avevo solo 14 anni quando lasciai Squinzano…

avevo solo 14 anni quando lasciai Squinzano…

articolo ripreso da portalecce

Tutto ritorna dove tutto è cominciato. Un ricorso storico che si intreccia con quello umano, intimo, personale, ma privato e pubblico allo stesso tempo. Dopo 50 anni di sacerdozio. A 75 anni, e dopo aver girato mezzo mondo come nunzio apostolico.

 

 

 

Il giubileo sacerdotale di monsignor Luigi Pezzuto è nella sua terra, tra la sua gente, a Squinzano dove ieri le celebrazioni hanno vissuto l’ultimo atto con la messa di ringraziamento presso la chiesa parrocchiale Maria Regina. Quella stessa Squinzano che lo ha visto partire appena quattordicenne, negli anni ’60, ed oggi lo celebra come presbitero e poi vescovo – ma come afferma egli stesso, sempre e solo sacerdote – che ha servito la Chiesa nella missione apostolica. Sabato scorso in Piazza Plebiscito, l’abbraccio corale, del popolo e delle istituzioni, con una messa celebrata all’aperto, carica di emozione e sentimento, gratitudine e riconoscenza. Cinquant’anni impegnativi, con tanti successi diplomatici raggiunti, tante sfide affrontate, tanti ricordi da spolverare e condividere.         

Eccellenza, come è nata la sua vocazione?

Questa è una domanda che mi pongono spesso. Certamente non sono caduto da cavallo come San Paolo, e non ci sono state apparizioni o folgorazioni di alcun genere. La vocazione viene però sempre dall’alto. Io ho avuto un percorso normale. Devo dire che da quando ho l’uso della ragione, ricordo di aver sempre detto che volevo farmi prete. A 4 anni facevo già il chierichetto.  Avevo, questo sì, un contatto con la parrocchia e con le attività che si sviluppavano attorno ad essa, anche perché, e parliamo di oltre sessant’anni fa, la vita di tutti, soprattutto nei paesi come i nostri, si svolgeva all’ombra della parrocchia. Ho avuto poi la fortuna di incontrare sul mio cammino uomini di Chiesa speciali, sacerdoti di cui ho subito l’influenza e l’esempio, che hanno plasmato la mia infanzia e la mia adolescenza. Penso al parroco di Mater Domini, don Egidio Manieri, che mi chiamava “pezzutino” per via della mia altezza non elevata, o don Antonio Manca, vero sacerdote santo, che insieme a don Antonio Caricato è stato fondamentale per la mia formazione. E poi non posso non menzionare don Francesco Tondo. A 14 sono quindi andato a Roma per frequentare il Seminario Romano minore.

 

Lei ha avuto la possibilità, durante questi anni, di svolgere la sua missione spirituale in vari Paesi. Ha incontrato tanti popoli, diversi per condizioni economiche e sociali. Che tipo di esperienza è stata la sua?    

Ho avuto la fortuna di vivere la mia missione sacerdotale con il ruolo specifico anche di nunzio apostolico, con le tante e diverse peculiarità di un ruolo delicato e cruciale. Il mio compito, come del resto quello di ogni nunzio apostolico, era di avere rapporti con le istituzioni pubbliche e politiche del luogo della sede della nunziatura. Con un incarico che era anche una sorta di dovere, e cioè quello di far rispettare la libertà della Chiesa. Un concetto che può sembrare banale e semplice, ma le assicuro che invece presentava difficoltà oggettive di attuazione. Non sempre era così scontato che la Chiesa, intesa come modello vivente del Cristo, fosse libera di operare. In quei casi si doveva intervenire con il dialogo e la diplomazia, intessendo un costante scambio relazionale. La Chiesa deve svolgere la sua missione di redenzione, ma non tutti vogliono che ciò accada, soprattutto in quelle nazioni che non sono cattoliche. Il discorso cristiano ed il discorso evangelico che portiamo avanti sono estremamente esigenti, e quindi, per essere veicolati, necessitano di tanto impegno, pazienza e dedizione. E dunque, come esperienza personale, le parlo della mia fatica ma anche di tante soddisfazioni.   

 

Tra le tante destinazioni avute, lei è stato anche a Sarajevo, sede della nunziatura di Bosnia, Erzegovina e Montenegro. E quindi aveva giurisdizione anche per Medjugorje. Sulla vicenda delle apparizioni la questione è ancora aperta. Lei, dal suo privilegiato punto di vista, che idea si è fatto?

La situazione è certamente complessa e delicata. Come sapete da qualche tempo sono consentiti i pellegrinaggi ed ogni ecclesiastico, di qualsiasi rango, può anche andare a celebrare o concelebrare, ma le apparizioni non sono ancora state riconosciute. Io ho una mia visione personale dell’intera faccenda, che però non voglio anticipare perché è contenuta in una proposta che ho avanzato alla Santa Sede. Comunque, il tutto continua ad essere esaminato ed analizzato.  

