Assemblea Diocesana

Assemblea Diocesana

Data: 25/09/2009

Assemblea Diocesana
Premessa
1. Non vi nascondo che vivo questo momento con intima gioia, con commozione e con trepidazione. Sono trascorsi 81 giorni dal festante incontro del 4 luglio scorso che ha segnato l’inizio del mio ministero pastorale tra voi. E’ la prima volta che incontro le varie realtà e ricchezze di questa Santa Chiesa nella persona dei presbiteri, diaconi, religiosi/e, operatori pastorali che con compiti e ministeri diversi costituite l’immensa schiera degli operai della vigna del Signore. Mutuando un termine in uso nei consessi istituzionali e politici, amerei definire questo nostro incontro come la riunione degli stati generali della nostra Chiesa e questa mia relazione, a secondo della storia delle varie democrazie, chiamatelo discorso della corona, o discorso sullo stato dell’unione.
Ma ho da dirvi che, accanto alla gioia che scaturisce dal vedervi e incontrarvi per la prima volta in tanti, provenienti dalle varie parrocchie della diocesi, dalle aggregazioni laicali, dai movimenti, per un appuntamento significativo nella storia della nostra Chiesa che, secondo una mia matura convinzione dovrà entrare nella ordinarietà del nostro cammino, c’è un senso di timore e paura originato dalla povertà della mia persona e dalle tante ricchezze e potenzialità di cui siete portatori.
Cum timore et tremore sono giunto a voi, consapevole dei miei limiti e delle mie povertà ma anche con una grande fiducia in Colui che ha voluto iniziare un’opera e di sicuro intende, con me e nonostante me, portarla a compimento.
E’ questo nostro incontro l’inizio dell’anno pastorale. Dunque è il momento nel quale tutti siamo chiamati a condividere un lavoro di programmazione e di impegni che devono scandire il nuovo anno pastorale, primo della gestione di Dado.
Saranno i responsabili degli uffici di curia a presentare le linee programmatiche che poi saranno discusse e definite nei lavori dei gruppi di studio. Sono grato al delegato arcivescovile don Fernando Filograna che ha guidato tutto il alvoro di preparazione e programmazione di questa assemblea, appuntamento che ci vedrà ogni anno convocati nel mese di settembre, dopo aver celebrato l’annuale convegno diocesano agli inizi della quaresima.
Questa mia relazione dunque è una sorta di discorso sullo stato dell’unione o in ecclesialese, potrebbe essere, mutatis mutandis, la prolusione del Cardinale Presidente all’Annuale Assemblea della CEI.
2. In questi primi due mesi ho corso in lungo e in largo la diocesi per una prima frettolosa presa di contatto, con il desiderio profondo di potervi conoscere, di entrare timidamente, con rispetto, nella ricchezza della storia di fede che è narrata dal ricco patrimonio di arte che a piene mani i nostri padri nella fede hanno saputo realizzare e trasmetterci.
Questo patrimonio ci viene affidato, con segni inequivocabili ed eloquenti, dalla straordinaria fecondità che la grazia del Signore ha profuso nella nostra Chiesa e che trova il suo concreto riscontro nella vita delle comunità che con vivacità non chiassose, ma con una forte presenza al territorio e con una discreta capacità di dialogo con le istituzioni e realtà locali, testimoniano la fedeltà a Cristo Signore e al mandato dell’annunzio del Vangelo.
Ora solo un accenno, ripromettendomi di farlo in modo più ampio e propositivo nel corso di questa mia introduzione, al ricco e variegato filone della religiosità popolare che ho potuto avvertire nella serie quasi innumerevole delle feste dei Santi Patroni per lo più estromessi dalle date del calendario liturgico universale e talvolta anche particolare, costretti ad affollare i mesi caldi dell’estate. Sulla religiosità popolare, questa dimensione non ancora del tutto compresa e valorizzata, talvolta, soprattutto negli ultimi cinquanta anni quasi ostracizzata – ne parlerò più avanti – siamo chiamati ad interrogarci e a progettare una ampia, documentata, pensata e operativa, corale riflessione in vista di un inserimento a pieno titolo nel progetto pastorale che nel corso dell’anno ci vedrà operosamente e intelligentemente impegnati per la sua definizione e presentazione alla comunità diocesana.
2. Sono venuto in mezzo a voi, come figlio e servo dell’obbedienza, sempre pronto a rinnovare l’adesione al Mistero di Dio nella mia vita, anche, anzi soprattutto, quando questo mistero scardina e annienta il progetto che il Signore ti aveva affidato come suo. Egli è l’imprevedibile, è il Veniente, non si stanca di bussare alla porta della nostra vita. Non costringiamolo a lunghe attese, in serbo ha sempre qualcosa di nuovo e di inedito da consegnarci e affidarci perché il suo Regno viva sempre le stagioni delle giovinezza aperte a speranze che rimotivano e rinnovano entusiasmi.
Queste affermazioni non sono il parto di elucubrate riflessioni ma il frutto di un’esperienza che anche recentemente ha avuto la sua conferma. Le speranze e gli entusiasmi, quando ci si consegna a Lui, ritornano in forza ad allietare la giovinezza a dispetto dell’anagrafe che pochi giorni fa mi ha ricordato che fugit ruina tempus.

