La famiglia che educa a custodire il creato, nel tempo della crisi
La famiglia, ci apre alla vita. Ci porta dentro di essa e, in essa, nello spazio che genera, ritroviamo nel tempo ciò che abbiamo ricevuto. Non sono pochi i ricordi dei tempi trascorsi insieme e degli insegnamenti ricevuti. È l’alveo in cui si apprende di più e le emozioni non solo si ricordano ma ci orientano; non rimangono solo più impresse, ma spesso spiegano gli atteggiamenti. Le azioni che maturiamo nel nostro tempo da adulti le riscopriamo impregnate d’infanzia, di bisogni e paure è vero, ma anche di desideri e aspirazioni.
Siamo oggi anche ciò che la famiglia ci ha dato e, più o meno consapevolmente, chi ci ha educato, ha tirato il meglio di noi fuori e, anche se può non esserci più, continua a praticare quest’arte, attraverso noi stessi, nelle occasioni più disparate.
Il tempo della famiglia è un tempo importante, è un tempo che rimane sempre, come un impronta indelebile di pensieri e affetti che nutrono i comportamenti di oggi.
Siamo immersi in uno stato di crisi e, sebbene da più anni, ci troviamo ancora un po’ spaesati. È una crisi economica e finanziaria, politica e sociale, ci hanno detto alcuni. È una crisi umana, di valori e di relazioni, ci hanno detto altri. Questa è la crisi di noi occidentali, del così detto “primo mondo”, di quel mondo che pur essendo il 20% della popolazione totale, consuma l’80% delle risorse totali del pianeta. Siamo i figli della crisi dell’abbondanza e forse di più, dello spreco; siamo i figli degli inganni non solo delle finanze, ma dell’inganno che possiamo disperdere all’infinito ciò che la natura ci offre, depauperando il creato. Siamo i figli e forse anche i genitori ad un tempo degli alimenti che rimangono nel piatto e che vengono buttati; dei cassonetti di roba comprata in più, delle carte gettate dal finestrino, dei sontuosi pranzi e delle cene eccessive di battesimi, cresime e matrimoni, del “se no, cosa dice la gente”…
Siamo in questa crisi che ci spezza le gambe e il fiato, che ci interroga su che cosa abbiamo sbagliato, oltre su ciò che “gli altri” (i soliti noti) hanno sbagliato.
Certo, siamo di quelli che leggendo queste righe, si dicono anche: “questa crisi ci dice che…” e, subito, ci autopromuoviamo con le azioni migliori.
Questa crisi ci dice anche che ciò che abbiamo conosciuto non è stato sviluppo sostenibile. Non lo era per le finanze, non lo era per la politica e non lo era per la nostra società. Abbiamo “investito” di più in cose, piuttosto che in valori e relazioni. Chiusure ed egoismi hanno prevalso. Tanto presente per il subito e l’immediato, per poco futuro per noi e i nostri figli. Poca attenzione agli obiettivi veri; “navigare a vista” è l’opzione principe rispetto a destinazioni vere e ambiziose. L’uomo consumista, sprecone, ha detto a se stesso che non merita grandi obiettivi. “Tutto immediatamente” è il motto che l’ha accompagnato tralasciando sì gli idealismi e con benefici di tanti, ma trascurando a prezzo altissimo idee e ideali di prospettiva, di valore. E, quando non dai valore alle cose, alle relazioni, alla persona, il primo a pagare è sempre l’uomo e la sua famiglia. Tutto diventa relativo e, “cosa vuoi che succeda se consumo plastica in più, per un bicchiere… Cosa vuoi che accada se acquisto qualsiasi cosa che poi non mi servirà più, piuttosto che farmela prestare…” Lo sviluppo sostenibile è grandi progetti e piccoli azioni, quotidiane…
In questo “ambiente”, un contesto totale, crescono i figli e i figli dei figli cresceranno.
In questo scorcio d’estate, vale la pena riflettere su quanta ricchezza reale portano i danni alla natura, dagli scarichi industriali diffusi e così poco puniti per presunti posti di lavoro da salvaguardare, a tutti quegli attacchi indiscriminati di singoli e piccoli interessi verso spiagge e pinete, per esempio. Sono ormai diventati classici gli abusivismi non solo edilizi, ma anche su terreni demaniali con concessioni capestro per cementificazioni o installazioni di strutture così dette leggere ma che deturpano il nostro paesaggio. Puntare ad una ricchezza immediata ancora, per un danno più che decennale a volte o, forse, troppo spesso…
Appunti come su di un notes per sperare che la famiglia si risvegli nel suo protagonismo e si riconosca soggetto autorevole educativo. È una delega che non può consegnare a nessuno, soprattutto per l’ambiente, dove i colori della vita possono essere insegnati da piccoli per meravigliarsi sempre di se stessi e delle proprie possibilità progettuali in un creato accogliente, finché l’uomo lo custodirà come tale.
