‘Testificari evangelium gratiae’. Il motto episcopale e lo stemma dell’arcivescovo Panzetta
articolo ripreso da portalecce
Generalmente il motto e lo stemma di un vescovo sono la carta d’identità di un pastore. Ne indicano le radici, la spiritualità ma, anche la mission. Insomma, sono le sue prerogative, i progetti pastorali… un’istanteanea del suo servizio alla Chiesa di Dio.
“Testificari evangelium gratiae” (At 20,24): questo il motto che campeggia sullo stemma episcopale che mons. Angelo Raffaele Panzetta, arcivescovo coadiutore di Lecce, volle in calce allo stemma dopo la sua elezione ad arcivescovo di Crotone-Santa Severina.
“Un motto – è spiegato in una nota pubblicata dalla diocesi calabrese alla vigilia del suo ingresso solenne nel gennaio 2020 – che è ispirato alle parole che l’apostolo Paolo rivolge agli anziani di Efeso dopo averli fatti giungere da lui a Mileto e ricorda la sintesi reale del compito affidatogli da Gesù, che è quello di ‘rendere testimonianza al vangelo della grazia di Dio’ (testificari evangelium gratiae Dei). Motto che è anche l’obiettivo ultimo individuato dall’arcivescovo per il suo ministero episcopale, anche per quello leccese appena iniziato: essere un testimone della grazia di Dio, ossia un segno credibile della bontà salvifica del Padre che si è manifestata definitivamente in Cristo».
Riguardo allo stemma dell’arcivescovo Panzetta, si tratta di uno scudo inquartato d’argento e d’azzurro: nel primo quadrante una fiamma di colore rosso; nel secondo quadrante la stella mariana; nel terzo quadrante sono presenti due burelle ondate, sostenenti una barca con vela d’oro; nel quarto quadrante il castello torricellato di tre pezzi al naturale, aperto e finestrato del campo.
L’ornamento esterno allo scudo, caratterizzante lo stemma di un arcivescovo, oltre ai venti fiocchi verdi, è la croce astile arcivescovile. Tale croce, detta anche “patriarcale”, a due bracci traversi, identifica appunto la dignità arcivescovile: infatti, nel XV secolo, essa fu adottata dai Patriarchi e, poco dopo, dagli arcivescovi.
Il castello, che campeggia nel quarto quadrante, vuole richiamare sia l’origine di don Angelo, Pulsano nel tarantino, nel cui centro sorge il Castello De Falconibus, sia i luoghi di prima destinazione, le terre crotonesi, ricche anch’esse di castelli medievali.
Sul quadrante superiore appare la stella, classico simbolo dell’iconografia mariana che ricorda il santuario di Pulsano dedicato alla Madonna di Lourdes ma costituisce anche richiamo alla Stella Maris uno dei tanti titoli assegnati a Maria, la nostra Madre Celeste.
La fiamma, posta nel primo quadrante, simboleggia la grazia pentecostale dello Spirito Santo che dovrà illuminare il vescovo Angelo, chiamato a guidare questa porzione del popolo di Dio affidato alle sue cure pastorali, una porzione della Chiesa qui raffigurata dalla barca di Pietro, spinta dal vento dello stesso soffio divino.
I colori dello scudo sono l’argento e l’azzurro: il primo è il colore della trasparenza, quindi della verità e della giustizia, doti che devono corredare quotidianamente lo zelo pastorale del vescovo; l’azzurro è adottato come colore della incorruttibilità del cielo, delle idealità che salgono verso l’alto; rappresenta il distacco dai valori terreni e l’ascesa dell’anima verso Dio.