Semper vivens ad intercedendum pro nobis (Eb 7,25)


Semper vivens ad intercedendum pro nobis (Eb 7,25)
Omelia per l’Ordinazione Diaconale di Luigi Carbone e Presbiterale di Leonardo Petrangelo


 

1. Gesù Cristo giusto è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo (1Gv2,1b-2 )

 

Risuonano per questa nostra festosa, grata e santa assemblea le parole della prima lettera di Giovanni, parole di speranza che ci invitano a volgere lo sguardo e a consegnare i nostri peccati a Gesù Cristo giusto che si è fatto vittima a causa e per i nostri peccati. Vittima per noi.

 

Ancora una volta in questa Chiesa Cattedrale sperimentiamo nella ricchezza di un dono che ci viene fatto, i frutti benefici di questa offerta di Cristo Gesù:

 

ci ha salvati, ci ha redenti;

 

ci salva, ci redime:

 

Come?

 

Le sue vie sono infinite, spesso misteriose, di sicuro e sempre con una uscita di sicurezza, quella di essere salvati, amati, accolti, perdonati.

 

Ora nella ricchezza della liturgia che celebriamo la certezza dell’uscita di sicurezza ce la indica nella via di coloro che egli aggrega come collaboratori nel ministero per annunziare e attuare l’opera della salvezza, come ci ricorda la preghiera di ordinazione del presbitero.

 

Al calar della sera della mia giornata di servizio e di ministero episcopale in questa mia amata Chiesa, il Signore per la 42.a volta mi fa vivere l’esperienza del dono dello Spirito che, inondando la vita di un servitore del Regno, la abilita, in forza del mandato apostolico, a trasmettere la pienezza del dono di grazia a quanti Cristo ha chiamati e scelti per essere dispensatori dei suoi misteri che sono eventi di speranza certa per quanti attendono non solo la prossimità ma l’ingresso pieno di Dio nella loro esistenza

 

–    per vivere l’esperienza della liberazione piena dal male e dal peccato mediante il lavacro di rigenerazione,

 

–    per rafforzare il passo sfiduciato e stanco con il pane del cammino,

 

–    per accogliere la forza della Parola che dia fiato a speranze smorte e luce discriminante per smascherare gli idoli falsi che, camuffati ad arte, potrebbero indurre anche gli abili decodificatori e interpreti del senso vero del messaggio che salva, alla sostituzione del Dio di Gesù Cristo con i tanti pretesi signori che le mode e la cultura laica e disSacrante, sanno imporre a una umanità distratta e incapace di fermarsi all’ascolto sapiente, recettivo e coinvolgente di Colui che solo ha il potere di salvarci e liberarci.

 

2. Ripercorrendo la ricchezza della Parola che ci viene proclamata in questa liturgia della III domenica di Pasqua e il ricco e variegato simbolismo della liturgia di ordinazione del diacono e del presbitero, voglio consegnare un triplice impegno di fedeltà

 

Ø a  Luigi a cui viene affidata la speranza che è il vangelo di Cristo Gesù, di cui non sarà soltanto ascoltatore ma annunziatore, araldo e testimone;

 

Ø a Leonardo che con la benedizione dello Spirito Santo e la potenza della grazia Sacerdotale, sia fedele dispensatore dei santi misteri per l’edificazione del Regno del nostro Dio e Padre;

 

Ø a tutti voi, fratelli miei presbiteri, perché la vivacità e ricchezza di grazia che, ricevuta nel Sacramento si rinnova e si rinsalda nel nostro quotidiano servizio all’altare, non si impoverisca nel rischio sempre in agguato dell’assuefazione superficiale al mistero grande che ogni giorno celebriamo e annunziamo.

 

Il triplice impegno:

 

Ministri della Parola

 

Uomini della preghiera

 

Servi della comunione presbiterale

 

3.         Ministri della Parola

 

Non possiamo, a causa dei nostri superficiali approcci al mistero che è posto nelle nostre mani, renderci colpevoli di quella ignoranza che l’Apostolo Pietro rimprovera al popolo d’Israele: “Voi avete agito per ignoranza” (At3,17)

 

Un ascolto distratto del Dio che ci parla, può farci smarrire il senso pieno della Parola che ci raggiunge e ci viene consegnata per essere donata.

