solo dal silenzio può nascere l’ascolto

solo dal silenzio può nascere l’ascolto

articolo ripreso da portalecce

Nel chiostro dell’antico seminario in Piazza Duomo a Lecce si è tenuto ieri sera l’incontro con mons. Dario Edoardo Viganò, nell’ambito dei “Dialoghi al pozzo” promossi dall’Ufficio delle comunicazioni sociali dell’arcidiocesi di Lecce in collaborazione con Portalecce.

 

 

 

Prefetto della Segreteria per la comunicazione della Santa Sede dal 2015 al 2018, prim’ancora presidente della Fondazione Ente dello spettacolo e direttore della Rivista del Cinematografo, mons. Viganò è vicecancelliere della Pontificia Accademia delle scienze e della Pontificia Accademia delle scienze sociali ed è autore di numerosi libri e articoli dedicati al rapporto tra cinema e mondo cattolico.

“Ascoltare con l’orecchio del cuore” è stato il tema dell’incontro voluto in vista della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali e trasmesso in diretta da Portalecce Tv (GUARDA). “È la cenerentola delle Giornate mondiali, eppure è l’unica Giornata voluta dal Concilio Vaticano II – ha esordito mons. Viganò”. Nella sua relazione – introdotta dal giornalista Adelmo Gaetani, già vicedirettore del Nuovo Quotidiano di Puglia – il prelato ha affermato che “silenzio non è in contrapposizione a parola e viceversa, il dire non è in contrapposizione all’ascoltare e l’ascoltare non è in negazione del dire. È possibile comporre voce e silenzio, parola e ascolto, perché senza il silenzio che crea la capacità di ascolto e di ascoltare, inevitabilmente, anche la parola è decretata alla morte, perché non trova accoglienza. Proprio nelle sacre scritture viene ricordato che c’è un tempo per parlare e un tempo per tacere. Una massima da scrivere ancora oggi in molti luoghi anche ecclesiastici, invertendola: c’è un tempo per tacere e forse anche eventualmente un tempo per parlare. Il silenzio è, quindi, quell’atteggiamento che fa nascere l’ascolto, la disponibilità a una parola nei confronti della quale investire affettivamente ed esistenzialmente. Allora si comprende davvero la pagina del vangelo di Luca in cui Gesù dice: mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la Parola di Dio. L’identità della comunità cristiana si radica sull’ascolto e non può essere ispirata a una dinamica dell’ascolto passivo, perché esso è noioso e frustrante e non cambia la vita“.

Sempre mons. Viganò ha poi avvertito che per ascoltare con l’orecchio del cuore bisogna fare tre cose. “Ascoltare tanto. Se il Papa parla di martirio dell’orecchio è perché oggi noi non ascoltiamo più niente. Un buon giornalista, un operatore dei media come ogni buona persona devono imparare ad ascoltare. È molto faticoso, tant’è che Dio ci ha dato due orecchie e una bocca sola, perché è molto più faticoso ascoltare che parlare.

Poi occorre approfondire, per trovare i motivi contrari ai nostri presupposti. Ciò vuole dire andare alla ricerca degli aspetti che sostengano una propria tesi o un proprio presupposto, ma significa cercare anche gli aspetti contrari alla propria ipotesi, ricordando la lezione di Popper.

Infine, bisogna raccontare. Nel racconto non si nasconde mai il punto di vista e non si mistifica mai quella posizione che, pur manifestandola, non deve mai bloccare il lettore ma deve lasciarlo libero di aderire o meno. Papa Francesco ha recentemente citato un libro “Il duologo, la vita del dialogo” di Abraham Kaplan, edito da Morcelliana, la cui edizione italiana è stata curata da un ricercatore di filosofia morale presso l’Università del Salento, Giovanni Scarafile, che è stato menzionato dallo stesso Pontefice. “In molti dialoghi noi non comprendiamo affatto. Stiamo semplicemente aspettando che l’altro finisca di parlare per imporre il nostro punto di vista e quando questo avviene anzicché il dialogo c’è il duologo, ciò che non presuppone all’ascolto”.

Infine, una considerazione sul rapporto tra mondo cattolico e mass media. “Le più alte espressioni in questo settore sono quelle preconciliari. Tra il 1945 al 1960 la San Paolo Film produce 270 cinegiornali intitolati “Roma nel mondo”. Non sono documenti ufficiali del Vaticano, ma sono molto ufficiosi perché di fatto costruiti con molti sacerdoti. Ci sono le iniziative dei cattolici nel mondo e ciò che fa il Pontefice, tradotti in cinque lingue; siamo negli anni Cinquanta e cinque lingue non sono poche. Tra le altri, si racconta anche, per esempio, su cosa fanno i missionari in Alaska, in un filmato girato su pellicola. Nel 1955 c’è un cinegiornale che racconta delle suore paoline che preparano le borse con libri e fascicoli e vanno nelle case, nelle fabbriche, nelle scuole a regalare questi libri. E ci vanno in bici, in auto, in vespa, uno dei simboli del boom economico e sociale. C’era una grande vivacità. Oggi la Chiesa si è un po’ ritirata dalla scena della produzione cinematografica e televisiva, però è importante che i credenti non si ritirino dalla capacità di lettura cristiana dei testi“.

In ultimo, anche una proposta. “Se la Chiesa dovesse intervenire con delle iniziative in questo ambito, e questo sarebbe auspicabile, esse dovrebbero essere delle iniziative che devono nascere dal basso, perché quelle che nascono dall’alto sono sempre destinate a fallire. Se fossi chiamato a decidere di fare una cosa, ecco, il cinema italiano, è in crisi per un motivo: non ha bravi sceneggiatori. Abbiamo ottime maestranze, grandissimi direttori della fotografia, grandissimi doppiatori, un po’ di attori, buoni registi, ma mancano le storie. Allora la Chiesa dovrebbe impegnarsi a prendere i migliori dieci che escono dalle dieci migliori università pubbliche o private e pagare loro un master negli Stati Uniti per sceneggiatori. Gli americani sono gli unici che sanno raccontare bene anche delle piccole storie. Se questo viene fatto per cinque anni si potrebbero disseminare nelle case di produzione questi autori ed è nella loro scrittura che potrebbe emergere qualcosa di straordinario”.

Intervenendo a conclusione, l’arcivescovo Michele Seccia ha espresso il suo ringraziamento. “Grazie è la parola più breve, più semplice e più comprensiva di tutto. La riflessione di mons. Viganò ci riporta al vissuto quotidiano, perché tutti siamo davanti al telegiornale e non solo. Tutti ci nutriamo di televisione, magari anche quando mangiamo. Ma come ci serviamo di queste informazioni, come le leggiamo? E soprattutto, c’è ancora la possibilità non di interferire, ma di seguire i nostri ragazzi e comprendere come essi oggi si servono dei mezzi di comunicazione? Ai cresimandi ripeto sempre di fare attenzione a come utilizzano ‘i remi’ per navigare in internet. Non è la sola preoccupazione di incontrare il male, ma è anche quella di non comprendere se davvero maturano il desiderio di sapere. È vero che la conoscenza nasce dalla curiosità, ma è altrettanto vero che molte volte la curiosità ci allontana molto dalla vera conoscenza. Quindi gli educatori devono acquisire sempre più una sensibilità verso l’ascolto per accompagnare i ragazzi verso la conoscenza e l’approfondimento”.

 

Racconto per immagini di Arturo Caprioli

 

 

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