OGGI DEVO FERMARMI A CASA TUA – Lettera pastorale

OGGI DEVO FERMARMI A CASA TUA – Lettera pastorale

DOMENICO D’AMBROSIO – Vescovo di Termoli-Larino


Termoli    luglio 1991


Domenico, chiamato al ministero dell’episcopato per volontà di Dio, alla Chiesa di Dio che è in Termoli-Larino, a quanti, presbiteri, diaconi, reli­giosi, religiose, laici, sono stati santificati in Cristo Gesù, chiamati ad essere santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore no­stro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cri­sto (1Cor 1,2-3).

Nell’indimenticabile e luminoso pomeriggio del 17 febbraio 1990, nel primo e festoso incontro con questa Santa Chiesa di Termoli-Larino, nell’omelia della Solenne Concelebrazione che dava inizio al mio servizio episcopale tra voi e per voi, dicevo:

Sarò felice se qualche volta mi riterrete degno di mangiare un tozzo del vostro pane, frutto della fatica delle vostre mani1.

Ora vengo a dirvi che è giunto il momento di questo incontro.

 

DIO VIENE A VISITARCI

Troppi faraoni, oggi come ieri, hanno il potere con la loro oppressione e con la forza di asservimento di cui sono capaci, di uccidere la speranza. Ma il Signore, qui ed ora, anche per mio mezzo, vi ripete le parole che affida a Mosè per il suo popolo: ! Riunisci gli anziani d’Israele e dì loro: Il Signore, Dio dei vostri padri, mi è apparso, il Dio di Abramo, di ISacco, di Giacobbe, dicendo: Sono venuto a vedere voi e ciò che vien fatto a voi in Egitto. Vi farò uscire dall’umiliazione dell’Egitto… verso un paese dove scorre latte e miele (Es 3,16-17).

Quante volte abbiamo sperimentato la triste e mortificante situazione della schiava Agar, sfinita e annichilita, presso una sorgente d’acqua nel deserto, visitata dall’angelo del Signore (cfr. Gn 16,7-11).

E anche per noi quanti inviati, quanti messaggeri di lieti annunci e di speranza!

Avviluppati come siamo da contorte, ermetiche ed orgogliose conquiste della nostra prosaica ed alticcia intelligenza, poniamo tra esse anche quella di Dio, incapaci di cogliere un unicum della rivelazione cristiana che ci fa consapevoli della inesausta condiscenza di Dio: non è l’uomo a cercare Dio ma è Dio che cerca l’uomo.

Vengo a rinnovarvi il lieto annunzio che dà significato non vano né meramente consolatorio alla nostra attesa di Dio, vengo ad invitarvi a rinsaldare la lode e la gratitudine perché il Signore Dio d’Israele ha visitato e redento il suo popolo (Lc1,68).

Viene e verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge (Lc 1,78). Il sole che sorge dall’alto è Gesù, l’ultima, definitiva e perfetta visita di Dio al suo popolo. Con lui l’attesa è finita, il tempo è compiuto (Mc 1,15).

Questo tempo è quello in cui viviamo: Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza (2Cor 6,2).

Non è difficile avvertire l’avvento e l’evento di questa salvezza: Non temere; annunzia alle città di Giuda: Ecco il vostro Dio. Ecco il Signore Dio viene con potenza… Come un pastore egli fa pascolare il gregge.. .porta gli agnellini sul petto e conduce pian piano le pecore madri (Is 40,9;10.11).

Solo il distratto, il superficiale e l’assonnato possono non sentire Colui che ci dice: Ecco sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò a lui, cenerò con lui ed egli con me (Ap. 3,20).

Lasciamo entrare il Cristo, apriamogli le porte. Un rifiuto, anche se frutto di superficiale distrazione, può comportare anche per noi l’amaro sfogo e le lacrime di Gesù sulla città santa: Se avessi compreso anche tu, in questo giorno la via della pace! Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi.. .Perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata (Lc 19,42-44).

Ecco allora il motivo di questa lettera ed il significato del gesto che mi vedrà per lungo tempo con tutti voi, in ogni comunità, pellegrino desideroso di dissetarsi alle sorgenti della fede degli umili e dei puri di cuore, di constatare la saldezza del legame che unisce noi tralci alla vite che è Cristo, di sciogliere i legacci dei dubbi e delle incertezze che frenano l’agile corsa della cerva alle sorgenti d’acqua, di godere ed esultare perché i monti dell’orgoglio sono stati abbassati e i luoghi impervi della durezza e insensibilità sono oramai spianati.

Finalmente verrò, mandato dal Signore, a confermare voi, i miei fratelli, nella fede. Apporre, cioè, non il burocratico sigillo (ce ne saranno tanti d’altronde!) ma garantire, in nome e per autorità dell’unico vero Pastore delle nostre anime, che questa nostra Santa Chiesa è degna di Dio, degna di venerazione, degna di felicità, degna di lode, degna di successo, degna di santità2..

VISITA PERCHÈ AMA

Le visite che i re facevano ai loro sudditi in tempi a noi remoti (ma non troppo!) davano luogo a grandi e straordinarie celebrazioni che coinvolgevano tutto il popolo ed erano occasioni per elargizioni e benefici particolari. Diventavano giorni in cui le ataviche miserie sembravano cedere il passo a fugaci momenti di benessere.

 

La visita di Dio, un tema che scandisce le varie tappe della salvezza, ha origine, probabilmente, in questi avvenimenti profani.

Le pagine del libro Sacro ci mostrano un Dio sempre presente e operante:

 

un Dio Signore e Creatore,

un Dio che cerca l’uomo e stabilisce con lui un’alleanza che rinnova continuamente di fronte alle infedeltà e ai tradimenti dell’uomo,

un Dio che ascolta il gemito degli oppressi,

un Dio che libera,

un Dio che dona una terra,

un Dio che non abbandona un popolo esiliato,

un Dio che rincuora con la speranza annunziata dai Profeti,

un Dio che si fa uomo…

….innumerevoli sfaccettature della perenne visita di Dio al suo popolo.

 

Questo incessante, variegato e mai ripetuto avvento di Dio nasce ed è ispirato dall’amore: visita perché ama e perché di rimando attende il nostro amore.

Visita per benedire, per consolare, per ammonire, per affidare una missione e per giudicare il grado e la fedeltà con cui la si è adempiuta.

Se occorre, Dio visita anche provocando una dolorosa lacerazione, quasi a carpire la risposta che gli fosse rifiutata. È il suo amore geloso a manifestarsi mediante questa specie di rapaci incursioni. Dio piomba improvviso sulla sua preda, la ghermisce quasi per distruggerla, ma in realtà per salvarla.

Soltanto voi ho eletto (ho amato con predilezione) tra tutte le stirpi della terra; perciò io vi farò scontare tutte le vostre iniquità (Am 3,2).

