#DONANTONIOSACERDOTE. Memoria e attesa a poche ore dall’ordinazione: parla il futuro presbitero
articolo ripreso da portalecce
A poche ore dalla solenne eucarestia durante la quale domani alle 19 (diretta su Portalecce e Telerama) nella cattedrale di Lecce, il diacono don Antonio De Nanni – per la preghiera di consacrazione e l’imposizione delle mani dell’arcivescovo Michele Seccia -, verrà ordinato presbitero, Portalecce ha voluto dare voce al diacono di Arnesano per carpirne ricordi, pensieri, emozioni…
Don Antonio, tra pochi giorni sarai ordinato sacerdote. Quali pensieri affollano mente e cuore?
Beh, sinceramente sto vivendo con molta serenità così come per il diaconato, la preparazione all’ordinazione, aldilà di tutti gli aspetti tecnici che sono la parte che porta via più tempo impazzimento, interiormente sono davvero molto sereno, non agitato, non spaventato, ma felice davvero. Penso che questo traguardo della vita sia non solo mio ma di tante persone, di varie comunità, per cui è la festa di tutti, non la mia festa e per questo motivo il mio desiderio è proprio quello di donare un sorriso, un tempo di gioia e di felicità a tutti coloro che si sono impegnati e prodigati affinché io potessi giungere a questo giorno. Dopo quasi un anno di diaconato, bellissimo unico ed edificante, nel cuore non vedo l’ora di essere ordinato presbitero, e c’è la curiosità della novità, del come funziona adesso? Signore, e adesso cosa mi aspetta? Cosa vuoi che io faccia? Dove mi porti e con chi mi porti?
Quali ricordi conservi della tua infanzia: quando hai sentito per la prima volta il desiderio di farti prete?
Non c’è un momento preciso in cui ho deciso di diventare prete, oppure ho avuto il così detto colpo di fulmine, ma è stato fondamentale il rapporto con la nonna Concettina, con la quale sono cresciuto e sin da piccolo mi ha portato in parrocchia, mi ha fatto vivere la vita di fede del paese. Stando con lei, man mano ho scoperto la bellezza e la semplicità della fede, la quale si costruisce e si scopre nell’ordinarietà del quotidiano. Mi piaceva molto la vita della parrocchia, soprattutto in un paese piccolo come il mio e particolarmente negli anni della mia infanzia e adolescenza, dove si viveva forte il clima di famiglia, per cui pian piano crescendo mi son chiesto e ho scoperto sempre di più il desiderio, il bisogno di essere parte attiva della comunità. C’è da dire anche che è con la nonna che ho detto le mie prime messe a casa sua, utilizzando il foglietto domenicale e il libretto delle Massime Eterne. Crescendo e vivendo, ho capito che ciò che mi sembrava un gioco, diventava pian piano la mia vita e ciò che davvero mi rendeva felice, ciò a cui Dio mi stava chiamando.
Ti senti pronto a vivere questo nuovo capitolo della tua vita? Come ti sei preparato?
Io credo che nella vita non ci sentiremo mai pronti, ma è importante avere la giusta disposizione d’animo, di mente, di cuore e di corpo. Per cui mi sembra una parola grossa, un’esagerazione dire di essere pronto, ma sono in cammino come tutti, chi più avanti chi più indietro, tutti a disposizione della volontà di Dio. In automatico verrebbe da dire che la preparazione è quella del seminario, ma a me piace partire da molto prima, quindi a casa, con la nonna. Nella parrocchia d’origine con tutte le relazioni che mi hanno portato all’altare, le parrocchie e le varie esperienze nel tempo del seminario, tra cui Trani, Modugno, il carcere di Trani e poi le due spose dell’ordine sacro: Lequile e Torchiarolo. Nel corso della vita credo di aver avuto tante palestre di vita e di ministero che mi conducono oggi e sempre all’altare del Signore, ad accogliere la sposa, la Chiesa.
Le prime esperienze in parrocchia da diacono in che modo ti hanno arricchito?
Mi ritengo fortunato di essere stato ordinato diacono in un periodo di lockdown, ma soprattutto di aver iniziato questo ministero, in un tempo di ripresa delle nostre comunità. Molti hanno maledetto questo periodo storico, invece io ringrazio Dio per questa esperienza, potremmo dire per questo ministero nella nuova modalità della ripresa dalla pandemia. Ho avuto la fortuna di compiere i primi passi al fianco di don Carlo Calvaruso, arciprete di Lequile, col quale non abbiamo mai smesso di lavorare, di visitare gli ammalati, di percorrere il cammino quotidiano e non solo, della vita parrocchiale. La parola e il concetto dell’arresa era davvero molto lontano dai nostri pensieri e dei nostri progetti, per cui nel rispetto delle norme siamo andati avanti sempre e comunque. Ho avuto la fortuna di avere nel territorio parrocchiale una comunità di tossicodipendenti che visita va mo settimanalmente. Dopo poco meno di un anno mi è toccato cambiare strada e prendere direzione Brindisi, quindi Torchiarolo, dove ho trovato una comunità che potremmo definire isola felice, un treno senza freni, dove ancora l’influenza fredda della città non è arrivata. Anche qui mi ritengo fortunato di viaggiare al fianco di don Gaetano Tornese, con il quale, com’è stato con don Carlo, c’è stato da subito un buon rapporto e una buona intesa, spirito di fraternità, collaborazione e comunione. Insieme alle esperienze parrocchiali, c’è stata la splendida esperienza di affiancamento all’arcivescovo Michele Seccia, essendo, fino a sabato, l’unico diacono transeunte della diocesi. Mi verrebbe da citare l’inno scritto dal caro don Antonio Pellegrino, il quale mi porta a dire di essermi sentito davvero sotto l’ala di Michele. Non a caso quando il vescovo mi ha fatto capire che desiderava già ordinarmi a giugno, io gli ho detto che non avevo fretta, anzi volevo vivere ancor di più l’esperienza meravigliosa del diaconato e potergli stare accanto per più tempo.
Domenica presiederai la tua prima messa nella comunità che ti ha generato alla fede e al sacerdozio. Cosa dirai nell’omelia?
Domenica celebrerò la prima messa nella bella parrocchia d’origine di Arnesano, come da tradizione non mi toccherà fare l’omelia, ma nel discorso conclusivo, sento il bisogno di chiamare per nome la mia madre terra, la patria che mi ha generato alla vita e alla fede, esprimendo la mia più grande gratitudine al popolo che mi ha portato all’altare del Signore. Ma avverto anche il bisogno di mettere sugli attenti la mia comunità che rischia di cadere in un sonno profondo che raffredda la fede e la vita del popolo cristiano. Arnesano in questi anni ha generato davvero tanti sacerdoti e questo ci deve far capire che siamo chiamati a trasmettere la fede edificata giorno dopo giorno e trasmessa dai nostri padri. Siamo noi i responsabili del futuro della nostra comunità e se ci crediamo, dobbiamo ogni giorno metterci in piedi e metterci in gioco sulla strada della santità.