Imparò l’obbedienza da ciò che patì (Eb 5, 8)

Imparò l’obbedienza da ciò che patì (Eb 5, 8)
Omelia perla Messa Crismale – 9 aprile 2009


1. È consolante e gioiosamente rasserenante l’antifona di ingresso di questa celebrazione della Messa del Crisma.

 

È il libro dell’Apocalisse che ha aperto l’ingresso ai santi misteri che stiamo celebrando:

 

“A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, Sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen” (Ap 1, 5-6).

 

Cristo Gesù, l’Agnello immolato, ha fatto di tutti noi un regno, ci ha costituiti Sacerdoti con la pienezza e la generosità del suo amore donato e oblato.

 

Viviamo in questa Eucaristia il mistero dei segni che con l’annunzio della Parola ci obbliga ad uscire dalle comode nicchie che garantiscono umane sicurezze e lasciare che lo Spirito del Signore ci conSacri con l’unzione. È la ricchezza dei santi oli che segnano il nostro ingresso nel popolo Sacerdotale e imprimono in modo irrevocabile, per alcuni tra noi, l’appartenenza al ministero che ci fa dispensatori dei Sacri misteri e annunziatori del Vangelo, buona novella, per i poveri, per i prigionieri, balsamo per curare le ferite e ricomporre la forza della speranza divisa e frammentata, dagli assalti delle nostre paure e fragilità.

 

In questa celebrazione sentiamo più che mai aleggiare su di noi il soffio dello Spirito per una missione che rinnova gli impegni, qualifica il nostro ministero in una dimensione di coraggio profetico che, lottando contro il cuore mesto, ci apre al canto di lode e di gioia.

 

2. Il modello al quale continuiamo a guardare per sentirci rincuorati e rafforzati è Gesù Cristo, il Sommo Sacerdote ‘misericordioso e degno di fede’.

 

È lui ‘degno di fede’, capace cioè di mettere noi, popolo santo, in relazione con Dio; è il ‘misericordioso’, capace di comprendere e di aiutare gli uomini.

 

Queste due note sono indispensabili per fare un Sacerdote. “Un uomo pieno di compassione per tutti i fratelli, ma non accreditato presso Dio, non potrebbe esercitare la mediazione Sacerdotale, stabilire l’alleanza… Noi presbiteri che partecipiamo del Sacerdozio di Cristo dobbiamo avere queste due qualità, queste due capacità di relazione”[1][1]

 

Cristo Signore, Sacerdote misericordioso e degno di fede, ci ricorda la lettera agli Ebrei, è causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, lui che “imparò l’obbedienza dalle cose che patì” (Eb 5, 8).

 

Guardando a Lui, icona di splendore e di bellezza, sentiamo di certo la fatica dell’obbedienza che purifica, rinnova e apre a spazi sereni di impegno e di servizio, ma avvertiamo il gioco leggero e soave che Cristo maestro riserva a noi, discepoli affaticati e stanchi.

 

Al termine dell’omelia, fratelli e sorelle, i vostri Sacerdoti rinnoveranno gli impegni di fedeltà e di obbedienza del loro ministero nelle mani del Pastore che guida questa Santa Chiesa. Io stesso, vostro pastore e custode, rinnoverò la mia obbedienza alla Chiesa, a voi Comunità santa, a voi fratelli presbiteri, che annunziate con me il Vangelo della gioia e della liberazione.

 

Ecco perché dirò a tutti voi: pregate per me, perché sia fedele al servizio apostolico affidato alla mia persona, sì che tra voi diventi ogni giorno di più immagine viva e autentica di Cristo Sacerdote, buon Pastore e Servo obbediente.

 

3. Non è ovvio, scontato e facile vivere come Cristo il mistero dell’obbedienza. Ce lo ricorda l’autore della lettera agli Ebrei: imparò l’obbedienza dalle cose che patì.

 

Gesù ha unificato la sua vita nell’atto di un’unica volontà: per ottenere la riconciliazione con Dio si è sottomesso in tutto alla volontà del Padre ed egli sa quanto costa accordarsi con questa volontà.

 

“Il Figlio di Dio sa quale pace, con l’aiuto della grazia, si trova nell’ubbidienza, ma sa anche quanto costi di dolore in questo mondo in cui il peccato oppone tenacissima resistenza all’amore di Dio”[2][2]

 

Cristo Gesù, Figlio di Dio, sempre pronto e deciso nel’obbedire: “Certamente egli era il Figlio e in quanto tale deciso ad obbedire; ma l’incarico di diventare Sacerdote era così gravoso che, nella lotta con il dolore, dovette passo a passo ‘imparare’ l’obbedienza, conquistata in ogni momento”.[3][3]

 

4. Fratelli miei presbiteri, se così gravosa è l’obbedienza del Cristo, quale non sarà la nostra o le nostre obbedienze?

 

Bisogna obbedire a Dio e sottometterci alla sua volontà e operare secondo il suo disegno.

 

Obbedisco a Dio quando accetto dalle sue mani la sofferenza che mi opprime.

 

Obbedisco a Dio quando sono capace di ripetere con Maria: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1, 38).

 

Obbedisco agli uomini quando essi mi rivelano la volontà di Dio.

 

Ma quale tormento molte volte leggere nella obbedienza agli uomini, che si presenta contorta, incerta, non limpida e con varie forme di pseudo ‘santa’ furbizia, per ottenere l’ubbidienza richiesta!

 

Nonostante tutto questo, alla fine, per amore alla parola data al Signore, per amore alla Chiesa che deve saper annullare ogni traccia di nebulosa caligine, in crucem ci deve essere l’obbedienza perché il mistero di Dio entra nella vita anche per queste strane vie traverse e si rinnova il nostro: ‘Eccomi, vengo a fare la tua volontà’.

 

Popolo santo di Dio, fratelli miei presbiteri, in questa sofferta adesione che non nasconde le miserie umane, si costruisce la santità della nostra vita e si tocca la Kenosis, l’annientamento che è del Cristo ma ora è anche dei suoi discepoli.

 

Puntiamo in alto, non restiamo nella palude melmosa delle difese di noi stessi e dei nostri diritti.

 

Attraversiamo la ‘selva oscura’ dell’umano conculcato e avvilito.

 

Usciamo a ‘riveder le stelle’ della libertà riconquistata che renderà agile e leggero il nostro quotidiano andare incontro al Signore.

 

 

Maria, vergine e serva dell’obbedienza,

 

aiutaci a ridire il nostro sì,

 

senza paure,

 

senza calcoli,

 

senza tentennamenti – per quanto possibile –

 

senza esose richieste di diritti

 

e di riconoscimenti per saldare il conto

 

della obbedienza rinnovata.

 

A te Madre di tutti noi, l’invocazione:

 

aiutaci ad essere servi obbedienti e fedeli

 

del Figlio tuo Gesù.

 

Amen

 

 

 


 

 

[4][1]        Card. Vanhoye, Accogliamo Cristo, nostro sommo Sacerdote, Città del Vaticano 2008, p. 43.

 

[5][2]        C. Bourghin, La passione di Cristo e quella del cristiano, in PAF, Triduo pasquale/3, Brescia 1970, p. 38.

 

[6][3]        Jeremias e Strathmann, Le lettere a Timoteo e Tito, la lettera agli Ebrei, Brescia 1973, p. 184.

 


10/04/2009 S.E.R. Mons. Domenico Umberto D’Ambrosio