solo preti innamorati di Dio generano alla fede

solo preti innamorati di Dio generano alla fede

articolo ripreso da portalecce

Si è conclusa ieri, giovedì 9 settembre, la tre giorni di riflessione, studio e confronto che l’arcivescovo Michele Seccia ha voluto per il clero leccese da titolo “Una pastorale tra la fragilità e la speranza. Impegno di comunione in stile sinodale”.

 

 

 

Dopo la preghiera dell’ora terza, a far calare il sipario su questo tempo di grazia è stato don Armando Matteo, docente presso la Pontificia Università Urbaniana, con una relazione vibrante e coinvolgente sul tema “Generare-trasmettere la fede” (con particolare riferimento agli ambiti della catechesi e della pastorale familiare).

Da subito Matteo ha delineato l’orizzonte che caratterizza la vita ecclesiale, sempre più priva di giovani che in essa possano incontrare il segreto del proprio vivere e possano trovare lo spazio vitale in cui essere protagonisti.

Ha affermato: “Cari confratelli ci lasciamo toccare da assemblee sempre meno caratterizzate da giovani oppure questo è un dato che non desta allarme? Se non comprendiamo che la riuscita del nostro ministero è condensata nella sublime attività di annunciare Cristo e di portare a tutti il fuoco del suo Vangelo, allora diverremo degli abili attivisti ma non degli innamorati del Signore“.

C’è dunque un mito da sfatare ed è il luogo comune secondo cui i giovani sono privi di iniziative, mancanti di valori, senza il desiderio di costruirsi e di costruire il loro domani. Se questo dato è vero, il mondo degli adulti ha bisogno di una verifica attenta, veritiera, fatta con lo scopo di crescere e di invertire la rotta.

Ancora don Armando: “Non è male dare uno sguardo al mondo dei cosiddetti grandi che, sempre più sperimentano un cambiamento che porta gli stessi ad una fede sempre più marginale. Se è vero, pertanto, che i sacramenti non hanno più la valenza pedagogico-spirituale che li caratterizza è perché le famiglie non svolgono più il loro ruolo di chiese domestiche, non pregano più, non sono aperte alla riflessione ma sono sintonizzate su una vita da godere appieno e che perciò va corroborata di tutti i comfort in grado di renderla vissuta“.

Da qui, pertanto, uno sguardo alla prassi catechetica del tempo presente, spesso finalizzata alla celebrazione dei sacramenti, imperniata sulla veicolazione di contenuti ma sempre più carente di quella dimensione esperienziale in grado di portare il fanciullo o il giovane a vivere di Cristo.

Ancora Matteo: “I nostri cammini di catechesi sono spesso sbilanciati sulla fides qua (contenuti) mentre manca del tutto la dimensione della fides quae (esperienza di Cristo). È prioritario, dunque, formare i catechisti, far comprendere loro che nel servizio alla Parola che è la catechesi, la dimensione orante ha un posto primario; solo così si porteranno le giovani vite, affidate al loro ministero, ad incontrare il Signore”.

Il rimedio a questo blackout generazionale è dato dall’attenzionamento della fascia di adulti che va dai trentacinque ai sessantaquattro anni, i quali devono sentire l’anelito a modificare i propri orizzonti di formazione per essere persone il cui agire è trasparenza di Vangelo.

Ha chiosato: “Dobbiamo far nostro quanto Papa Francesco dice nella Lumen Fidei e cioè la capacità di guardare il mondo con gli occhi del Signore: solo questo aspetto ci rende uomini contemplativi, capaci di portare Cristo a quanti incontriamo giornalmente“.

Dopo un ristorante coffe-break i presenti si sono divisi in due gruppi (guidati rispettivamente dai direttori degli uffici catechistico e di pastorale familiare) per provare a declinare concretamente e in maniera propositiva i contenuti emersi da una mattinata di ascolto proficuo e di confronto arricchente.

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