competente” (è in grado, cioè, di valutare e di decidere), la terapia va concordata tra lui ed il medico, sempre tenendo presente che essi gestiscono in quel caso un valore non mercanteggiabile. In ogni caso, di fronte ad esiti incerti e spinosi non c’è obbligo: il paziente può decidere se affrontare il rischio oppure non affrontarlo; in questo vi è il rispetto della persona.

Quali sono le responsabilità della  famiglia rispetto alla tutela della vita?

La famiglia deve assistere il familiare nel momento dell’aggravamento e dell’avvicinarsi della morte, senza imporre decisioni alla coscienza del paziente,  né fare violenza alla coscienza del medico. Il rapporto medico-paziente rimane comunque l’asse centrale. La famiglia è in supporto ed in aiuto, ma non può sostituirsi a questa relazione.

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