A queste “visite punitive”, che quasi lacerano il cuore di Dio prima ancora che quello del suo popolo infedele, seguirà però sempre una consolante manifestazione della sua misericordia che vuole rendere felici, con il dono della sua presenza, coloro che, pentiti, risponderanno al suo amore:

Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni…Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo, do uomini al tuo posto e nazioni in cambio della tua vita (Is 43, 1b-4).

La visita che in modo emblematico ed esaustivo rende comprensivo l’amore di Dio, visibilizzandolo, è l’incarnazione: E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14).

Solo i giusti d’Israele percepirono subito la realizzazione della promessa divina:

Maria: Eccomi sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto (Lc 1,38).

Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai        nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre (Lc l,55).

Elisabetta: Fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: Benedetta tu fra le donne e benedetto il       frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? (Lc 1, 42-43).

 

Zaccaria: Benedetto il Signore Dio d’Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo (Lc 1,68).

 

Presso tanti la visita di Dio nella carne troverà indifferenza, incomprensione, diffidenza ed anche ostilità: Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto (Gv 1,11).

 

LA CHIESA VISITATA DAL SIGNORE

A quanti però l’hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio (Gv 1,12).

 

All’inospitalità del popolo dell’Antica Alleanza subentra l’accoglienza e l’ospitalità del nuovo popolo di Dio moltitudine immensa… di ogni nazione, razza, popolo e lingua (Ap 7,9).

È il popolo della Nuova Alleanza composto dai familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti (Ef 2,19), che ha saputo riconoscere il tempo della visita del Signore, che vive la certezza del già: Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo (Mt 28,20) e la profezia del non ancora: Anche voi tenetevi pronti perché il Figlio dell’uomo verrà nell’ora che non pensate (Lc 12,40).

La visita del Signore, indispensabile e decisiva per la salvezza di chi ha accolto la parola, è un evento di grazia che dal giorno della Pentecoste accade nella Chiesa ogni giorno in forme e modi diversi che trovano l’espressione più eloquente e pregnante nella liturgia.

Caratteristiche di queste visite è che esse non sono appannaggio esclusivo o riservato agli eletti, come i profeti dell’antica alleanza. Questo è il tempo nuovo nel quale tutti noi, battezzati in Cristo Gesù, siamo la stirpe eletta il Sacerdozio regale la nazione santa (1Pt 2,9), visitata dal Signore per mezzo del suo Spirito: Io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie (Gl 3,.1).

La Chiesa continua ad avvertire e a fruire della visita del Cristo attraverso coloro che egli ha voluto quasi suo prolungamento, gli Apostoli e i loro successori fino al punto da ritenersi accolto o rifiutato nell’accoglienza o nel rifiuto riservati ad essi: Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato (Mt 10,40).

Il Signore Gesù viene a visitarci attraverso i nostri fratelli, in particolare attraverso i nostri fratelli più bisognosi, ricordandoci che la nostra capacità nel saper accogliere questa sua singolare visita, sarà parte integrante di quel giudizio con il quale egli ci annovererà tra i benedetti del Padre o ci rifiuterà come maledetti.

Saper scorgere la visita del Signore .nella persona dei fratelli nel gesto della carità che non discrimina e della ospitalità premurosa, ma non oleosa, può rigenerare la nostra vita dal profondo rendendola conforme a Cristo.

 

 

 

LA CHIESA NELL’ ATTESA DEL SUO SIGNORE

Il già e il non ancora connota il cammino della Chiesa, popolo di Dio in cammino. Gustiamo la gioia di una presenza sapendo però che finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore, camminiamo nella fede e non ancora in visione (2Cor 5, 6-7).

Questo cammino che percorriamo come un .pellegrinaggio verso la città santa dove incontreremo, e per sempre, il Signore, ha bisogno, per le inevitabili stanchezze e le ricorrenti tentazioni di abbandono, di rinvigorirsi con la forza della fedeltà: quali non dovete essere voi, nella santità della condotta e nella pietà, attendendo e affrettando la venuta del giorno di Dio (2Pt 3, 11-12) e con la scaltrezza della vigilanza: Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese… Tenetevi pronti, perché il Figlio dell’uomo verrà nell’ora che non pensate (Lc 12, 35-40).

Sappiamo bene che questo tempo di trepida attesa è da vivere nella dimensione della speranza che, nel mentre ci fa gustare la pienezza del dono che è Dio come in uno specchio, in maniera confusa (1Cor 13,12), ci spinge, sotto l’azione dello Spirito, ad un’incessante, gioiosa e, a suo modo, impaziente invocazione: Maranathà. Vieni, Signore Gesù (Ap 22,20).

 

VENGO A VISITARVI

 

 

 

Da diciassette mesi vivo nella dimensione di un servizio gioioso e totale il mio ministero di Vescovo di questa Santa Chiesa.

Fin dai primi giorni ho avvertito la gioia di una presenza e la sincera e affettuosa accoglienza della mia persona, una sensazione che con il passare dei giorni e dei mesi è diventata convinzione.

Posso dire di aver percorso in lungo e in largo e più volte la nostra diocesi: uomini e situazioni sono passati dai primi e fugaci approcci a incontri più approfonditi che evitano il rischio dell’oblio o della non sicura e valida significanza.

È mio vivo desiderio, come potete ben capire, di farmi tutto a tutti in una dedizione di servizio, di accoglienza, di ascolto che passi dall’entusiasmo del neofita accolto, applaudito ed osannato alla fatica del pastore che va a cercare, a conoscere, ad ascoltare, ad offrire la vita.

Venendo a cercarvi e a stare con voi vorrei passare dalla categoria dell’Arameo errante a quella di sicuro abitante di Sion.

Fermandomi e incontrandovi goderemo la gioia della fede che ci fa essere una cosa sola. In questa fede, per il ministero conferitomi da Cristo Signore, vi confermerò perché continui la vostra testimonianza e risuoni fino agli estremi confini della terra.

Verrò a voi nel nome del Signore: con nel cuore il suo amore, sulla bocca la sua parola, nelle mani la sua grazia da donarvi. Oro e argento non appesantiranno le mie tasche: semplicità e povertà caratterizzeranno la mia presenza. Esteriorità chiassose e inutili potrebbero distorcere il senso della mia venuta perciò saranno bandite. Il dono che desidero è la vostra presenza, il vostro incontro, la vostra disponibilità, la vostra generosa condivisione con i poveri, vecchi e nuovi.

La mia ricchezza siete voi. Può il Padre che veste i gigli del campo e nutre gli uccelli del cielo dimenticarsi di me?