3. Né per piaggeria, né per chissà quale captatio, meno che mai per fare buon viso a cattivo gioco, vengo a ripetervi che vivo con serenità e letizia l’ultimo dono che siete voi. Ringrazio il Signore perché mi ha scelto e inviato tra voi come pastore e guida delle vostre anime.
Soprattutto in queste ultime settimane mi fanno da guida nell’esercizio del ministero alcuni versetti (11- 18) del cap.10 dell’evangelista Giovanni: “Io sono il buon pastore (solo Lui , il Cristo è buono), conosco le mie pecore ( ci sto provando) e le mie pecore conoscono me ( mi auguro che anche voi mi conosciate o mi state conoscendo. Non fingo e non mi nascondo) . Mi piace riportare la nota esegetica della Bibbia di Gerusalemme: “la conoscenza deriva non da un processo puramente intellettuale, ma da un’esperienza, da una presenza; essa si effonde necessariamente in amore”.
Se c’è una convinzione di fondo e un atteggiamento costante nel mio agire e nel mio operare che da sempre mi accompagnano, è la ricerca di un dialogo sereno, sincero, diretto, non per mandato a dire, che vivo con quelli che il Signore mi fa incontrare. Non amo perifrasi o interpretazioni di sorta. Mi rendo conto che un simile porsi talvolta può generare qualche incertezza o incomprensione, forse anche sofferenza né voluta né cercata. Si cammina ciascuno e tutti sulla stessa strada. La responsabilità del vescovo è quella della guida che scaturisce dalla sintesi degli ascolti e dei contributi che si raccolgono senza precomprensioni o giudizi previ, raccolti, riportati e ascoltati. Mi sta a cuore l’attenzione, il rispetto e la fiducia a cui ogni mio interlocutore ha diritto. Il lavoro di discernimento scaturisce dall’ascolto diretto che aiuta a fare sintesi. Mi sono riproposto di far crescere tra noi in particolare tra vescovo e presbiteri, tra presbiteri, tra vescovo, presbiteri e laici, la stima reciproca, il volersi bene. Che non aumenti tra noi il numero dei murmuratores, delle isole, dei ricci ( penso che conosciate questo strano animale che oltre ad essere notturno quinid preferisce le tenebre… in presenza di altre presenze si chiude e tira fuori i suoi aculei)
C’è una Chiesa da amare, c’è una Chiesa da servire, c’è un Regno di Dio che deve crescere fino ai confini…. Non possiamo attardarci a raccattare e incollare i cocci che i nostri egoismi e le nostre reciproche ignoranze talvolta creano.
Siamo chiamati a camminare insieme nella forza dell’amore che edifica, costruisce la comunità. Ci è vietata la missione del solitario o in solitario. “La comunione della carità, continuamente illuminata dalla comunione della fede, ci porta avanti e ci dà serenità e pace” ( Card. Ballestrero ).

