Omelia del Cardinale Lorenzo Baldisseri per la conclusione del Sinodo diocesano dei giovani

Omelia del Cardinale Lorenzo Baldisseri per la conclusione del Sinodo diocesano dei giovani

Lecce, 1 maggio 2017

Gn 1, 26 – 2, 3; Sai 89; Mt 13, 54-58

«Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi?
Non è costui il figlio del falegname?» (Mt 13, 55)

Queste parole, che abbiamo appena ascoltato, appartengono a uno dei pochi passi evangelici in cui, al di fuori dei racconti dell’infanzia di Gesù, si menziona la figura di Giuseppe. Proprio oggi, del resto, la Chiesa celebra la memoria di San Giuseppe Lavoratore, invocando la sua protezione su tutti i lavoratori del mondo.

Desidero ringraziare cordialmente l’Arcivescovo S.E. Mons. Domenico Umberto D’Ambrosio, per l’invito a presiedere questa Eucaristia, e con lui saluto i presbiteri e i diaconi, i religiosi e le religiose, i tanti fedeli laici qui convenuti e in modo speciale voi giovani, che siete felicemente giunti al termine del “vostro” Sinodo diocesano, iniziato nello scorso mese di ottobre dopo una lunga fase di preparazione: un Sinodo dei giovani, con e per tutti i giovani, nessuno escluso, nel quale vi è stato chiesto di diventare protagonisti del cammino della vostra Chiesa locale.

Dopo un lungo discorso in parabole, che Gesù ha tenuto stando seduto su una barca in riva al mare di Galilea (cf. Mt 13, 1-3), il Vangelo ci informa che il Maestro decide di rientrare nella sua patria, Nazaret, per recarsi a insegnare nella sinagoga. Adesso ad ascoltarlo non ci sono più gli abitanti di Cafarnao, ma coloro che Gesù lo conoscono da sempre: Nazaret, infatti, conta poco più che un pugno di famiglie.

Tuttavia, proprio la pretesa di conoscere Gesù – suo padre, che è un falegname; sua madre, chiamata Maria; gli altri membri della sua famiglia, indicati genericamente come i suoi «fratelli» e le sue «sorelle» – impedisce ai Nazaretani di accedere al mistero della sua persona. Gesù è certamente uno di loro, come attestano le sue umili origini, ma è al tempo stesso uno diverso da tutti, come dimostrano la sapienza della sua predicazione e la potenza dei suoi miracoli, che non può aver ereditato da nessun parente né aver appreso in alcuna scuola.

Di fronte a ciò che non riescono a spiegarsi, i concittadini di Gesù finiscono per scandalizzarsi di lui: proprio il “loro” Gesù diventa per essi, secondo il senso etimologico del termine «scandalo», una pietra di inciampo. L’enigma Gesù non si chiarisce ricostruendo alberi genealogici, ma allargando il cuore alla novità di Dio. Come dirà San Paolo, ciò che conta non è aver conosciuto Gesù «secondo la carne» (2Cor 5, 16), bensì averlo ri-conosciuto come Signore e Salvatore nella fede.

il nostro Arcivescovo, il Cardinale ed il coro diocesano dei giovani
il nostro Arcivescovo, il Cardinale ed il coro diocesano dei giovani

E proprio la fede ciò che manca ai Nazaretani: per questo Gesù, dopo aver dichiarato che «un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua», non può operare molti prodigi in quel luogo «a causa della loro incredulità».

Passando al presente, dobbiamo ammettere di non essere molto diversi dai concittadini di Gesù. Gli esperti ci dicono che la fede è oggi in crisi, e che lo è soprattutto tra i giovani. Molti ragazzi si dichiarano indifferenti al messaggio del Vangelo, sospettosi verso la religione e ostili nei riguardi della Chiesa, che giudicano lontana e antiquata. Altri, invece, affermano di trovare in Gesù Cristo un amico fidato, un maestro di vita, un eroe della nonviolenza, un predicatore di pace e di perdono, addirittura il più grande rivoluzionario della storia. Simili affermazioni ci dicono che Gesù continua a interrogare le nuove generazioni, ma ancora non bastano per cogliere la novità assoluta di cui egli è portatore.

Noi credenti non possiamo rinunciare a proclamare in Gesù il Figlio di Dio e il Salvatore del mondo, ieri, oggi e sempre. Se non lo facessimo, tradiremmo il suo messaggio. Anche per questo, nel titolo del prossimo Sinodo si trova un riferimento esplicito alla fede: «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale». La fede è, infatti, quella luce interiore che, grazie all’azione dello Spirito Santo, ci permette di riconoscere in Gesù il Signore e di comprendere il progetto di vita che egli ha per ciascuno di noi. Non dimentichiamolo mai: soltanto dove c’è Gesù, è possibile capire e realizzare la propria vocazione per diventare donne e uomini in pienezza.

La Liturgia della Parola ci propone poi il racconto della creazione dell’uomo. Dopo aver chiamato all’esistenza il cielo e la terra e quanto essi contengono, Dio arriva al culmine e al compimento di ogni sua “fatica” proclamando: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza» (Gn 1, 26). Ci domandiamo al riguardo: in che senso si può dire che l’uomo è immagine di Dio?