 

 

 

LA VISITA PASTORALE

La visita pastorale è uno dei modi, e del tutto particolare, con i quali il Vescovo, tra un Sinodo e l’altro, mantiene i contatti personali col clero e con gli altri membri del popolo di Dio per conoscerli e dirigerli, esortarli alla fede e alla vita cristiana e per vedere con i propri occhi e valutare nella concreta efficienza le strutture e gli strumenti che sono destinati al servizio pastorale.

La carità pastorale è come l’anima della visita pastorale; il suo scopo non tende ad altro che al buon andamento delle comunità e delle istituzioni della Chiesa.

La visita pastorale è un’azione apostolica, è un evento di grazia, che riflette in qualche modo l’immagine di quella singolare e del tutto meravigliosa visita, per mezzo della quale il “Pastore supremo” (1Pt 5,4), il vescovo delle nostre anime (cfr. 1Pt 2,25) Cristo Gesù ha visitato e redento il suo popolo (cfr. Lc 1,68).

Con la visita pastorale, in modo evidente, il Vescovo si manifesta come principio visibile e fondamento di unità nella Chiesa particolare a lui affidata3.

Da queste affermazioni del Direttorio pastorale dei Vescovi e da quelle contenute nel Codice di Diritto Canonico ricavo i motivi della visita pastorale.

Ne presento tre.

Il primo è quello di approfondire la conoscenza di tutto il popolo di Dio affidato alle mie cure pastorali per dirigerlo lungo i sentieri della speranza cristiana ed esortarlo per un rinnovato cammino di fede.

Quale principio e fondamento di unità4 in questa Chiesa particolare, sento il dovere, ad immagine di Cristo, Buon Pastore, di conoscere le mie pecore e guidarle perché diventino un solo gregge sotto un solo pastore (cfr. Gv 10,14-16).

Il can 396 fa obbligo al Vescovo di visitare tutta la diocesi almeno ogni cinque anni.

Non è la prima volta che vengo a visitarvi. È però la prima volta in cui i miei occhi non correranno alle lancette dell’orologio ma fisseranno solo i vostri volti sui quali potrò leggere ansie, dubbi, interrogativi, desiderio di comunione. Non andrò via senza aver tentato di decifrare e di offrirvi le risposte che il cuore di un padre, fratello e amico vi saprà dare.

Il secondo motivo è quello di confrontarmi con tutti voi per esaminare, guidato non dall’efficientismo del burocrate ma dalla carità pastorale, i vari aspetti della vita di fede delle nostre comunità. Vi chiederò non statistiche rigorosamente fedeli ai canoni delle moderne indagini sociologiche (anche se un doveroso tributo a questa scienza vi sarà richiesto!) ma la possibilità di una comune verifica che, privilegiando la dimensione spirituale delle nostre comunità non escluda gli aspetti concreti che la incarnano nella storia.

In terzo luogo vengo a visitarvi per ripresentarvi il progetto di Chiesa che sottende al mio servizio in mezzo a voi e che si deve qualificare in una convinta, corale e personale partecipazione. Dovremo eliminare o almeno limitare i danni di una mentalità parassitaria, restringendo ed esorcizzando il malvezzo della delega, facendo riscoprire ad ogni battezzato l’insostituibilità del suo impegno, l’operosità della sua collaborazione e l’originale apporto della manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune data a ciascuno (1Cor 12,7).

 

 

 

IL PASSATO: MEMORIA VIVA

Poiché la visita pastorale tocca tutta la diocesi con le sue varie categorie di persone, di luoghi Sacri, di strutture e di istituzioni, offre al Vescovo una felice occasione per lodare, stimolare e consolare gli operai evangelici, di rendersi conto personalmente delle difficoltà dell’evangelizzazione e dell’apostolato, di riesaminare e valutare il programma di una organica azione pastorale, di raggiungere i cuori dei fratelli, di ravvivare le energie forse illanguidite, di chiamare infine tutti i fedeli al rinnovamento della propria coscienza e ad una più intensa attività apostolica5.

Sono l’ultimo di una serie di Vescovi che in questa Chiesa di Termoli-Larino, attraverso la visita pastorale, sono arrivati al cuore dei fratelli per ravvivare e rinnovare il grado della loro fede.

Ne cito fugacemente alcuni, non perché siano i primi della classe, ma solo per esigenze di spazio e di aderenza all’assunto iniziale. Neanche per il gusto di reminiscenze storiche o come tributo da pagare alla schiera dei laudatores temporis acti; ma per sottolineare che l’impegno di oggi e l’umile sicurezza della nostra fede trovano la loro spiegazione non nell’abilità delle nostre attuali intuizioni pastorali, ma in quel legame con il passato che ha il sapore della memoria viva che si salda con il presente proiettandolo, nel dinamismo profetico della speranza, verso il futuro.

 

Mons. Belisario Balduino (1555-1590), Vescovo di Larino.

Partecipò al Concilio di Trento, aprì il primo Seminario postridentino il 26 gennaio 1564, visitò la diocesi con notevole impegno e celebrò, due Sinodi. Di lui il Tria dice: acceso di zelo, si diede totalmente al governo della sua diocesi che era ripiena di triboli, li quali in quei miserabili tempi erano la delizia del zelo de’ vescovi6.

Mons. Giovanni Andrea Tria (1726-1740), vescovo di Larino.

Nella monumentale opera che egli dedica al Papa Benedetto XIV cosi scrive: Condottomi in residenza… tosto procurai fare quanto meno male potei. Fatta la prima Visita, celebrai il Sinodo7.

Mons. Tomaso Giannelli (1753-1768), vescovo di Termoli.

Compie quattro visite pastorali che sottolineano l’amore e la cura di questo zelante pastore, conoscitore profondo, puntiglioso e vivacemente critico, di uomini e cose. La sua opera Memorie8, un manoscritto che ha visto la stampa nel 1986, ne è una conferma.

 

Mons. Carlo D’Ambrosio (1775-1795), vescovo di Larino.

Portò a termine venti visite pastorali e fu definito uno dei pochi vescovi rischiarati dal Regno9.

Mons. Vincenzo Bisceglia (1851-1889), vescovo di Termoli.

Il suo episcopato è il più lungo: ricco di opere e di magnanima carità. Compì tre visite pastorali. Al termine dell’ultima (1869) così scrive nella relazione: Maxime dolendum! Populi mores ac sensus supra modum esse depravatos…10.

 

Mons. Oddo Bernacchia, Vescovo di Larino (1924-1960) e Termoli (1925-1962).

È il pastore buono intensamente amato dal nostro popolo11. Il suo ricordo è ancora vivo in tanti di noi. Corre l’obbligo a questa Chiesa di fare degna, grata e sincera memoria. Sento come mio dovere quello di riprendere con coraggio e lucidità la sua presenza tra noi liberandola da un oblio ingiustificato.