Cosa ho visto ?
4. Da lontano e da osservatore esterno e non coinvolto, in diversi modi guardavo alla Chiesa di Lecce, al suo cammino, al suo impegno di fedeltà a Cristo, al suo aver avuto pastori grandi, saggi, sapienti che l’hanno guidata in questi ultimi decenni, che hanno letto, interpretato, e si è fatta portare da quel grande vento dello Spirito: il Concilio Vaticano II. Questo vento ha agitato, scosso, trasformato, ridestato il suo cammino, le ha restituito la virtù del coraggio profetico. In fondo ci ha resi viandanti che non hanno paura di un percorso sconosciuto, sicuri che al nostro fianco c’è lo sconosciuto ma da noi conosciuto compagno di viaggio che ci fa dire “ Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?” (Lc24,32).
Questi nostro tempo, è un tempo nel quale i conclamati processi di normalizzazione, di appiattimento universale di valori, di tentativi subdoli ma anche palesi di imporre un’etica fai da te, sono terribilmente dilaganti. Scaturisce da questa constatazione l’urgenza del coraggio che ci libera dalle tante situazioni che ci fanno soccombere, ci mettono in crisi, ci paralizzano.
Questo chiama in causa, soprattutto noi pastori, vescovo e presbiteri. Proprio noi come la mettiamo con le nostre paure nell’annunziare il Vangelo, le nostre reticenze, i nostri equilibrismi verbali, le nostre preoccupazioni di non offendere nessuno e una sorta di automatismi di controllo per cui si bisogna annunziare il Vangelo ma…bisogna fare attenzione a che…il Vangelo non disturbi la cattiva coscienza di nessuno? Il coraggio del pastore, il coraggio dell’inviato è un momento essenziale, carissimi presbiteri, della nostra fedeltà alla missione che ci è stata affidata. Nei momenti di obnubilamento delle coscienze, nelle svolte che rimettono in discussione certezze e valori che siamo chiamati a vivere e annunziare, voi, carissimi tutti, avete diritto al coraggio di noi pastori, alla presenza, alla forza e, se occorre, alla consumazione della nostra vita per la fedeltà alla verità che ha un volto, un nome, un programma: Cristo Signore.
Recentemente Benedetto XVI in un’omelia per il conferimento dell’ordinazione episcopale a cinque nuovi vescovi ha detto: “Fedeltà non è paura, ma è ispirata dall’amore e dal suo dinamismo… La fede richiede di essere trasmessa: non ci è stata consegnata solo per noi stessi, per la personale salvezza della nostra anima, ma per gli altri, per questo mondo e per il nostro tempo. Dobbiamo collocarla in questo mondo, affinché diventi in esso una forza vivente; per far aumentare in esso la presenza di Dio”.
Mi auguro, anzi sono convinto che questi sono i connotati della testimonianza che i vostri presbiteri vi stanno dando . Bisogna crescere e rendere evidente ancor più la limpidità del nostro ministero e del nostro appassionato impegno per la causa di Cristo Gesù e del suo Vangelo
.
5. Credo che in questa passione per il Regno rimane scritta nella storia della nostra Chiesa ma anche nel ricordo vivo e grato di molti voi, il servizio episcopale dei Pastori che l’hanno guidata e amata negli ultimi cinquanta anni:
Mons. Francesco Minerva: per 31 anni è stato pastore vigile, saggio, forte e sapiente. Ha portato in questa Chiesa la novità e la profezia del Concilio che in qualche modo lo ha convertito per convertire e portare la sua Chiesa sulle nuove frontiere . Nei lunghi anni del suo ministero episcopale ha impresso il suo ritmo deciso, fedele alla tradizione ma anche innovatore. Ha dotato questa nostra comunità di opere segno, ha rivoluzionato l’assetto delle parrocchie e di altre realtà ecclesiali. Ha seguito e curato la formazione del clero. Il Signore ha concesso a lui, uomo di azione ma anche di grande preghiera, la gioia di vedere l’erezione della provincia ecclesiastica con la sede metropolitana in Lecce.
Di lui parlano le opere ma soprattutto il ricordo vivo, grato e affettuoso di tanti tra noi.
Mons. Michele Mincuzzi: non molto lungo il suo ministero episcopale tra noi ma ricco di quell’apertura alla realtà, al sociale, al mondo del lavoro che ha reso attenta tutta la comunità a quel dialogo fecondo della Chiesa con il mondo contemporaneo. Molti di voi ricordano la sua presenza, il suo deciso impegno in tante cause che vedevano mortificato l’uomo e la sua dignità, in molte battaglie per combattere il disagio e la povertà di molti.
Mons. Cosmo Francesco Ruppi: ha guidato per venti anni questa nostra Chiesa con il dinamismo intelligente e operoso che gli appartiene. Ampio e diversificato è stato il suo magistero che ha trovato la sua espressione più alta nel Sinodo diocesano momento culmine della crescita e della maturità della nostra Chiesa. Una indubbia ricchezza ma che per larghi tratti resta inoperosa, consegnata e affidata a un bel testo che fa bella figura e raccoglie polvere in tanti nostri scaffali. Prima di pensare a bei programmi sarebbe un atto di doverosa giustizia chiederci: che cosa ne abbiamo fatto del nostro Sinodo? Come inserirlo nei nostri itinerari pastorali? Ha da dirci qualcosa o molto per il nostro prossimo progetto pastorale?
Interrogativi non pleonastici o di maniera ma che chiedono una risposta già da tropo tempo. C’è qualche impegno in merito che deve scaturire da questa assemblea?
Anche per questo grande impegno di comunione ecclesiale il nostro ricordo e la nostra gratitudine affettuosa a Mons. Ruppi.

