S.E.R. Mons. Domenico Umberto D’Ambrosio , OMELIA PER LA MESSA DI SALUTO ALL’ARCIDIOCESI DI MANFREDONIA-VIESTE-SAN GIOVANNI-ROTONDO

Toccare il mantello
Sabato 27 giugno 2009


 

Fratelli miei carissimi e desideratissimi,

 

 

 

1. ancora una volta ci ritroviamo in questa Cattedrale, convocati dal Dio tre volte santo. Questa sera siamo insieme in molti per celebrare il nostro rendimento di grazie, se possibile, chiediamo al Signore che sia un rendimento di grazie ancora più grande, per benedirlo  e lodarlo il Signore per il tempo di grazia che nel suo nome abbiamo condiviso attingendo alle stesse fonti della salvezza. Questo tempo di grazia sono i sei anni che hanno visto le nostre vite e i nostri progetti incrociarsi ancora una volta dopo che si erano separati ma solo fisicamente, perché il Signore si diverte a sparigliare le carte, le mappe e gli schizzi dei nostri progetti perché deve risultare  a noi sempre chiaro e cogente il sì ai suoi pensieri e non ai nostri pensieri, lontani  quanto è lontano il cielo che sovrasta la terra.

 

 

 

Vi accolgo tutti, fratelli amati e prediletti dal Signore, salutandovi con il bacio santo. Questa sera posso  dire che sono al traguardo della meravigliosa avventura che il Signore mi ha dato da vivere con voi. Con sorpresa e contro ogni lettura logica delle nostre cose, è giunto per me il tempo di sciogliere le vele che si muovevano al vento placido delle acque del golfo e della costa garganica. A Lecce dovrò piantare la tenda ma quella sicura e solida che se da una parte mi ricorderà la precarietà del pellegrino, dall’altra mi dirà che la fissa dimora è da cercare nella casa che il Signore sempre prepara per  tutti noi.

 

 

 

Saluto tutti voi, fratelli e sorelle qui convenuti dalle varie comunità dell’arcidiocesi, grato per il tanto bene che sempre mi avete saputo donare. Un saluto particolare a quanti sono costituiti in autorità per servire e garantire un vita serena, ordinata, tranquilla alle comunità tutte: il Signor Prefetto della Provincia di Foggia, l’onorevole Presidente dell’amministrazione provinciale di Foggia, il Signor Sindaco di Manfredonia, i Sindaci dei tredici comuni dell’arcidiocesi, le altre autorità civili e militari di ogni ordine e grado.

 

 

 

Come posso dimenticare i miei giovani, i giovani dal cuore grande? A voi , cari miei piccoli, grandi amici un saluto gioioso, grato con un groppo in gola. Siete stati miei festosi, generosi, entusiasti, geniali compagni di viaggio, soprattuo in questi due ultimi anni, protagonisti come siete del progetto pastorale diocesano.

 

 

 

Mi avete donato molto, avete in qualche modo abbassato e ridotto il numero die miei anni, mi avete radicato in una convinzione: questa Chiesa che sto lasciando crescerà, vivrà la gioia dell’incontro con Cristo con la consapevolezza di avere in voi lo stimolo per non arroccarsi, impigrirsi, scadere nella monotonia e svilirsi nella superficialità. Sarete voi a tenere sempre alta e sempre nuova l’esperienza esaltante del Cristo che allieta ogni giovinezza.

 

 

 

Grazie, cari miei giovani,siete nel mio cuore in pianta stabile. Nessuno vi toglierà Non mi fate sentire troppo la nostalgia della vostra assenza. I giovani di Lecce col loro Arcivescovo vi attendono come amici graditi e desiderati. Faccio mia un vostra professione di amore: vi voglio benissimo.

 

 

 

Ora un saluto particolarmente affettuoso e grato ai rappresentanti, Sacerdoti e laici, della prima Chiesa che mi ha accolto e amato come primizia del mio ministero episcopale: la Chiesa che è in Termoli-Larino.

 

 

 

Un rinnovato grazie alla Chiesa che è in Foggia-Bovino con la quale ho soltanto  assaporato le primizie e la gioia della comunione tanto breve è stato il mio servizio per loro e con loro.