Nelle due Diocesi egli compì la visita pastorale e celebrò un Sinodo diocesano (1940) i cui Atti furono pubblicati nel 1941.

 

Mons. Giovanni Proni (1962-1970), vescovo di Termoli.

La sua visita pastorale (1967) fu contrassegnata dallo spirito e dalla novità del Concilio Vaticano II.

 

Mons. Cosmo F. Ruppi, vescovo di Termoli e Larino (1980-1986), vescovo di Termoli-Larino (1986-1988).

La visita pastorale fatta alle due diocesi (25 marzo 1962 – 1 dicembre 1983) è stato, a mio giudizio, un momento qualificante del suo servizio episcopale che, caratterizzato dal motto episcopale Fides victoria nostra, ha accentuato il valore insostituibile della fede come segno di sicuro e deciso inserimento della comunità cristiana nella storia del mondo.

 

 

 

LODARE, STIMOLARE, , CONSOLARE

L’ultima visita pastorale, aperta il 25 marzo 1982, è stata una delle grandi fatiche del mio predecessore Mons. Cosmo Francesco Ruppi, attuale Arcivescovo Metropolita di Lecce, allora Vescovo di Termoli e Larino, impegnato per ben due anni di città in città, di paese in paese, per portare a tutti la pace e la gioia del Risorto.

Questa mia prima visita pastorale, la prima in assoluto nella nuova diocesi di Termoli-Larino, che intendo compiere a lode e gloria della Santa, Una e Indivisa Trinità, per l’intercessione di Maria SS. Madre della Chiesa e dei Santi Patroni Basso e Pardo, di S. Timoteo e dei Santi Martiri Larinesi, vuole essere innanzitutto il gesto con il quale il Vescovo, l’episcopòs, ricorda a tutti il suo dovere di sentinella che dall’alto vigila, scruta, protegge, guida, orienta: Sulle tue mura, Gerusalemme, ho poste sentinelle; per tutto il giorno e tutta la. notte non taceranno mai (Is 62,6).

La visita pastorale è un modo privilegiato attraverso il quale il Vescovo adempie al monito del Vaticano II: Nell’esercizio del loro ufficio di padri e di pastori, i Vescovi in mezzo ai loro fedeli si comportino… come buoni pastori che conoscono le loro pecorelle e sono da esse conosciuti, come veri padri che eccellono per il loro spirito di carità e di zelo verso tutti12.

Abituati molto spesso a una lettura riduttiva e distorta del concetto di autorità, ne subiamo un condizionamento che legge il suo esercizio secondo parametri di potere, di decisioni, di giudizio.

Così la presenza dell’autorità è vista, e forse temuta, come controllo, ispezione, esame.

Verrò innanzitutto a lodare con voi il Signore per le meraviglie che la sua grazia e la sua benevola misericordia suscita in ogni comunità. Aiuterò tutti voi a uscire dalle mortificanti lamentele e geremiadi che appesantiscono a dismisura le naturali difficoltà dell’azione pastorale, per far emergere le voci e i segni di speranza: Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? (Is 43,19).

Spesso i risultati attesi ritardano. Le nostre previsioni si rivelano sbagliate e la tentazione più facile è quella dello scoramento che se, non ci fa tirare i remi in barca, di sicuro rallenta il ritmo e l’inventiva pastorale: Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi (Is 40,30-31).

La gioia ritrovata e un rinnovato vigore scaturiscono dalla fedeltà al servizio e dalla serena certezza che non a noi, ma al tuo nome da’ gloria, o Signore (Sal 115,1).

L’avventura spirituale di quel mirabile intreccio tra grazia e natura che si avviluppa e si dipana nel tempio di Dio che è ogni uomo non ha da rispettare calendari ritmati sul nostro tempo.

Il mistero è tale perché segue vie non ascrivibili o intellegibili a una lettura su schemi solo umani.

Il Signore viene a noi incessantemente. I sentieri del suo avvento dicono che sfuggono a noi le ancora numerose e inesplorate possibilità di risposte che la libertà dell’uomo può dare alla unica ma infinita proposta di Dio.

La consapevolezza di questa verità può essere valido antidoto a quei calcoli rigidamente matematici che vorrebbero sostituire la precisione e l’esattezza del numero alla sicura e soprannaturale libertà di Dio che plasma l’uomo nuovo.

Ritrovarci e riappropriarci di questa consapevolezza, stimolare e invitare a percorrere questo sentiero, darà alle nostre comunità e a tutti quelli che, trovati sulla piazza dal padrone nelle varie ore della giornata, saranno andati a lavorare nel suo campo (cfr. Mt 20,1-16), la, certezza, del salario garantito che si quantificherà nella capacità di scrollarsi di dosso sfiducia, scoraggiamento, parassitismo, soste ingiustificate e morsi fagocitanti la carica ,di speranza e di fiducia nell’azione della grazia.

 

 

 

DIFFICOLTÀ DELL’EVANGELIZZAZIONE

 

 

Il Vescovo in visita pastorale non può assumere le vesti del notaio che viene ad- autenticare con timbri e decreti le tante spie burocratiche dell’attività pastorale o a promuovere sul campo iniziative e progetti pastorali.

Non vengo,in mezzo a voi, quasi a prendere atto de visu della situazione che conosco ex auditu.

Non vengo a verificare la sintonia tra quello che si è scritto nella relazione sullo stato della parrocchia e quello che osserverò in maniera diretta nei giorni della visita alle comunità parrocchiali.

È anche partendo da questo, da quanto visto nelle precedenti e fugaci visite, da quello che ho ascoltato da tanti di voi, che affronteremo e metteremo in risalto, in vista di una efficace soluzione, le difficoltà sia dell’evangelizzazione sia dell’apostolato.

Forse non è fuori luogo chiarire il significato e la portata dei due termini.

Non sfugge a nessuno l’insistente e puntuale richiamo di Giovanni Paolo II a quella che egli chiama nuova evangelizzazione.

Ricevendo noi, Vescovi dell’Abruzzo e Molise in visita ad limina il 12 aprile c.a., il Papa ci ha parlato di uno stimolo pressante ad una nuova coraggiosa evangelizzazione, che sviluppi forme adeguate di catechesi soprattutto per gli adulti. È urgente, oggi, sostenere la fede dei credenti dando loro la possibilità di una continua formazione religiosa per approfondire sempre meglio il rapporto personale con Cristo. Un’opera missionaria questa di vasto respiro che Iddio affida in primo luogo a voi, Pastori del suo gregge, e che richiede impiego di mezzi, sinergia di iniziative apostoliche e, soprattutto, preghiera e passione d’amore per le anime13.

Queste parole del Santo Padre vogliono dire che anche tra noi è finita la politica degli allori, dei lustrini, delle onorificenze meritatamente acquisite.