6. Forse qualcuno di voi si attende una mia parola che descriva la Chiesa di Lecce così come la sto conoscendo in queste prime settimane.
Posso dirvi che ho visto e sto vedendo una Chiesa bella, ricca, articolata, ministeriale, attenta alla povertà conclamate e a quelle emergenti. Di certo è una bella sposa non è ancora del tutto la sposa senza macchia o ruga. E meno male, altrimenti non avremmo da operare con concorde attenzione e con sapiente discernimento ai tanti segni di Dio per noi e tra noi,

E’ mio desiderio, nella fedeltà a una visione di Chiesa comunione che mi appartiene e che è uno dei frutti della riflessione e dell’insegnamento conciliare, promuovere, a tutti i livelli, nella comunità diocesana l’esercizio del dialogo Ciò che non ancora ho percepito anche perché poche sono state le occasioni è la verifica della qualità e dello stile della partecipazione sia a livello presbiterale sia a livello laicale e questo in particolare negli organismi di partecipazione, come ad esempio il Consiglio Presbiterale e il Consiglio Pastorale Diocesano che nelle prossime settimane saranno rinnovati.
Già diverse volte avete ascoltato una mia espressione: l’ultima parola è del vescovo. E’ ultima perché accoglie e sintetizza le altre parole. Ultima non unica. Bisognerà che il dialogo nella sua vera accezione trovi posto stabile nell’agire della nostra Chiesa. Abbiamo bisogno di ascoltarci e attenderci gli uni gli altri. Nessuno deve sentirsi escluso, inascoltato, non utile. Dovremo moltiplicare i luoghi del dialogo e del confronto. Penso ai corpi intermedi e alle varie realtà vicariali e parrocchiali. Devono diventare espressione vivace e cercata di una Chiesa che è nella storia, la sa interpretare e sa offrire quegli aiuti che portano dentro di essa la forza e il dono dello Spirito.
Nel dialogo sapremo ascoltarci, saprò ascoltarvi, saprete ascoltarmi.
C’è bisogno che entriate a pieno titolo nella vita, nelle attese, nelle decisioni che normano la vita della comunità. Dovete conoscere, dovete sapere, dovete poter dare il vostro contributo di esperienza, di professionalità ove occorra, il vostro amore alla Chiesa che ci è Madre. Oggi sono in uso tecniche che privilegiano un utilizzo abbondante del vetro anche nelle abitazioni. Mi auguro che insieme a tutti voi costruiamo una casa di vetro , trasparente, luminosa che eviti e/o riduca il malvezzo del chiacchiericcio e dei processi senza possibilità di appello, spesso causati dal fatto che nella casa che ci appartiene perché è la casa comune, possono entrare per conoscerla e frequentarla solo gli iniziati o i possessori della password.

7. Poc’anzi ho parlato di una Chiesa bella, ricca, ministeriale. Visitando le parrocchie, le quasi parrocchie e i luoghi adibiti per la celebrazione, non sempre in verità decorosi e degni del grande e santo mistero che andiamo a celebrare, Celebrando l’Eucaristia in occasione delle tante e numerose feste che abbondano forse a dismisura, spesso slegate dal calendario liturgico, ho notato la buona presenza di ministranti, lettori, accoliti. Non mi sfugge e plaudo alla importante scelta del diaconato permanente che vede molti nostri fratelli al servizio delle comunità e dei compiti che questa nostra Chiesa loro affida.