 

 

 

Un abbraccio e un bacio santo alla mia amata: la Chiesa di Lecce e a coloro che qui la rappresentano. Una Chiesa che mi stanno attendendo ben oltre il consentito dalla legge canonica.

 

 

 

Ormai è proprio vero: presto, fra sette giorni verrò e resterò con voi. Vi guiderò e condurrò, con l’aiuto e la grazia del Signore, ai pascoli ubertosi. Sarò per voi l’economo della grazia divina, necessaria per non allontanarci dalla via santa. Per voi celebrerò i misteri santi e grandi della nostra fede. A voi spezzerò il pane della Parola che mi viene consegnata perché la annunzi a voi memore e fedele al mandato del Signore Gesù: fate discepoli tutti i popoli (Mt28,19), proclamate il Vangelo a ogni creatura (Mc16,15).

 

 

2. Presentandomi a voi nel vespro del 4 maggio di sei anni fa, prendendo spunto dal brano del Vangelo di Luca, l’apparizione di Gesù ai due discepoli sulla strada di Emmaus, vi dicevo che avevo voluto ricavare tre parole la strada , la Parola, il Pane spezzato che volevano essere quasi l’introduzione, ma già segnata e precisa, del mio servizio episcopale tra voi.

 

 

 

Al termine di un mandato o di un compito c’è sempre la tentazione del rito del bilancio o del resoconto  che talvolta si risolve in una richiesta di applausi ma in realtà molto spesso chiede all’estensore del bilancio la confessione del mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa. Ritengo del tutto arbitrario e fuori luogo, al termine del mio ministero tra voi, presentarvi  un bilancio. Tutti qui siamo gli evangelici ‘servi inutili’. Gesù ci ricorda che apparteniamo a questa categoria anche quando  abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare. Se qualcosa siamo riusciti a fare non è per nostre virtù o meriti ma per la potenza della sua grazia. Se ci prende la tristezza per non aver portato a termine qualcosa di bello che con cura meticolosa, con una sorta di caparbietà che appartiene a noi della roccia garganica, abbiamo perseguito e iniziato a realizzare, occorre ricordare le parole dell’Apostolo Paolo, questo vale soprattutto per il sottoscritto: “né chi pianta, né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere” (1Cor3,7).

 

 

 

3. La liturgia di questa 13.a domenica del tempo ordinario ci offre come sempre la ricchezza feconda e generosa della parola di Dio. C’è un’immagine/oggetto nel brano di Marco che ci è stato proclamato che mi incuriosisce e mi attrae e voglio leggere per voi e per me.  come ancora di salvezza e forza guaritrice da tutti i nostri acciacchi e da tutte le malattie:

 

 

 

il mantello di Gesù

 

 

 

“Una donna che …aveva molto sofferto per opera di molti medici spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e toccò il suo mantello….e sentì nel suo corpo che era guarita dal male” (Mc5,25.26-27.29)

 

 

Accanto al mantello di Gesù aggiungo un altro mantello

 

 

 

Il mantello di Elia

 

 

Leggiamo nel secondo libro dei Re laddove si parla del Profeta che sale nel turbine verso il cielo ed Eliseo che grida: “Padre mio, padre mio, carro d’Israele e suoi destrieri E non lo vide più. Afferrò le sue vesti e le lacerò in due pezzi. Quindi raccolse il mantello che era caduto a Elia, e tornò indietro, fermandosi sulla riva del Giordano (2Re2,12-13).

 

 

Tutti abbiamo bisogno dei due mantelli. Quello di Gesù per essere guariti da ogni genere di male e afflizione. Quello di Elia perché a nessuno di noi manchi lo spirito profetico per annunziare con coraggio e speranza la Parola e per vivere di essa.