La garanzia di una fede, resa sicura da tradizioni vidimate e autenticate dal tempo, e il naturaliter christianus che per secoli ci hanno fatto navigare su mari relativamente tranquilli, oggi devono misurarsi con una realtà, per molti aspetti, se non contraria, di sicuro radicalmente diversa.

Le nostre comunità oggi, accanto a un lavoro di consolidamento, di approfondimento del messaggio di salvezza, di testimonianza che possa vivacizzare e dare risposte più convincenti ai quesiti di tanti credenti, spesso preda di rigurgiti nostalgici ed estranei alla realtà presente, hanno bisogno di una riproposizione della evangelizzazione che i Vescovi italiani nel Documento-Base della catechesi definiscono… ministero essenziale alla Chiesa oggi come nei primi secoli della sua storia, non soltanto per i popoli non cristiani, ma per gli stessi credenti.

L’esperienza pastorale attesta, infatti, che non si può sempre supporre la fede in chi ascolta. Occorre ridestarla in coloro nei quali è spenta, rinvigorirla in coloro che vivono nell’indifferenza, farla scoprire con impegno personale alle nuove generazioni e continuamente rinnovarla in quelli che la professano senza sufficiente convinzione o la espongono a grave pericolo14.

Questa evangelizzazione è dimensione prioritaria e attuale anche presso di noi, dove comunità ricche di storia e di fede evidenziano, a contatto con le grandi rivoluzioni della nostra società, un marcato senso di stanchezza e risposte inadeguate alle sfide dell’oggi.

Siamo Chiesa, comunità dì credenti, che ha un incessante bisogno di riascoltare e ridirsi le ragioni della sua speranza: Popolo di Dio immerso nel mondo, e spesso tentato dagli idoli, la Chiesa ha sempre bisogno di sentir proclamare le grandi opere di Dio, che l’hanno convertita al Signore, e d’essere nuovamente convocata e riunita da lui. Ciò vuol dire, in una parola, che essa ha sempre bisogno d’essere evangelizzata, se vuol conservare freschezza, slancio e forza per annunziare il vangelo15.

Queste parole di Paolo VI, tratte dall’esortazione apostolica L’evangelizzazione nel mondo contemporaneo, ci richiamano a una attenta riflessione sui metodi della nostra azione pastorale che ha il fine, come ripetutamente ci ricorda il Concilio Vaticano II, di rendere, mediante la diffusione del regno di Cristo su tutta la terra a gloria di Dio Padre, partecipi tutti gli uomini della redenzione salvifica e per mezzo di essi ordinare effettivamente il mondo intero a Cristo16.

Privilegiare e programmare il nostro servizio con il nobile onere di lavorare affinché il divino messaggio della salvezza sia conosciuto e accettato da tutti gli uomini, su tutta la terra17, deve attivare una diversa, ragionata e motivata proposta di azione evangelizzatrice.

È politica del riccio sostenere, forse per tranquillità e anche per consapevole e colpevole illusione con noi stessi, che nella nostra pastorale non è necessario far posto alla evangelizzazione.

Una larga fascia di battezzati si disinteressa del fatto cristiano; non è ostile, ma il battesimo che li ha inseriti nella stirpe eletta, nel Sacerdozio regale e nella nazione santa (cfr. 1Pt 2,9), non esiste neanche tra i ricordi.

Nelle nostre piccole comunità di antica e mai discussa tradizione cristiana, dovremo utilizzare, analizzandone e approfondendone le cause, gli strumenti per riproporre l’annuncio della buona novella, partendo dall’oggi e dalle sue difficoltà che sono: da una parte, isolamento, stato di abbandono, denatalità, invecchiamento, spopolamento, atavica rassegnazione; e, dall’altra, inurbamento, industrializzazione, disoccupazione giovanile, convivenza e giustapposizione di mentalità diverse, disaffezione alla vita della polis, costume della delega, rifugio nel privato, assenza di rappresentatività.

Un tale messaggio deve significare il superamento di questa visione laica e rassegnata della vita con la riscoperta del “lieto annuncio” che salva l’uomo, restituendogli la gioia della sua dignità di figlio di Dio, chiamato a partecipare come artefice e protagonista alla costruzione della speranza per la quale dovrà essere sempre pronto a darne ragione a chiunque glielo domandi (cfr. 1Pt 3,15) .

Di fronte a questa serie di difficoltà emerge la novità, la specifica caratterizzazione e il cambio di mentalità che dovranno farci comprendere il tipo di apostolato da vivere e proporre.

Incontri, approfondimenti, analisi, programmazione pastorale, aiuteranno me e voi, dopo aver chiarito e fatto emergere la reale situazione della nostra Chiesa, a ritrovare, partendo dalla conoscenza obiettiva della realtà, il gaudio di una fatica per la quale è chiara la meta da raggiungere e l’utilizzo dei mezzi da percorrere, senza grossi scossoni o sorprese, le tappe e i traguardi intermedi.

PER UNA ORGANICA AZIONE PASTORALE

Molte volte la nostra azione pastorale è caratterizzata da un difetto visivo che colpisce soprattutto i giovani: la miopia.

Anche il sommo poeta parla della vista corta quanto una spanna.

L’affermazione del poeta pagano carpe diem spesso cattura i nostri progetti pastorali e, distorcendone l’originale significato, diamo questo stesso significato all’evangelico sufficit diei malitia sua (Mt 6,34).

Le improvvisazioni, gli individualismi, la frammentazione e privatizzazione dei servizi, gli eclettismi, espressione di una mentalità ampiamente diffusa nell’ambito soprattutto presbiterale, devono cedere il passo a una nuova capacità progettuale di ampio respiro che cerca il bene della Chiesa.

Non si può continuare a guardare l’azione e la pratica pastorale con l’occhio di chi sceglie solo quello che vale per la sua piccola realtà dimenticando che questa s’invera solo se si inserisce nella sua più grande e completa dimensione che è quella ecclesiale

Occorre partire da una reale autocritica che, annullando le tante veline offuscanti i nostri sguardi pastorali, ci restituisca l’esatta percezione del cammino delle nostre comunità.

Percezione che partendo dall’illuminazione della fede ci fa discernere o sottoporre gli avvenimenti al giudizio del Vangelo per riconoscere in essi quali sono i segni della presenza di Dio e i segni della presenza dell’iniquità. È la lettura profetica che consente di riconoscere la volontà di Dio sulla storia. È lo sguardo penetrante della fede che percepisce la presenza operante dello Spirito, i segni dei tempi e scopre altresì i segni del peccato individuale e collettivo e le strutture in cui si annida18.

È necessario portare a compimento quanto è stato avviato per un serio progetto di programmazione pastorale che, partendo da una lettura seria e documentata della nostra storia, sappia cogliere, con opportuno discernimento, le tante ricchezze presenti nella multiforme e variegata ricchezza di doni e specificità dei singoli.