Francesco Paolo Monaco
Segretario dell’Ufficio diocesano per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso
La famiglia educa alla custodia del Creato.
L’importanza della famiglia nell’educazione religiosa per noi ortodossi ha una valenza particolare poiché, a causa di particolari situazioni storico- politiche, la gran parte di noi ha vissuto in stati non cristiani oppure, soprattutto nei decenni passati, in stati dichiaratamente atei dove l’educazione religiosa nelle scuole era addirittura vietata.
La famiglia dunque, per lunghi decenni, per molti ortodossi è stato l’unico ambiente, oltre alla frequentazione della chiesa quando questo era possibile, dove si sono appresi i principi fondamentali dell’ortodossia e tra questi anche quello dell’essere solo custodi e non proprietari del Creato.
I concetti espressi nella preghiera per la Protezione del Creato trovano il loro fondamento nelle parole dei Padri della Chiesa.
Nel settembre del 1989, il Patriarca Ecumenico Demetrio con un Messaggio Patriarcale approvato dal Santo Sinodo istituisce il 1 settembre, giorno dell’Indizione (inizio dell’Anno Ecclesiastico) come Giornata di Preghiera per il Creato.
Questa ricorrenza, ormai condivisa anche da altre Chiese Cristiane ha una grande importanza per tutti gli ortodossi.
Quest’anno, come ogni anno da 75 anni, alla Pedopoli (Città dei Ragazzi) dell’Isola di Proti (Kinaliada in turco) presso il Monastero della Trasfigurazione di Cristo è stato organizzato un soggiorno-vacanza per ragazzi ad opera del Patriarcato Ecumenico con programmi educativi sull’ambiente. Il Patriarca spesso li visita, gioca e parla con loro e i loro genitori sull’importanza della tutela dell’ambiente. Quest’anno i ragazzi hanno presentato una commedia su questi temi, avendo curato tutto loro, dalla scenografia, ai costumi, alle musiche ecc.
Anche questo, per noi ortodossi, è l’educazione alla protezione del Creato.
Isabelle Oztasciyan Bernardini d’Arnesano
Comunità Ortodossa, Lecce
“Presto apprendere, tardi dimenticare” (Pirke Avot)
Tra qualche settimana sarà Rosh HaShanà, il capodanno ebraico, e subito
dopo Yom Kippur, il giorno dell’espiazione. In quel periodo il pentimento,
l’esame del proprio comportamento, l’assunzione di impegni e
responsabilità per il futuro sono al centro della riflessione di ogni
ebreo. Un esame di coscienza che deve essere fatto individualmente, senza
preoccuparsi del comportamento altrui, e collettivamente, pensando a
quello che ognuno può dare alla società nel suo complesso. La dimensione
individuale e collettiva si toccano quando formiamo una famiglia.
La formazione della famiglia è una delle mitzvot della Torah, poiché si
tratta di creare una relazione particolare dove l’uomo e la donna sono
complemento l’uno dell’altra. Non esistono leggi specifiche riguardo la
matrimonio, che in ebraico si definisce kiddushim parola che esprime il
concetto di santità, ma Maimonide lo include tra i 248 precetti positivi
secondo quanto scritto in Deuteronomio 24:1: “Quando un uomo prende una
donna e la sposa”. Il matrimonio è un alleanza, brit, stipulata con
un’altra persona ed è paragonata a quella tra il Santo Benedetto e Israele
come si può leggere in Osea 2:19-20: “Io ti sposerò per sempre, io ti
sposerò per la giustizia, l’equità, la grazia e la compassione; io ti
sposerò in tutta lealtà e tu saprai che io sono l’Eterno”.
Partendo da questa idea, senza che ciò costituisca un Sacramento, la
famiglia è concepita come un tempio, un luogo di serenità e di scambio,
santificato dall’osservanza delle mitzvot. In questo ambiente i figli
potranno essere introdotti e allevati nella tradizione. La parola figli in
ebraico si traduce con banim, dalla cui radice deriva il sostantivo bonim
i costruttori. I figli permettono la costruzione della comunità e da essi
dipende il suo futuro. L’educazione da impartire ai figli deve essere
integrale e completa e ha come scopo principale la loro civilizzazione,
che implica il comportarsi in modo integro, giusto e onesto.
La responsabilità che viene insegnata non è solo rispettare la dignità
umana, la libertà, l’esigenza di giustizia e di etica, ma di proteggere
tutto il creato ricordando che Adamo fu posto nel giardino dell’Eden con
l’obbligo di “lavorarlo e custodirlo”, come si legge in Genesi 2:15. Ciò
ci insegna che l’uomo deve sapere porre un limite allo sfruttamento delle
risorse che il pianeta ci dà, ma al tempo stesso svolgere un ruolo attivo.
Questa tensione si trova nel ciclo della settimana ebraica dove dopo sei
giorni di lavoro è necessario seguirne uno di riposo.