Sono grato al responsabile per il diaconato permanente e all’ufficio liturgico per il grande impegno per la formazione e l’accompagnamento dei diaconi e dei ministeri. Non mancano lamentele e richieste di appropriati interventi che domandano giusti riconoscimenti ma che chiedono anche un servizio , soprattutto in campo liturgico che non si accontenti di una qualsiasi presenza. Tutti, presbiteri, diaconi ministri vari, siamo chiamati ad essere una presenza Sacramentale, non una presenza decorativa del mistero santo.
Ritengo pertanto opportuno che ci sia una sosta che ci aiuti a riflettere sul significato dell’ordine del diaconato permanente, sul suo proprio ruolo, sul numero e sull’ esercizio all’interno della nostra Chiesa. Ove non siamo in grado di arrivare a questo giusto riconoscimento, di fatto siamo in questa situazione, è bene darci dei tempi perché la ricchezza del dono non venga mortificata dalla fretta e dal desiderio comunque di esserci.

8. Non può non preoccupare voi così come preoccupa e mortifica me, a volte con una intima e reale sofferenza, lo stile di alcune nostre celebrazioni e il non sempre atteggiamento di ‘stupore grato’ davanti al santo mistero. Ho dovuto assistere e per ora tacere a scelte prive di rispetto, di amore e di adorazione verso il mirabile Sacramento. Cari presbiteri, richiamo voi che siete i custodi di questa ricchezza ineguagliabile a non banalizzare il mistero. L’Eucaristia è posta nelle nostre mani e non nelle mani di chiunque. Siamone custodi gelosi. Non permettiamo di lasciarci espropriare per nostre inadempienze e nostre superficialità. Credo che dovrò, nell’arco delle prossime settimane, emanare un decreto con norme chiare ed esigenti sulla Santa Eucaristia, sulla sua conservazione nel tabernacolo, su chi è abilitato a trattare, a prendere, a portare e con quale atteggiamento di devozione, di rispetto e di stupore, il Santo mistero. Nulla di nuovo. Norme conosciute ma non sempre messe in atto.
Vi leggo alcune parole del servo di Dio Giovanni Paolo II nell’ultima sua Enciclica Ecclesia de Eucharistia al n. 52 : “A nessuno è concesso di sottovalutare il mistero affidato alle nostre mani: esso è troppo grande perché qualcuno possa permettersi di trattarlo con arbitrio personale, che non ne rispetterebbe il carattere Sacro e la dimensione universale”.

9. Per quanto riguarda l’organizzazione dei servizi e la vita degli uffici di Curia, mi corre l’obbligo di una parola di gratitudine per i tanti tra voi che con abnegazione, intelligenza, dedizione ed entusiasmo, prestano la loro opera. E’ un servizio a favore della comunità diocesana. E’ dunque bello pensare che ci sia una sorta di avvicendamento. Non è giusto che si rimanga in pianta stabile per permettere, secondo competenze e disponibilità, un avvicendamento in modo che si avverta l’ecclesialità di un servizio, talvolta ingrato e non del tutto riconosciuto, e una più ampia conoscenza delle problematiche inerenti la nostra Chiesa.
Adesso non vi allarmate: è solo un’idea su cui riflettere in vista di decisioni che se condivise, guardano al futuro.