Spesso una analisi superficiale e distratta ha impedito la massimalizzazione delle nostre risorse che in questo modo non hanno potuto esprimere la loro reale potenzialità.

Lavorando in questa direzione e con questi intenti, potremo usufruire di una grande opportunità: quella di entrare in relazione significativa e costruttiva con tutte le componenti della vita della Chiesa restituendo così una struttura organica e autentica alla realtà in cui operiamo.

La pastorale per essere autentica esige, come condizione indispensabile, strutture di partecipazione e di comunione, metodi di analisi, di riflessione, di discernimento, di pianificazione e di revisione: la pastorale dev’essere organica e pianificata19.

S’impone a tutti noi una decisa correzione: se da un lato non ci è estranea la riflessione e l’analisi della realtà, dall’altro ci ritroviamo un po’ resistenti allo studio e all’utilizzo dei metodi per organizzare l’azione.

Il Documento di Puebla dell’Episcopato Latino-Americano afferma: L’azione pastorale pianificata è la risposta specifica, cosciente e meditata, alle necessità della evangelizzazione. Dovrà realizzarsi in un processo di partecipazione a tutti i livelli delle comunità e delle persone interessate, educandole a una metodologia di analisi della realtà per riflettere su di essa partendo dal Vangelo, dalla scelta degli obiettivi e dei mezzi più adatti, e del loro uso più razionale ai fini dell’azione evangelizzatrice20.

Queste affermazioni ci mettono in guardia dal rischio della soggettivizzazione della pastorale che è azione della Chiesa, di tutto il popolo di Dio che, pellegrino, sperimenta l’opera e la presenza vivificante del suo Signore: Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre lo amerà e noi verremo a Lui e prenderemo dimora presso di lui (Gv 14,23). Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt 28,20).

Siamo invitati, sostenuti da queste parole, nel pullulare di ideologie che scartano dalla storia Dio come inesistente, inafferrabile o ininfluente, a far emergere i segni della sua presenza: È dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, cosi che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sul loro reciproco rapporto21.

I semi del Verbo, disseminati a piene mani, devono trovare terreno accogliente e pronto perché la loro presenza e il loro sviluppo ci facciano scoprire, denunciandole e smascherandole, le spire perverse del male e del peccato. In questo modo la pastorale diventa non soltanto una particolare metodologia di analisi, riflessione e di pianificazione ma l’esercizio della funzione profetica della Chiesa: è riflessione-orazione sulla realtà per ascoltare e scoprire la presenza divina; la sua perfezione è data dalla contemplazione di Dio “presente” nella storia e della storia nel suo cammino verso la pienezza di Dio che la trascende22.

 

 

 

RAGGIUNGERE I CUORI DEI FRATELLI

Il Vescovo, mandato dal Padre di famiglia, a governare la sua famiglia, tenga innanzi agli occhi l’esempio del Buon Pastore, che è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per le pecore23.

Chi riesce ad offrire la disponibilità della propria vita, attraverso chiari ed inequivocabili segni di testimonianza, non può risultare assente o distante alla vita dei fratelli.

Il Vescovo, a immagine ,di Cristo, Buon Pastore, va a cercare le sue pecore per conoscerle, per parlare loro, per ascoltarle, per aiutarle a liberarsi da quelle forme di solitudine che generano manifestazioni di sofferta incomunicabilità.

In questi mesi che mi separano dall’inizio della visita pastorale alle singole comunità, vivo e sperimento la segreta speranza che la paternità spirituale donatami nel Sacramento potrà trovare la sua evidente attuazione nel mio venire a voi, nello stare con voi, nell’affidarvi alla parola della sua grazia che ha il potere di edificare e di concedere l’eredità con tutti i santificati (At 20,32).

Di questa parola sono stato costituito maestro così come insegna il Concilio Vaticano II: I Vescovi sono gli araldi della fede che portano a Cristo nuovi discepoli, sono dottori autentici, cioè rivestiti dell’autorità di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella pratica della vita… 24.

Sono convinto che non le mie capacità, non la mia dedizione a voi, che è totale, non il prurito della novità, ma Cristo Signore, arriverà a voi non come uno dei tanti suoni che colpiscono e destano l’attenzione delle vostre orecchie, ma come parola di Dio viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio…che scruta i sentimenti e i pensieri del cuore (Eb 4,12).

Il Signore, anche per mio mezzo, vuole raggiungere e parlare al vostro cuore. Mi sforzerò, in uno stile di semplicità e di immediatezza, di facilitare il linguaggio che va dritto al cuore.

Sento di essere mandato a tutti. È mio desiderio tener fede al motto di questa lettera: devo fermarvi a casa vostra. Entrerò dove mi permetterete di arrivare. Il nemico che mi incalzerà sarà il tempo e quella parola di Gesù che mi spingerà a camminare e ad andare oltre: ho altre pecore che non sono di quest’ovile, anche queste io devo condurre (Gv 10,16).

Ho anch’io però delle preferenze che sono motivate da quelle di Gesù: i piccoli, i poveri, gli ammalati, gli anziani, gli incerti ed esitanti nella fede, i provati della vita.

In questo so di dovervi chiedere un sostegno: aiutatemi a cercarli, aiutatemi ad incontrarli, aiutatemi a sostenerli.

In questo cammino ho bisogno di tutti voi perché il Vangelo della carità abbia ad intridere fortemente 1’esperienza della nostra Chiesa chiamata a misurarsi e ad impegnarsi, con tutta la Chiesa italiana, perché si dilati la cultura e la testimonianza della carità: Forse – scrivono i Vescovi italiani – il momento è venuto in cui le ricchezze ereditate dalla millenaria tradizione ecclesiale, che è alle nostre spalle, i frutti dell’aggiornamento conciliare e le fresche energie di rinnovamento spirituale e comunitario fiorite in mezzo a noi possono convergere insieme in un atto concorde d’amore ai nostri fratelli: l’avvio, appunto, di una nuova evangelizzazione che abbia come suo cuore il vangelo della carità25.

ADEGUATA PREPARAZIONE

 

 

La visita pastorale richiede un’adeguata preparazione dei fedeli: questa può farsi attraverso speciali cicli di conferenze e di prediche sui temi della Chiesa particolare come comunione, della missione e dei ministeri dell’episcopato… Prima della visita ad opera di competenti, si svolgano inchieste e si rivelano dati sulla situazione socio-religiosa della parrocchia, che possano servire al Vescovo e agli Uffici interessati per avere il quadro reale della situazione, prendere gli opportuni provvedimenti e dare sicure direttive al ministero dell’apostolato26.

Poiché la visita pastorale è, nella Chiesa particolare, un singolare evento di grazia necessita di una adeguata, profonda e valida preparazione.