 

 

 

Per voi ma soprattutto per me spero di poter raccogliere il mantello di Elia. Tra me e il Santo Profeta c’è un rapporto di devozione e di sicura protezione che data fin dalla mia infanzia. E’ il Santo Patrono di Peschici, la terra delle mie radici. Non chiedo come il suo discepolo Eliseo che siano in me i due terzi del suo spirito. Chiedo solo di poter raccogliere il suo mantello non per rabbonire le acque tumultuose e limacciose e dividerle sì che il mio camminare sulle acque della vita, non mi crei ostacoli o difficoltà, ma per sentirmi sorretto e salvaguardato, rafforzato e deciso, fedele e obbediente  a Colui che mi manda: “Figlio dell’uomo, tutte le parole che ti dico ascoltale con gli orecchi e accoglile nel cuore: poi va, recati dai figli del tuo popolo e parla loro. Ascoltino o non ascoltino, dirai : così dice il Signore” (Ez3,10-11).

 

 

 

Più che mai il vescovo è chiamato ad essere profeta che annunzia la parola, senza sconti e senza umane riduzioni. Forse abbiamo da constatare e con amarezza che è in forte crescita la categoria dei falsi profeti, degli accomodanti profeti, dei profeti che non parlano al posto o  per mandato di Dio, ma per conto dei potenti di turno che abbagliano  con  ammalianti promesse, con l’offerta di incenso maleodorante ai nuovi idoli che creano opinioni e furoreggiano con la cosiddetta morale laica che vuole porre quanto meno agli arresti domiciliari la bellezza e intangibilità della vita, il rispetto Sacro che vieta assalti e creazionismi artificiosi che  snaturano il divino originale progetto.

 

 

 

Ecco perché, voi ed io, abbiamo bisogno di raccogliere il mantello di Elia perché  non si intorpidisca la nostra rivolta contro il male e contro le ipocrite assuefazioni che ce lo vogliono presentare con le vesti dell’angelo buono. Fratelli miei continuate a pregare per me perché lo spirito di Elia anche a me a lui legato e a lui devoto, non mi venga a mancare e  possa ottenere anche a me come alla vedova di Sarepta  il miracolo dell’abbondanza dell’olio e della farina soprattutto nel tempo della carestia.

 

 

 

 

 

4. Il lembo del mantello di Gesù

 

 

Il miracolo più grande e la grazia che attendiamo e desideriamo soprattutto nei giorni bui dell’esistenza, nei giorni in cui le paure ripiegandoci su noi stessi , ci privano dei corridoi che lasciano passare qualche sprazzo di luce che rischiara, nei giorni in cui la sorella minore, la speranza, come la chiamava Charles Peguy, quasi scompare, è quello  di poterci avvicinare a Gesù, non per prendere il suo mantello ma solo per toccarlo, sorretti dalla stessa fede della donna: “Se riuscirò anche solo  a toccare le sue vesti, sarò salvata” (Mc5,28). A noi è sufficiente il gesto descritto da Luca: la donna si avvicina da dietro e tocca il lembo del mantello di Gesù per sfiorarlo e avvertire la forza risanatrice che l’amore di Cristo Gesù fa giungere a tutti noi per lenire le  ferite, guarirci dalle solitudini che mortificano, dalle sconfitte che scoraggiano, dai peccati che intristiscono.

 

 

 

Aggrappiamoci tutti  al lembo del mantello del Signore. Tutti quanti noi abbiamo da essere guariti e Lui solo ha il potere di risanarci e di guarirci. Dobbiamo essere guidati da una fede grande nella potenza risanatrice e guaritrice di Cristo per ciascuno di noi.

 

 

 

5.Cari miei fratelli presbiteri

 

 

I rischi in agguato per l’efficacia e l’autenticità del nostro ministero sono tanti. Ce n’è uno in particolare a cui ci ha richiamati il Santo Padre nell’omelia della messa celebrata per tutti noi domenica scorsa 21 giugno a San Giovanni Rotondo. “I rischi dell’attivismo e della secolarizzazione sono sempre presenti…Molti di voi siete talmente presi dalle mille incombenze da correre il rischio di trascurare la cosa veramente essenziale: ascoltare Cristo per compiere la volontà di Dio”.