10. Una piccola noticina in merito all’organizzazione divisione delle nostre parrocchie, delle quasi parrocchie, dei responsabili nella guida delle stesse. La Chiesa saggiamente ha voluto fissare un limite di età all’esercizio del ministero di guida nelle parrocchie e anche nelle diocesi come ben sapete. Non si rimane a vita con responsabilità di guida. I Sacerdoti sono invitati, il diritto canonico dice: enixe rogantur, sono pregati vivamente, a presentare al vescovo la rinunzia all’ufficio giunti ai fatidici 75 anni. Sono grato a qualcuno di voi che ha voluto presentare al sottoscritto la rinunzia a qualche incarico e per età e per la scadenza dei nove anni. Il vescovo valuta con attenzione e invoca il dono dello Spirito. Ora, vi ripeto,non vi allarmate: tutti restano al loro posto. Ma è indubbio che fra qualche mese, con pazienza serena, nello stile del dialogo e del confronto fraterno, sarà opportuno mettere mano a tutte queste situazioni.
Credo che una riflessione approfondita, non disattendendo le normativa canoniche e le decisioni sinodali, vada fatta con serenità ma anche con coraggio. Siamo chiamati, soprattutto noi presbiteri, a una coraggiosa conversione pastorale che domanda un cambio di rotta
– nel tipo di presenze pastorali,
– negli avvicendamenti che rinnovano e rimotivano, parlo per personale esperienza,
– nella convergenza di scelte pastorali che va attuata da subito, e di sicuro nei nostri paesi, che vedono la presenza di due o più comunità parrocchiali,
– nella concreta attuazione di una pastorale unitaria nelle quattro vicarie,
– con il ritorno dei Sacerdoti nelle case canoniche. Non possiamo lasciare vuote e inservibili o destinate ad altri fini strutture che oltretutto hanno inciso notevolmente sulle nostre magre risorse finanziarie. Anche questo è un dovere di giustizia da non trascurare. La comunione tra presbiteri deve vedere il moltiplicarsi di fraternità presbiterali. Mi piace leggervi a questo proposito una riflessione di Vittorino Andreoli, lo psichiatra che ha curato per diversi mesi la rubrica del mercoledì Preti e noi di Avvenire. Lo stesso in un suo libro recente dal titolo Preti, viaggio tra gli uomini del Sacro, regalatomi da uno di voi e gli sono grato anche per questa opportunità oltre che per il regalo, ha un intero capitolo dal titolo La canonica.. Alcune sue affermazioni:”Sono convinto che ogni Sacerdote abbia bisogno di una casa, di un’abitazione personale, e semmai di ‘un’organizzazione di gruppo, canonica, cenobitica….Io difendo l’abitazione del Sacerdote, in cui possa ricevere gli amici quando può e ne ha voglia, i parenti, gli altri Sacerdoti, ma possa anche chiudere la porta e accendere il televisore abbandonandosi alle immagini senza pensare, senza approfondire, ma anche spero senza cadere nella stupidità propria di certi canali…L’abitazione del prete deve essere una casa severa: senza orpelli,senza l’esposizione di cose inutili magari preziose, essenziale si potrebbe dire….Un’altra caratteristica: luogo di pace, perché non c’è mai nulla che giustifichi la disperazione se solo si crede in Cristo e nella Provvidenza…un casa in cui ciò che deve dominare sono due oggetti: gli inginocchiatoi e i crocifissi” ( V.Andreoli Preti,,,Milano 2009,p.169).

11. A tal proposito voglio comunicarvi un sogno che, all’improvviso mi si è materializzato e l’ho concretizzato. Nella casa del vescovo c’è una foresteria che è stata ristrutturata ma manca dell’arredo e delle ultime rifiniture e di una comunicazione diretta con l’episcopio. Ho sognato una qualche forma di vita in comune, ripensando alla bella esperienza del Vescovo Agostino ad Ippona. Lo so che mi sono spinto un po’ troppo in alto ma qualche modello a cui guardare ci deve pur essere!
Entro Natale la foresteria sarà pronta e i teologi del sesto anno che andranno a Molfetta, ma dal giovedì al lunedì pomeriggio torneranno in diocesi per il servizio pastorale presso alcune comunità parrocchiali, dove vanno? Chi li accoglie? Il vescovo! Saranno con me. Li potrò conoscere più da vicino e sarò aiutato da questa vita fraterna a fare discernimento su di loro per l’ammissione al diaconato e al presbiterato. Penso che siate d’accordo e contenti anche voi.
E allora per questa novità che ne dite? Penso alle comunità parrocchiali, a qualche gruppo o movimento ecclesiale, a qualcuno tra voi a darmi una mano per l’arredo e l’avvio della vita comune dei nostri giovani teologi con il vescovo? Su questo non ho da aggiungere altro: solo grazie!
Si tratta di un piccolo segno nella dimensione della vita fraterna che muove i suoi primi passi in questo anno Sacerdotale. Penso alla difficile vita comune tra il Santo Curato e il suo vicario. Voi, fratelli e sorelle che siete destinatari della ricchezza di doni e grazie che il Signore pone nelle nostre mani per dispensarli a voi, in questo anno ci aiuterete ad essere Sacerdoti veri, al vostro fianco come silenziosi compagni di viaggio e come uomini di preghiera che contemplano il mistero e lo narrano a voi.