Nel testo il Signore prosegue dicendo: «Domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra» {Gn 1, 26). Anche poco oltre il Creatore ribadisce: «Riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni vivente che striscia sulla terra» {Gn 1, 28). L’uomo è dunque immagine di Dio, perché è chiamato ad esercitare un dominio sul creato sul modello del Creatore.

Così dicendo, la Bibbia non incoraggia affatto l’asservimento della terra all’uomo, come qualcuno ha erroneamente interpretato. Il suo dominio sulla terra, in quanto esercitato ad immagine di Dio, non è “contro” ma “per” la vita del creato: non è un dominio arbitrario e distruttivo, ma rispettoso e provvidente. In altre parole, più che un dominio, è una custodia del creato, che è e resta proprietà esclusiva di Dio. E quanto Papa Francesco ci ha ricordato nell’enciclica Laudato si ’ (cfr. nn. 65-69).

In quel documento, il primo interamente dedicato alla cura della casa comune, il Santo Padre ha elogiato la sensibilità ecologica delle nuove generazioni. «I giovani – ha affermato – esigono da noi un cambiamento. Essi si domandano com’è possibile che si pretenda di costruire un futuro migliore senza pensare alla crisi ambientale e alle sofferenze degli esclusi» (n. 13). E ancora: «I giovani hanno una nuova sensibilità ecologica e uno spirito generoso, e alcuni di loro lottano in modo

 

ammirevole per la difesa dell’ambiente, ma sono cresciuti in un contesto di altissimo consumo e di benessere che rende difficile la maturazione di altre abitudini. Per questo ci troviamo davanti ad una sfida educativa» (n. 209).

Sarebbe bello se uno dei frutti di questo Sinodo dei giovani fosse l’impegno a promuovere qui, in questa vostra bellissima terra, una nuova e coraggiosa cultura dell’ambiente, combattendo la mentalità consumistica dilagante e riscoprendo il rapporto con la natura sul modello di San Francesco d’Assisi.

Al tempo stesso, il racconto della Genesi ci conduce anche su un’altra pista di riflessione, che il Papa ha evidenziato nel corso del cammino sinodale sulla famiglia concluso l’anno scorso. Commentando il racconto genesiaco della creazione in una delle Udienze generali, il Santo Padre ha evidenziato il passaggio dal singolare al plurale, come se l’agiografo volesse suggerirci che L’immagine di Dio sulla terra sono simultaneamente e inseparabilmente l’uomo “e” la donna. Non l’uomo “o” la donna, ma l’uno “e” l’altra. Più esattamente, l’immagine di Dio sembra realizzarsi non nell’uomo e nella donna singolarmente considerati, ma in essi come coppia.

«La differenza sessuale – ha affermato Papa Francesco – è presente in tante forme di vita, nella lunga scala dei viventi. Ma solo nell’uomo e nella donna essa porta in sé l’immagine e la somiglianza di Dio: il testo biblico lo ripete per ben tre volte in due versetti (cf. Gn 1, 26-27): uomo e donna sono immagine e somiglianza di Dio. Questo ci dice che non solo l’uomo preso a sé è immagine di Dio, non solo la donna presa a sé è immagine di Dio, ma anche l’uomo e la donna, come coppia, sono immagine di Dio. La differenza tra uomo e donna non è per la contrapposizione, o la subordinazione, ma per la comunione e la generazione, sempre ad immagine e somiglianza di Dio» (Udienza generale, 15 aprile 2015).

Alla luce di queste parole, vi affido un ultimo impegno al termine di questo Sinodo dei giovani. L’impegno a rispettare la donna, riconoscendo la sua pari dignità, e a vivere le relazioni affettive con rispetto, delicatezza, attenzione all’altro. Il nostro mondo – come la cronaca di questi giorni ci mostra continuamente – sembra aver dimenticato che cos’è l’amore: ci sentiamo prigionieri di una morsa di odio, di violenza, di ingiustizia. Cari giovani, riportate l’amore nella nostra società! Incendiate le nostre città con la forza di una ritrovata capacità di donazione!

Si tratta di un impegno che non coinvolge solo i giovani, ma anche noi adulti. Nell’Amoris laetitia il Papa si domanda: «Chi è capace di prendere sul serio i giovani? Chi li aiuta a prepararsi seriamente per un amore grande e generoso?». Dobbiamo riconoscere che noi adulti, anche credenti ed anche pastori d’anime, ci siamo spesso mostrati distratti di fronte al potenziale immenso dei giovani.

Come Chiesa siamo chiamati a mettere i giovani al centro, a farli parlare anche quanto ci criticano, ad ascoltarli con pazienza e attenzione. Solo così potremo “ringiovanire” le nostre comunità, che appaiono sempre più stanche e “invecchiate”.

Affidiamo a Maria Santissima, una giovane tra i giovani che il Signore ha prediletto, e a San Giuseppe, suo sposo, il cammino di questa Chiesa locale e dei suoi giovani, come pure il cammino della Chiesa universale e del prossimo Sinodo dei Vescovi, per il quale vi chiedo di pregare. Amen!

 

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