 

Ma gli effetti spirituali ci sono, eccellenza e, questi sì, riconosciuti perché innegabili. Conversioni, segni prodigiosi, cambi radicali di vita.

Sono d’accordo con quanto lei dice. Ed aggiungo a ciò che ha elencato, anche conversioni al sacerdozio. L’attuale vescovo di Alessandria ha avuto la vocazione al sacerdozio dopo essere stato a Medjugorje.  Ma io sono a conoscenza anche di conversioni a distanza. I frati che curano la parrocchia di San Giacomo hanno un archivio imponente in cui si attestano casi di persone che si sono convertite perché un loro amico o un loro familiare, lì a Medjugorje, aveva pregato appunto per la loro conversione. Io sono custode diretto di una testimonianza di una ragazza italiana, che ho incontrato a Sarajevo, la quale prima non voleva saperne nulla della Chiesa, e dopo la preghiera è diventata una cattolica fervente. Ma anche coppie che non potevano avere figli che poi invece hanno avuto la grazia di procreare. Per non parlare delle guarigioni. Tutto il materiale e la documentazione sono lì, in Vaticano, e come ho detto prima, devono essere ulteriormente studiati ed approfonditi. Del resto, un dato deve far riflettere. Prima della pandemia, due milioni e mezzo di persone si recavano a Medjugorje ogni anno in pellegrinaggio. E queste sono persone che meritano comunque una risposta seria ed oculata.

 

Medjugorje è un luogo che le è rimasto nel cuore?

Lo ammetto. E per me è una gioia tornarci. Ed anche i frati sono davvero molto affettuosi nei miei riguardi, Pensi che il 10 ottobre, lì nel grande spazio di fronte alla chiesa, hanno organizzato una solenne concelebrazione eucaristica perché anche loro vogliono festeggiare il mio cinquantesimo di sacerdozio. Partirò per raggiungerli i primi giorni del mese prossimo.  

Lei, monsignore, ha conosciuto diversi papi. Da Giovanni XXIII a Francesco. Era in piazza San Pietro, la magica sera dell’ottobre del 1962, quando Roncalli pronunciò quelle splendide parole che poi sono rimaste scolpite nella memoria collettiva del nostro Paese nel famoso “discorso della luna”.

Sei papi, e di tutti ho un ricordo nitido e vivo. Il primo che ho visto l’11 ottobre del 1962, da seminarista del Seminario Romano Minore, a Roma, è stato appunto Giovanni XXIII. Quella mattina, insieme con i miei compagni, abbiamo assistito all’enorme processione di prelati che entravano in San Pietro per l’inizio del Concilio Vaticano II. E poi quella sera, come ha ricordato lei, ero in Piazza San Pietro, durante la fiaccolata organizzata dall’Azione cattolica, ed ho ascoltato dal vivo quelle straordinarie e commoventi parole dette a braccio dal Papa. Quell’anno frequentavo la quarta ginnasiale e rivedo ancora oggi Giovanni XXIII sulla sedia gestatoria. Poi Paolo VI, che è stato il papa della mia formazione sacerdotale ed in seguito anche di quella diplomatica. Prima di partire per il primo paese estero, il Ghana, come addetto di nunziatura e successivamente come segretario, mi sono incontrato con lui ed ho scambiato qualche parola. Albino Luciani, Giovanni Paolo I invece l’ho conosciuto più da vicino perché a Roma, da vescovo, alloggiava nel seminario minore, e tante volte gli ho servito messa. Di lui ricordo un uomo schivo e modesto, ma con un gran sorriso, coinvolgente e bonario. Dopo c’è stato Giovanni Paolo II, il Papa che mi ha nominato nunzio e vescovo. È stato lui che mi ha messo l’anello al dito, che mi ha consegnato il pastorale e la mitria. Ho dunque il privilegio di essere stato consacrato vescovo da un santo, e devo dire che, oltre ad essere motivo di orgoglio, questa circostanza è stata per me una forte motivazione ed uno sprone importante durante tutta la mia vita. Mi creda, era davvero un uomo speciale, con un carisma ed un magnetismo unici ed eccezionali. Joseph Ratzinger l’ho incontrato privatamente solo una volta, mentre con Papa Francesco ho avuto modo di avere una frequentazione maggiore. La prima udienza privata è stata il 28 novembre 2013. L’ho anche invitato a Sarajevo, dove è venuto in visita apostolica nel 2015.

 

Eccellenza, tantissimi anni di attività, soprattutto all’estero. Ora è in pensione. Le manca il ritmo di vita che conduceva fino a qualche anno fa?

Senta, io per 43 anni ho svolto la mia missione sacerdotale ina varie parti del mondo. Era arrivato il momento di fermarsi e di ritornare tra la mia gente, a vivere nella mia casa di Squinzano, che ho lasciato quando avevo solo 14 anni. Non ho rimpianti o nostalgie di alcun genere. Ho lavorato tanto ed adesso sono contento così.

A chi sente di dire grazie per questi 50 anni di sacerdozio?

A chi ha creduto in me, ma soprattutto al Signore ed alla Chiesa.

  

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