E’ mio desiderio che in questo anno, anno Sacerdotale, anno della riconciliazione, anno di grazia, voi possiate scoprire il vero volto del presbiterio che vive e serve la Chiesa che è in Lecce e offre a tutti voi ”l’umile e quotidiana proposta delle parole e dei gesti di Cristo, cercando di aderire a lui con i pensieri, la volontà, i sentimenti e lo stile di tutta la propria esistenza”. (Benedetto XVI, Lettera per il 150° di S.G.M.Vianney ) .

12. Una parola sul Seminario Arcivescovile e sulla pastorale vocazionale che da anni vede l’opera di un giovane Sacerdote dedicato a questo settore a tempo pieno.
In questo anno scolastico gli alunni del nostro Seminario sono appena tredici. Abbiamo però la grande ricchezza dei giovani teologi che frequentano il seminario Regionale di Molfetta. Ne sono 20. Credo, anzi sono convinto che dovremo attivare una diversa pastorale vocazionale che abbia a cuore le dinamiche della fase adolescenziale e si faccia presenza più ravvicinata e costante ai gruppi di ministranti e di giovanissimi che sono presenti nelle nostre comunità.
Potete ben capire come a fronte di questi numeri e a fronte della vastità dell’edificio Seminario, è notevole il dispendio di energie e di risorse finanziarie che, sommate all’impegno da sostenere per il funzionamento del liceo classico, ci pongono serissimi problemi di bilancio.
Ecco perchè voglio chiedervi un aiuto. Le nostre magre finanze piangono! Siamo in grosse difficoltà di ordine economico. Per lo stile di partecipazione e di condivisione di compiti e responsabilità, mi sembra doveroso mettervi a parte, non tacere né escludervi dalla conoscenza della situazione della nostra diocesi anche in campo amministrativo. Troppi e onerosi gli impegni di ordine finanziario ( nuovi complessi parrocchiali, seminario arcivescovile, liceo classico, situazioni pregresse…..). A tutti questi pesi bisogna far fronte con le nostre magre risorse e con gli scarsi fondi dell’8/°°.
Stiamo studiando alcune opportune soluzioni per ridimensionare gli spazi e ridurre i costi.
Cosa posso e so chiedere alla diocesi: un’attenzione e un sostegno più simpatico e pesante anche in termini di solidarietà concreta, alla vita della nostra Chiesa e in particolare allo sviluppo del Seminario Arcivescovile e all’aiuto ai nostri seminaristi teologi. Spero che la prossima giornata del Seminario ci aiuterà e fare di questa istituzione una realtà vicina e ancor più amata da tutta la comunità diocesana.

In conclusione

13. Non intendo concludere perché stiamo soltanto partendo nel nome del Signore, con l’aiuto dei Santi tutti, sotto lo sguardo intercedente dei nostri Patroni, di S. Giovanni Maria Vianney, di San Pio da Pietrelcina.
Ho voluto mettervi a parte di, prendo in prestito con qualche personalizzazione alcune espressioni della prima lettera di Giovanni “quod audivi, quod vidi oculis meis, quod perspexi et manus meae contrectaverunt. Dunque ho voluto mettervi a parte di qualcosa di ciò che ho ascoltato, di ciò che ho visto di ciò che guardato attentamente, di ciò che ho toccato con mano in questi primi due mesi e ventuno giorni della mia presenza a casa. E’ lo sguardo dello sposo innamorato della sua sposa. Un amore che è senza riserve, generoso, donato e dedicato. Un amore però che nel contemplare la bellezza della sposa non si è lasciato sfuggire qualche piccola ruga e qualche piccolo difetto da correggere insieme a tutti quelli che fanno parte della casa.
Siano rese grazie al Signore perché qui mi ha voluto, qui mi ha mandato, qui ha inteso fissare per l’ultimo trasloco la mia tenda.
Un grazie a tutti voi. Mi avete accolto a braccia aperte ma anch’io non ho chiuse le mie. Questo rende più facile e più sorprendente l’affetto che mi lega a ciascuno di voi e l’amore che nutro per questa Chiesa Santa.
“ Alla Vergine SS. affido questo anno Sacerdotale, chiedendole di suscitare nell’animo di ogni presbitero un generoso rilancio di quegli ideali di totale dedizione a Cristo ed alla Chiesa che ispirarono il pensiero e l’azione del Santo Curato d’Ars”(Benedetto XVI).

Autore/Fonte: Mons. Domenico D’Ambrosio