Nelle pagine precedenti ho scritto che questo primario impegno del Vescovo non tollera svalutazioni burocratiche. È un dono del Signore e in questa ottica deve essere accolto, condiviso e vissuto.

Propongo a tutti voi alcuni spunti che possono essere integrati e arricchiti da ulteriori iniziative che devono nascere sia nelle singole comunità parrocchiali sia nelle zone pastorali.

Sarà cura precipua di ogni operatore pastorale suscitare l’interesse, l’attenzione e la partecipazione fruttuosa di tutti a questo incontro tra la grazia del Signore che tenta di farsi strada nelle strette maglie dell’autosufficienza, orgogliosa ed isolante, e l’umile consapevolezza del nostro limite che si trasforma in corale invocazione perché inizi nella nostra Chiesa un reale cammino di conversione.

Ecco i momenti che ci vedranno coinvolti:

 

– Annunzio-Predicazione

– Preghiera

– Documentazione

 

 

 

ANNUNZIO

 

 

Nei prossimi mesi il testo di questa lettera pastorale sarà portato a conoscenza di tutti perché a nessuno sia preclusa la possibilità di approfondire la serie di sollecitazioni quivi contenute.

Accanto alle forme tradizionali (predicazione, incontri nei gruppi, movimenti associazioni…), che da sempre sono il veicolo privilegiato per la trasmissione degli atti del Magistero, dobbiamo pensare e far posto, nella civiltà della comunicazione, all’aiuto dei mass-media che sono spaventosamente latitanti nelle nostre strutture pastorali.

Approfitto della lettera pastorale per ricordare che diventa, oggi, incomprensibile l’assenteismo e il ricorrente lamentoso giudizio ad ogni proposta che miri ad introdurre, anche nella nostra Chiesa, una seria e puntuale informazione con notizie, iniziative e serie riflessioni sui grandi temi del nostro impegno apostolico. La storia cammina su varie e diversificate strade: non possiamo, con una caparbietà a volte ottusa e inconcludente, ostinarci a battere sempre le stesse strade che forse più nessuno oggi è disposto a percorrere.

Anche l’aggravio finanziario che da un serio, anche se limitato e mirato, impegno nel campo della comunicazione sociale deriverà alle nostre povere risorse, è da sopportare, memori di un insegnamento del Concilio: La Chiesa cattolica, essendo stata fondata da Cristo Signore per portare la salvezza a tutti gli uomini, ed essendo perciò spinta dalla necessità di diffondere il vangelo, ritiene suo dovere predicare l’annuncio della salvezza servendosi anche degli strumenti della comunicazione sociale ed insegnarne agli uomini il retto uso27.

Accanto all’annunzio e alla informazione nelle forme tradizionali e nella attivazione e formulazione di nuove e attuali metodologie, bisognerà curare e privilegiare una opportuna e incisiva catechesi che non potrà limitarsi a preparare fruttuosamente le giornate della visita pastorale ma dovrà raggiungere i cuori dei fratelli, ravvivare le energie forse illanguidite, chiamare tutti i fedeli al rinnovamento della propria coscienza e ad una più intensa attività apostolica28.

È un piccolo passo che dobbiamo muovere verso quella nuova evangelizzazione a cui ci richiama il Papa..

Il Vicario Generale d’intesa con l’Ufficio Catechistico Diocesano curerà la costituzione e preparazione del gruppo Gratuitamente date (Mt 10,8), formato da Sacerdoti, religiose e laici, che saranno disponibili per questa forma di catechesi provocata dalla visita pastorale.

I parroci prenderanno contatto con questo gruppo per organizzare, secondo un calendario prestabilito, le giornate di animazione per le loro comunità.

PREGHIERA

Il richiamo e l’urgenza della preghiera che chiedo a tutti voi non è la solita cornice che sta bene ad ogni quadro. Il primato dell’invocazione personale e comunitaria scaturisce dal fatto che, poiché ci prepariamo a un evento di grazia: Dio viene a visitarci, abbiamo bisogno della sua presenza e del dono del suo Spirito perché possiamo rendergli testimonianza.

Dobbiamo pregare e far pregare.

Chiedo a tutti, e in particolare alle anime conSacrate e ai sofferenti, di rimanere come Mosé, come Gesù sulla santa montagna, in un dialogo continuo con il Padre perché non distolga il suo sguardo da noi che, mandati da Lui a lavorare nella sua messe, sopportiamo il peso della fatica apostolica.

Siamo sicuri di essere sempre davanti al Signore.

Ho scritto una lettera a due Monasteri femminili legati in modo particolare alla nostra diocesi e a me, affidando loro il giogo soave della invocazione.

Pregano per noi le Suore Domenicane del Monastero di Loro Piceno (Mc) che speriamo, superate le tante difficoltà, di avere nel costruendo Monastero di Termoli e le Suore Clarisse Cappuccine del Monastero della Risurrezione di S. Giovanni Rotondo.

È bene che in questo campo ogni comunità sappia, in varietà di scelte e iniziative, moltiplicare i momenti di preghiera.

Opportune indicazioni saranno date nella bolla di indizione della visita.

 

 

 

DOCUMENTAZIONE

È ormai un dato acquisito in tutte le visite pastorali quello di farle precedere dalla compilazione di un questionario-relazione, croce e delizia dei parroci e degli addetti di Curia.

Il mio orientamento è quello di sostituire al più tradizionale e frequente questionario che si esaurisce in risposte monosillabiche e perciò neutre, una relazione che partirà dall’analisi della situazione socio-religiosa della parrocchia e si snoderà lungo le quattro funzioni o dimensioni ecclesiali:

 

– annuncio (Kerigma: evangelizzazione, catechesi, predicazione);

 

– celebrazione (Liturgia: eucaristia, Sacramenti, religiosità popolare);

 

– testimonianza (Diaconia: servizio, promozione umana);

 

– comunione (Koinonia: comunità, fraternità, partecipazione).

 

I timbri, le firme, le relazioni che accompagnano questo significativo momento della nostra Chiesa potrebbero ingenerare l’equivoco riduttivo e scadente di quella che chiamavo una formalità burocratica.

Questo lavoro di verifica serve, con un quadro aggiornato e preciso, ad offrire una valutazione esatta della situazione delle nostre comunità al Vescovo e agli uffici di Curia e può trasformarsi in un provocante stimolo, per i responsabili delle singole comunità, per rimotivare e riproporre la gioia dell’appartenenza alla Chiesa e l’impegno per una rinnovata presenza e testimonianza al mondo.

Essere in un posto da più anni (quando riscopriremo, gusteremo e accetteremo la originale appartenenza all’Arameo errante?) logora, abitua, sc1erotizza, rende ripetitivi. Una verifica a più voci può scoprire vie inesplorate sulle quali guidare il popolo di Dio in cammino.