L’esperienza ci ha mostrato che l’uomo, come Adamo, non è ancora
sufficientemente responsabile per dominare moralmente il creato ed è
troppo facilmente preda del suo istinto di possesso. Alla famiglia incombe
lobbligo primario di educare i figli a vivere come membri della Comunità
dIsraele e in armonia con il creato perseguendo l’ideale di fare di essi
gli anelli della catena ininterrotta attraverso la quale il patrimonio
religioso dalle passate generazioni si trasmetta intatto a quelle avvenire
come insegna il precetto Deuteronomio 6:4-7: “E queste parole che oggi ti
comando rimarranno nel tuo cuore; le inculcherai ai tuoi figli, ne
parlerai quando sei seduto in casa tua, quando cammini per strada, quando
sei coricato e quando ti alzi”.
Furio Biagini
Docente di Storia e Cultura Ebraica, Università del Salento
I NUMERI RACCONTANO LA CUSTODIA DEL CREATO
Ci sono mille modi di guardare le persone, la storia. Lo sguardo si posa ed innesca una relazione, si sprigionano le emozioni. Poi l’occhio si ferma al centro, dov’è la parte più importante, l’essenziale. L’essenziale diventa la filigrana attraverso la quale si sviluppano, relazioni, decisioni, impegni. Venticinque anni fa è accaduto proprio questo, l’evento centrale della mia esistenza: il matrimonio. Posare lo sguardo su una creatura, quella creatura, Rita, è stato un gesto di autentica fedeltà. Da quell’attimo si è dipanata la storia di un dono che non ha fine, la storia di una famiglia numerosa dell’Associazione Nazionale Famiglie Numerose. “Avete coraggio, con i tempi che corrono, di mettere al mondo delle creature! Roba da matti!” queste ed altre frasi hanno minacciato la nostra identità e le nostre scelte. Come risposta solo atteggiamenti di tenerezza e compassione. È riduttivo pensare a difendere ciò in cui si crede, ciò che si è. Il custode non è una guardia bruta. Per custodire un oggetto fragile e prezioso non serve stringerlo a sé con forza, ma prendersene cura e con delicata attenzione farlo crescere per rimettere in circuito il dono.
Quale miglior custodia che quella di restituire il dono della vita generando altre vite?! Giuseppe, Miriam, Agnese ed Eugenio, i nostri figli, continuano ad essere oggetto e soggetto di questo dinamismo oblativo. Gratuità e accoglienza: azioni declinate quotidianamente nell’esercizio della nostra professione: operatori sociali. Altre vite (attualmente nove) da custodire nella casa famiglia “La Goccia”, a Supersano (LE), vite altrimenti destinate allo scarto umano. Non sono i numeri che contano, tuttavia questi numeri raccontano la ricchezza aggiunta, l’accoglienza reciproca, il diritto di essere unici, e, perché no, cantano la festa dell’amore incarnato nel servizio, educandosi a ricevere e a donare, accettando le diversità, coltivando il dono fino a renderlo per-fetto nel per-dono.
Michele Resta Corrado
Associazione famiglie numerose
Tutto quello che ci circonda è un segno della magnificenza del creatore,
un dono ricevuto senza richiesta, per coprire le nostre necessità naturali.
E’ compito della famiglia, insegnare ai propri bambini che aver ricevuto questo dono non vuol dire fare tutto quello che vogliamo, anzi è un nostro compito preservarlo.
Allah ci dice: ”siamo Noi che versiamo l’acqua in abbondanza, poi spacchiamo la terra in profondità e vi facciamo germinare cereali, vitigni e foraggi, olive e palmeti, lussureggianti giardini, frutti e pascoli, di cui godete voi e il vostro bestiame“ LXXX:25-32. Il suo dono non è solo per noi, ma anche per le altre creature, ognuno con il suo livello di bisogni.
E’ peccato maltrattare gli animali seppur destinati al Sacrificio.
I genitori musulmani inculcano nei propri figli lo spirito del ringraziamento per quello che ci è stato donato e che fa parte del ringraziamento, trattare il dono nel modo voluto dal signore.
Tra i doni più preziosi, c’è l’acqua della quale Dio ci dice: “…e traemmo dall’acqua ogni essere vivente” XXI:30.
Il profeta ci ordina di preservarla: “Non sprecare l’acqua anche se sei davanti un fiume che scorre”; ci insegna anche ad incoraggiare i nostri figli a piantare gli alberi: “Ogni musulmano che pianterà un albero oppure seminerà un seme, che poi alimenterà un uccello o un umano o un animale, gli sarà contato come se avesse offerto una elemosina”, o anche: “se viene la fine del mondo e stai tenendo in mano un germoglio, non lasciarlo così, ma piantalo in terra”.
L’islam ha messo le basi dell’ecologia sostenibile e la famiglia è il nucleo di questa sostenibilità con la sua tutela del creato.
Saiffedine Maaroufi, Imam della comunità leccese