 

Non sfugge a nessuno di noi la chiara consapevolezza che siamo costituiti ‘ministri della Parola’. La fedeltà a questo compito ci ricorda che siamo stati affidati a Dio e alla parola della sua grazia (cf At 20, 32 ). Nel momento in cui siamo chiamati a portare la Parola, siamo portati dalla Parola. Lasciamoci dunque portare da questa Parola a cui siamo affidati. Ogni mattina, fratelli cari, facciamo attento il nostro orecchio alla Parola, come ci ricorda il profeta Isaia (50,4).

 

Lasciamo che ogni giorno il Signore ci apra l’orecchio senza opporre resistenza, senza tirarci indietro (Is50,5), facciamo si che la Parola abiti in noi come ci ricorda Gesù: “Rimanete in me e le mie parole rimangano in voi” ( Gv15,7).

 

Il rischio a cui spesso ci esponiamo nell’esercizio del ministero della Parola, è quello della improvvisazione, della scarsa preparazione all’atto dell’annunzio. In agguato però c’è un qualcosa di più grave: annunziare una parola impoverita, depotenziata, devitalizzata, una parola che non riesce a giungere al cuore dei nostri ascoltatori. Dunque una parola che non commuove, non converte, non trasforma.

 

Ci viene chiesto un impegno di fedeltà, di assiduità con la Parola, impegno e fedeltà che è ascolto, lettura, meditazione, preghiera che permette a colui che è chiamato ad annunziare questa Parola “di fare proprio il pensiero di Cristo” (E. Bianchi).

 

In questo modo la parola da noi annunciata corre, compie la sua corsa e si diffonde, sì da essere accolta non come parola umana ma come Parola di Dio ci ricorda l’Apostolo Paolo: “Noi rendiamo continuamente grazie a Dio, perché ricevendo la Parola di Dio che noi vi abbiamo fatto udire, l’avete accolta non come parola di uomini ma quale è veramente, come parola di Dio che opera in voi credenti” (1Tess2,13).

 

Giovanni Paolo II nella Pastores dabo vobis afferma: “Il Sacerdote deve essere il primo ‘credente’ alla Parola, nella piena consapevolezza che le parole del suo ministero non sono ‘sue’, ma di Colui che lo ha mandato. Di questa Parola egli non è padrone: è servo. Di questa Parola egli non è unico possessore: è debitore nei riguardi del popolo di Dio”(n.26).

 

4.         Uomini della preghiera

 

La Parola che esce dalla bocca di Dio di cui siamo servi e annunciatori, vivrà tutta intera la sua forza e la sua efficacia, se entra nella nostra vita giungendo al cuore attraverso la preghiera. Saremo fino in fondo servi e uomini della Parola, se saremo nel contempo uomini della preghiera che contempla, ascolta, invoca, intercede.

 

Il rischio reale e che talvolta miete vittime nei nostri presbiteri, sono  i frammenti di tempo  che riserviamo, a causa del moltiplicarsi a dismisura degli impegni pastorali o pseudopastorali. Non viviamo la preghiera come sorgente, fonte del nostro sentire e del nostro operare.

 

Spesso il presbitero è tentato di ‘ usare ‘  la preghiera in modo funzionale, di trasformarla in qualcosa che possa servire all’azione pastorale: “Medita in vista dell’omelia o di una conferenza….prega pensando ai  progetti pastorali senza però mettere questi stessi progetti davanti a Dio per farne discernimento in obbedienza a lui (E. Bianchi, Ai presbiteri,p.36).

 

A volte non solo preghiamo poco ma preghiamo anche male. Prima di parlare a Dio, prima di ‘pensare’ Dio, dobbiamo impegnarci nell’ascoltare Dio. Potremo annunziare e testimoniare se sapremo ascoltare.

 

Dobbiamo far nostra la preghiera che Salomone rivolge al Signore: “Concedi al tuo servo un cuore docile” (1Re3,9), un cuore che ascolta e, come sentinelle del popolo di Dio, dobbiamo sempre essere in ascolto della Parola , come ricorda il Signore al profeta Ezechiele: “Figlio dell’uomo ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia”(Ez 3,17).

 

Dunque il primo gesto della nostra preghiera, il suo primo esercizio è quello dell’ascolto.

 

A questo ascolto di Dio dobbiamo aggiungere l’ascolto degli uomini, nostri fratelli. Ascolto che deve dare spazio e ispirazione alla nostra preghiera perché porti a Dio, ricorda Paolo a Timoteo “suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini” (1Tm2,1).

 

Stando con gli uomini, ascoltandoli, non possiamo non farci loro intercessori presso Dio. Siamo chiamati a fare da ponte, fare un passo tra Dio e gli uomini, dobbiamo aiutarli a mettersi in comunicazione con lui. Questo particolare servizio del nostro ministero, ci trasforma in ‘ministri della compassione’ (E. Bianchi).