La responsabilità della relazione compete al parroco. La sua discussione e la stesura possono essere un’ottima occasione per un dialogo e un confronto a più voci che alla fine potrebbe risultare una mossa vincente ai fini della crescita della corresponsabilità nei tanti collaboratori che vivacizzano e rendono possibile l’attuazione delle nostre mete pastorali. Perciò suggerisco che la relazione venga discussa e preparata dal Parroco con il Consiglio Pastorale dove c’è o con la creazione di una apposita commissione per la preparazione e lo svolgimento della visita pastorale.

…IN CAMMINO

 

 

Nello stendere questa mia prima lettera pastorale ho dovuto, per gli inevitabili impegni che non mi garantiscono lunghi spazi di riflessione, ritirarmi un po’ in alto, lontano dai luoghi operosi in cui ferve la vita degli uomini.

Ho gustato però la gioia di sentire voi, destinatari di questa mia lettera, a me vicini. Ho tentato di decifrare le vostre attese, di capire i vostri bisogni, di motivare le ragioni della vostra fede, di indicare ancora la novità del Vangelo, di chiedere l’ospitalità del vostro amore.

Verrò a visitarvi in nome e per autorità di Gesù, Buon Pastore, che mi manda a voi come servitore dell’unità nella carità29.

Porterò a voi la pace del Signore.

Vi annunzierò Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, (…) potenza di Dio e sapienza di Dio (1Cor 1,23-24).

Mi fermerò con voi, entrerò nelle vostre case, nei luoghi in cui si lavora per l’uomo e per la piena realizzazione della sua dignità (istituzioni civili, sociali, scolastiche, culturali, produttive), privilegerò i luoghi in cui si soffre e si attende la gioia di un incontro e la speranza di una condivisione (infermi, anziani, Ospedali, case di Riposo).

Non porterò con me né oro, né argento… né biSaccia da viaggio… né bastone (Mt 10, 9.10).

Torno a ripetere che è mia intenzione di evitare esteriorità inutili e chiassose che contrastano con quelle semplici manifestazioni festose… ordinate a suscitare nei cuori dei fedeli la coscienza della Visita come evento di grazia e quindi a farne maturare una maggiore abbondanza di frutti spirituali30.

Sarò attento ad evitare due eccessi: quello di attribuire eccessiva importanza agli incontri ufficiali e di massa e l’altro di una visita riservata ai pochi addetti ai nostri lavori (i praticanti chiusi nei loro gruppi e gruppetti).

Vengo a voi come Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire (Mt 20,28).

Accogliete questa mia attestazione di servizio come espressione di amore gratuito e generoso che mi lega a tutti voi.

Che possiate vedere nella mia visita il messaggero di lieti annunzi.

Ci accompagni in questo cammino l’intercessione e la protezione dei nostri Santi Patroni Basso e Pardo, di S. Timoteo, dei Santi Martiri Larinesi, e di tutti i Santi.

Maria, nel mistero della Visitazione, diventi per me e per tutti voi l’icona che modella il vostro e il mio cammino.

A Cristo, sommo Sacerdote misericordioso e fedele, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione (Ap 5,12).

Da Lui, nell’attesa di incontrarvi per essere pieno di gioia (2Tm 1,4), imploro per tutti voi grazia, misericordia e pace (2Tm 1,2).

 

 

 

 

Termoli, 19 luglio 1991

XXVI Anniversario della mia Ordinazione Presbiterale

 

NOTE

 

 

1. D. D’AMBROSIO, Adoratori in Spirito e Verità, pro manuscripto, Termoli 1991, 14.

 

2. IGNAZIO D’ANTIOCHIA, Ai romani, in I Padri Apostolici (trad. G. CORTI), Roma 1966, 121.

 

3. SACRA CONGREGATIO PRO EPISCOPIS, Directorium de pastorali ministerio episcoporum, Città del Vaticano 1973, n.166. La traduzione, anche delle successive citazioni, è nostra.

 

4. Lumen Gentium, n.23, in Enchiridion Vaticanum, I, 338.

 

5. ibidem.

 

6. G. A. TRIA, Memorie storiche, civili ed ecclesiastiche della città e diocesi di Larino, (Roma 1744) ristampa Isernia 1989, 710.

 

7. ibidem, V.

 

8. cfr. T. GIANNELLI, Memorie, (trascrizione e note di MICHELE DE GREGORIO), San Salvo 1986.

 

9. G. MASCIOTTA, Il Molise dalle origini ai nostri giorni, Campobasso 1988, 237.

 

10. cit. in B. D’AGOSTINO, Termoli e la Diocesi, Termoli 1977, 162.

 

11. ivi, 165.

 

12. Christus Dominus, n.16, in Enchiridion Vaticanum, 1, 608.

 

13. GIOVANNI PAOLO II, I nuovi problemi che interpellano i pastori richiedono una grande passione d’amore per le anime, in Osservatore Romano, 13.04.1991, 6.

 

14. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Il rinnovamento della catechesi, n.25, Roma 1988.

 

15 PAOLO VI, L’evangelizzazione nel mondo contemporaneo, n.15, in Enchiridion Vaticanum, V, 1605.

 

16. Apostolicam actuositatem, n.2, in Enchiridion Vaticanum, I, 916.

 

17. Apostolicam actuositatem, n.3, in Enchiridion Vaticanum, I, 920.

 

18. AA.VV., Da massa a popolo di Dio, Progetto pastorale, Assisi 1981, 81.

 

19. ivi; 98.

 

20. cit. in ivi, 100-101.

21. Gaudium et spes, n.4, in Enchiridion Vaticanum, I, 1324.

 

22. AA.VV., Da massa a popolo di Dio…, op. cit., 82.

 

23. Lumen Gentium, n.27, in Enchiridion Vaticanum, I, 353.

 

24. Lumen Gentium, n.25, in Enchiridion Vaticanum, I, 344.

 

25. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Evangelizzazione e testimonianza della carità. Orientamenti pastorali per gli anni ‘90, n.25, in Enchiridion CEI, IV, 2743.

 

26. SACRA CONGREGATIO PRO EPISCOPIS, Directorium de pastorali ministerio episcoporum, op. cit., n.169.

 

27. Inter Mirifica, n.3, in Enchiridion Vaticanum, I, 248.

 

28. SACRA CONGREGATIO PRO EPISCOPIS, Directorium de pastorali ministerio episcoporum, op. cit., n.166.

 

29. EPISCOPATO ITALIANO, Comunione e comunità: I. Introduzione al piano pastorale, n.40, in Enchiridion CEI, III, 671.

 

30. SACRA CONGREGATIO PRO EPISCOPIS, Directorium de pastorali ministerio episcoporum, op. cit., n.170.