 

 

 

E’ il momento in cui aggrapparci al lembo del mantello perché Gesù ci fa uscire allo scoperto con le sue parole e ci ristora con la sua forza guaritrice: “Qualcuno mi ha toccato. Ho sentito che una forza è uscita da me” (Mc5,46). E’ il momento in cui aggrapparci a lui in quel dialogo intimo, necessario e insostituibile che è lo spazio della preghiera e dell’invocazione.

 

 

 

6. Ora, carissimi tutti, vengo a dirvi grazie perché mi avete accolto, mi avete amato, siete stati con me  a condividere la gioia e la passione per questa porzione della vigna del Signore.

 

 

 

In questi sei anni vi ho annunziato e spezzato la Parola attraversando e percorrendo in lungo e in largo le tortuose strade del nostro Gargano accompagnato e guidato quasi sempre dal mio navigatore don Angelo , quello custode però. Vi sono stato vicino con discrezione ma con amore grande. Ho ricordato incessantemente il mio assillo, il mio tormento: il primato e l’impegno non per una vita da quattro spiccioli, ma una vita per la santità. Per questa santità che ancora non trova spazi ampi nella mia vita ma forse anche nella vita di tanti di voi, vivo la nostalgia di un di più che non c’è e la tristezza per una scommessa che ancora non riesco a vincere. Penso alle parole di un grande cristiano, Jacques Maritain: “Se un tempo bastavano cinque prove per dimostrare l’esistenza di Dio, oggi l’uomo le ritiene insufficienti e ne vuole una sesta, la più completa, la più autorevole: la vita di coloro che credono in Dio…

 

Quale compito ! Quale responsabilità, fratelli cari, mia e vostra!

 

 

 

7. Ora , fratelli e sorelle, ho da dirvi un grazie, da assicurarvi un posto privilegiato nel mio cuore, da garantire che nello spazio del mio incontro con Dio, fin  dalle primissime ore del mattino, voi sarete con me, vi porterò con me a Colui che solo può garantirci certezza di amore, garanzia di sostegno, forza per testimoniare fino alla fine l’amore che ci ha uniti.

 

 

 

Come l’Apostolo Paolo e con le sue parole vi saluto: “Ora vi affido a Dio e alla parola della sua grazia, che ha la potenza di edificare e di concedere l’eredità fra tutti quelli che da lui sono santificati. Non ho desiderato né argento, né oro…Voi sapete che alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani” (At20,32-34).

 

 

 

 

“ Ecco, Signore, ora davanti a te, il tuo popolo prediletto, che tiene davanti ai propri occhi la tua croce e i segni della tua passione. Per sei anni li hai affidati al governo di questo tuo servo piccolo e peccatore. Dio mio, tu conosci la mia insipienza, e la mia debolezza non ti è ignota….. Ora che mi hai chiesto di lasciarli per andare ad amare, guidare, sostenere, incoraggiare e rafforzare nella fede il popolo santo di Dio che è in Lecce da me già amato e consegnato alla potenza della tua grazia, li affido alle tue sante mani e alla tua tenera provvidenza, perché nessuno li rapisca dalla tua mano…, ma possano perseverare con gioia nel santo proposito, e perseverando ottengano la vita eterna con il tuo aiuto, o dolcissimo nostro Signore, che vivi e regni per tutti i secoli dei secoli. Amen “

 

 

 

Per questo tuo santo popolo intercedano, Signore, i Santi tutti del nostro vostro Gargano:

 

 

 

–      l’Arcangelo Michele che veglia su di noi dall’alto della santa montagna

 

–      il Santo nostro Patrono il vescovo di Siponto Lorenzo Maiorano che ci difende e protegge dall’assalto della barbarie e della violenza

 

–      il martire Giorgio testimone generoso di Cristo Gesù

 

–      San Pio da Pietrelcina, epifania dell’amore crocifisso, rivelatore della misericordia divina verso l’uomo fragile e peccatore.

 

 

 

Siate benedetti,

 

ora e sempre,

 

fratelli amati dal Signore,

 

amati dal suo povero fedele servo

 

il vescovo Domenico

 

 

 

Amen

 


27/06/2009 S.E.R. Mons. Domenico Umberto D’Ambrosio