 

L’intercessione del presbitero, del vescovo per coloro che a loro sono consegnati, affidati, diventa un segno di comunione, un essere a loro costantemente presenti, un farsi carico delle loro attese, dei loro bisogni; diventa il luogo del ricordo dei tanti che attraversano ed entrano nella nostra vita di pastori e vi restano. In questo ministero siamo chiamati ad immagine di Cristo “sempre vivo per intercedere a loro (nostro) favore”(Eb7,25), a invocare e chiedere a Dio misericordia.

 

Se nell’annunzio della Parola ci poniamo dalla parte di Dio per annunciare e far conoscere la sua volontà spesso esigente e dura di fronte a ‘un popolo dalla dura cervice’, nell’intercessione siamo chiamati a metterci dalla parte degli uomini per ricordare più volte a Dio, come Mosè, la sua compassione mai finita e la sua misericordia mai accorciata.

 

5. Servi della comunione ecclesiale

 

Cari presbiteri, voi siete chiamati in modo particolare ad essere servi della comunione ecclesiale con l’intero presbiterio presieduto dal vescovo. Non si può essere servi di questa comunione nella comunità cristiana senza un costante e impegnativo esercizio nell’arte della comunione all’interno del presbiterio.

 

Tra vescovo e presbiteri ciò che conta di più è costruire relazioni improntate all’amore. Sant’Ignazio d’Antiochia nella lettera agli Efesini dice che il presbitero deve essere armonicamente unito al vescovo come le corde alla cetra e  aggiunge nella lettera ai cristiani di Smirne, “mai compiere qualcosa di ciò che riguarda la Chiesa senza di lui”.

 

Siamo invitati a far si che il mistero trinitario, comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, ispiri e orienti la comunione ecclesiale in ogni sua realizzazione. Invocare, contemplare , sentire la comunione delle tre sante divine persone deve essere la regola del nostro agire e operare.

 

L’altro, gli altri sono un dono di Dio per me. Jean Paul Sartre diceva che gli altri sono l’inferno. Per noi invece sono una benedizione, un dono per vivere in pienezza la fede che ci è stata concessa.

 

Sul versante della comunione presbiterale, come vi scrivevo nella lettera che vi ho consegnato prima dell’annunzio della mia nomina ad arcivescovo di Lecce, l’impegno mio e vostro non ha dato i risultati sperati. Ci sono ancora resistenze, ripiegamenti, durezze, asprezze. Bisogna che si aprano crediti di fiducia, di stima reciproca. Dobbiamo imparare a volerci bene. Dobbiamo sentire la responsabilità di essere segni e testimoni di amore rendendo credibile con la vita l’annuncio di amore che tante volte siamo impegnati, nella fedeltà a Cristo, a dare ai fratelli.

 

6. Ora non mi resta, a conclusione del mio servizio tra voi e con voi, che rinnovare al Signore Gesù una gratitudine immensa per quello che mi ha donato in questa Chiesa, più di tutte le altre mia madre.

 

Una gratitudine a tutti voi per il bene che mi avete donato ma anche per le sofferenze che hanno talvolta segnato il mio passaggio in mezzo a voi.

 

Il Signore sia per tutti e per ciascuno di voi ricompensa certa e abbondante.

 

Con e come l’Apostolo Paolo agli anziani di Efeso (cfAt20, 20-33), vi dico con profonda convinzione:

 

Non mi sono mai tirato indietro da ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi…. Io vado a Lecce. Non ritengo in nessun modo preziosa la mia vita, convinto di essere evangelicamente un servo inutile. Ciò che conta è che io, nella fedeltà crocifissa all’obbedienza, conduca a termine il servizio che mi è stato affidato dal Signore Gesù: dare testimonianza al Vangelo.

 

Vegliate su di voi e sul gregge in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituito custodi.

 

Vi affido al Signore e alla  parola della sua grazia che ha la forza e il potere di edificare e santificare.

 

Non ho desiderato né oro né argento ma solo amarvi e donarvi la gioia e l’entusiasmo dell’essere con Cristo e solo con l’aiuto e la potenza della sua grazia, parte viva di quegli uomini che edificano il regno nuovo che è pace e gioia nello Spirito.

 

Il Signore vi custodisca, vi benedica, faccia splendere su di voi il suo volto e vi doni pace.     Amen

 


27/04/2009 S.E.R. Mons. Domenico Umberto D’Ambrosio