dialogo e discernimento dietro le scelte

dialogo e discernimento dietro le scelte

articolo ripreso da portalecce

Le nomine che l’arcivescovo ha rese pubbliche stamattina sono il frutto di un percorso, durato diversi mesi, in cui sono entrati in gioco tre fattori: il duplice bene del presbitero e della comunità, il dialogo e il discernimento.

 

 

 

Questo percorso è stato avviato e portato a termine in uno spirito di serenità, di dialogo e di maturità con i singoli presbiteri interpellati. E a proposito di queste ultime nomine, può essere utile qualche considerazione di fondo.

OBBEDIENZA

L’invio di un presbitero in una parrocchia, o ad altro servizio, spetta al vescovo e non avviene con le modalità della trattativa, ma dell’obbedienza alla volontà di Dio che si manifesta attraverso la volontà del pastore. Detto questo, è opportuno, come di fatto avviene, che lo stesso vescovo eserciti il discernimento e prenda delle decisioni dopo aver adeguatamente consultato coloro che egli stesso ha scelto come suoi collaboratori e ascoltato il presbitero chiamato al cambio. È ciò che è avvenuto, anche all’insegna del cammino sinodale che mette al centro l’importanza del dialogo e dell’ascolto. Certo tutto è perfettibile. E sicuramente potranno essere apportati miglioramenti grazie anche al contributo di tutto il presbiterio. Migliorare però non significa abolire i limiti che contrassegnano il nostro agire. Migliorare significa forse non far pesare sui singoli i propri limiti ma assumerne una parte del peso e permettere a tutti di mantenere il passo della comunione.

GEOGRAFIA

Una seconda considerazione scaturisce da queste nomine: la inadeguatezza dei criteri che continuiamo ad adottare per provvedere ai bisogni delle comunità parrocchiali. Dobbiamo a tempo, prima che diventi emergenza, rivedere la geografia delle parrocchie nelle quattro vicarie della diocesi. I vescovi non potranno, fra alcuni anni, assicurare a ogni parrocchia esistente un parroco. E questo è un problema che occorre guardare con attenzione. Ma c’è un altro fattore che per noi presbiteri, non solo della nostra diocesi, sta diventando un vero e proprio problema.

Papa Francesco rivolgendosi a tutti i ministri della Chiesa: vescovi, preti, per segnalare questo problema usa il termine carrierismo. Forse nel nostro caso può risultare eccessivo. Il primo termine che mi viene in mente è “gratificazione”, che di per sé è cosa buona e giusta. Il problema nasce quando questa gratificazione a volte la si vuole ottenere a prescindere dal discernimento del vescovo e dal bene della comunità. Valorizziamo il senso dell’essere inviati in una comunità, non dell’essere sistemati in una comunità. L’invio in una parrocchia comprende l’andare incontro a tutta la realtà parrocchiale, nella sua parte sana, positiva ma anche nella sua parte problematica.

GRATUITÀ

Una terza e ultima considerazione. La novità nella continuità e nella gratuità. Dall’Eucaristia che celebriamo ogni giorno, impariamo a dire ogni giorno “grazie”; un atteggiamento che è l’opposto della lamentela e della ricerca di gratificazioni personali; un atteggiamento che fa rientrare tutta la nostra attività nell’unica motivazione della “gloria di Dio”. Dal senso della gratuità scaturisce anche la gioia, non solo come dimensione personale, starei per dire anche “professionale”, se non fosse che il nostro ministero non può essere assimilato a una professione. Possiamo, però, parlare di noi preti come i “professionisti della gioia”, nel senso che proprio dall’Eucaristia possiamo attingere un modo nuovo di affrontare la realtà quotidiana, di venire a contatto con le sofferenze della gente, con le tante contraddizioni e fragilità, anche le nostre. La logica dell’Eucaristia è la logica della “trasformazione”: lo Spirito santo che trasforma il pane e il vino nel corpo e sangue di Cristo, ci rende anche idonei ad acquisire uno sguardo “trasformante”, vedere la debolezza come forza, la persecuzione come beatitudine, le ferite come “feritoie di grazia” (San Giovanni Paolo II).

La novità di un ricominciare è data oltre che dal contenuto dell’annuncio (che di per sé è sempre il novum) anche dalla qualità delle relazioni tra pastore, fedeli, e persone cosiddette lontane. La novità del ricominciare non può tradursi in un cancellare o ignorare ciò che è stato fatto in precedenza, in una sostituzione di progetti, programmi, persone, ma piuttosto un puntare sempre nella novità propria dell’annuncio cristiano, dove esperienza, competenza, gradualità, garantiscono la continuità della vita di una comunità, non nella ripetitività, non nell’assuefazione, ma nell’accoglienza coraggiosa di un rinnovamento, richiesto dalla complessità della società e dalle nuove istanze.

*vicario generale

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