18Ott
Formazione Permanente del Clero/Relazione finale dell’Arcivescovo D’Ambrosio al termine della tre giorni di Roca.
INCONTRARSI DA FRATELLI TRA PRETI SERVIZIO FATICOSO
Per i presbiteri che hanno partecipato ai lavori delle tre giornate credo sia stata una esperienza arricchente e stimolante e per l’offerta dei contributi, delle provocazioni e delle opportunità e per la rivitalizzazione della comunione presbiterale con strumenti antichi ma rimessi a nuovo. È evidente un dato: perché quanto abbiamo fatto non resti un incidente di percorso da chiudere subito, dobbiamo creare le condizioni e le opportunità che diano spessore e significato nuovo alla formazione permanente. È indubbio, lo abbiamo ascoltato, ne siamo convinti: in questi ultimi decenni, e ve lo posso, e insieme a me tanti di voi avanti negli di ministero Sacerdotale, confermare che il ministero presbiterale si è fatto più complesso, talvolta complicato, di sicuro esigente. Voi presbiteri, non sto esagerando, spesso apparite affannati, disorientati! È venuto meno il mordente? Ci manca la grinta? Forse, come scrive un vescovo, “stiamo scivolando verso le sabbie mobili di una desolante tristezza?”. Anche a noi potrebbe parlare “Colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro: Conosco le tue opere, la tua fatica… Ho però da rimproverarti di avere abbandonato il tuo primo amore” (Ap2,1-2.4).
MARCIRE PER DARE VITA La conversione implica il rinnegamento di sé, un esercizio indispensabile, non troppo e forse purtroppo raro: l’accusa di sé. È stata sottolineata la necessità di un compito e di una attenzione particolare alle fasce estreme della vita Sacerdotale. Impegno questo che coinvolge in prima persona me vescovo ma anche voi: stare vicino ai Sacerdoti nei passaggi più delicati: l’età in particolare, ma anche l’assunzione di compiti e responsabilità nuovi. Ecco il quadro anagrafico del nostro clero: Siamo 120: dai 75 in su: 26; dai 60 ai 75: 32; dai 40 ai 60: 46; fino ai 40: 16. Per quanti sono nella terza età (dai 75 in su) dobbiamo imparare nel senso evangelico del seme che marcisce per dare vita; dobbiamo fare la scelta di chi dedica il suo tempo con le braccia alzate per implorare e intercedere per i fratelli che vivono la stagione dell’impegno pieno e del servizio. Diversamente viviamo male la stagione degli emeriti e il congedo dall’esercizio del ministero attivo potrebbe scadere da a Dio ad addio. Per le fasce attive bisogna saper coniugare e mettere insieme nella reciproca accoglienza la maturità presbiterale con l’entusiasmo dell’ingresso, ricco di attese e speranze, nel presbiterio. Abbiamo alcune iniziative molto belle di fraternità presbiterale: il percorso per i Sacerdoti del 12.o, i ritiri mensili e le assemblee presbiterali, gli annuali esercizi spirituali, i martedì che impegneremo anche quest’anno con la lectio divina vicariale, per gli operatori pastorali, per un incontro vicariale, per un incontro delle zone pastorali.
UN CHIARO E FORTE IMPEGNO: INCONTRIAMOCI Quali gli elementi per una buona formazione permanente? – A mio giudizio è indispensabile che tutto il presbiterio si riappropri della sua ‘responsabilità formativa’. Le due dimensioni a rischio sono la formazione umana e quella spirituale. – Quando la formazione umana si palesa insufficiente al termine degli anni di Seminario, si esce con una scarsa e poco chiara conoscenza dei propri limiti ma anche delle proprie risorse. Consosci te stesso è fondamentale per dominare e donare se stesso. – Per la formazione spirituale riaffermo l’esigenza di una forte esperienza di conversione: se non posso dire di avere incontrato Cristo in pienezza , dove fissare l’obbedienza, la povertà, il celibato? Se viene a mancare una solida formazione umana e cristiana come riuscire a formare il pastore? – C’è da aggiungere una ulteriore cura e particolare attenzione: dobbiamo saperci incontrare, accogliere, darci reciproco credito e fiducia, stimarci, volerci bene. È da riscoprire per noi la pratica evangelica della ‘correzione fraterna’ che deve iniziare fin dagli anni del Seminario. In conclusione: dobbiamo uscire da queste giornate con un chiaro e forte impegno: occorre incontrarsi da fratelli e non ridurre i nostri incontri ai soliti e a volte ‘noiosi’ problemi pastorali, alle reciproche e non sempre benevole accuse, all’eccessivo carico pastorale… La sfida della comunione, urgenza pastorale e prospettiva di speranza che viene fuori dalla visita pastorale, va affrontata, accolta e perseguita con ‘santa’ ostinazione’: da questo vi riconosceranno che siete miei discepoli (Gv 13, 35). Al principio del nuovo anno Pastorale, mercoledì 8 ottobre, alle ore 16.30, presso l’aula sinodale del Seminario nuovo, si è tenuta l’Assemblea Diocesana presieduta dall’Arcivescovo, Mons. Domenico D’Ambrosio, alla presenza di un cospicuo numero di operatori delle varie parrocchie territoriali. Il tema è stato la presentazione a più voci della lettera del metropolita di Lecce dal titolo “La sfida della comunione”, che è un suo rendicontare dopo tre anni di Visita Pastorale nella comunità diocesana. Ad una bella sintesi audiovisiva del documento è seguita una serie di interventi, prolusivi ed esplicativi per la lettura dello stesso, a cura di Mons. Luigi Manca, del prof. Marcello Tempesta, di Mons. Nicola Macculi e del Vicario Generale, Mons. Pierino Liquori. Le loro glosse alla lettera hanno spaziato dal nuovo modo di essere parrocchia, alle risonanze personali che lo scritto in argomento ha suscitato, all’angolatura da cui un parroco può guardare a questa moderna frontiera Pastorale, alla modalità in cui riflettervi e agire di conseguenza. Ne è scaturito un compendio armonico, che è un vero florilegio di contributi e apporti personali dei relatori, una “primavera dello Spirito e una sinfonia cromatica gioiosa” e aperta con fiducia ad affrontare le sfide di una società apparentemente sorda e lontana dal richiamo del Sacro, ma in effetti profondamente intrisa di nostalgia del suo Dio. Da qui scaturisce l’esigenza di una Chiesa “in stato permanente di missione” nel mondo in cui l’uomo vive, studia, soffre, impara, lavora, di una Chiesa “in uscita” che si “impasti” con il suo gregge, non disdegnando di portarne l’odore. Occorre, cioè, che si passi dall’ascolto alla preghiera, alla partecipazione, alla condivisione, al discernimento, all’azione concreta per superare l’idea di parrocchia “distributore automatico di Sacramenti” da parte di “funzionari del Sacro” a una parrocchia dalla linea Pastorale “chiara, concreta e profetica”. Tutto per una conversione dell’azione Pastorale già giustificata ne “Il volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia” del 2004, un mondo che ha “subito l’erosione del secolarismo e dell’indifferentismo religioso”. Perciò, più che “erogare” è forse necessario piantumare il bisogno di Sacramenti nei diversi ambiti della società, “impiantare segnali di frequenza come tante antenne per captare con chiarezza le attese del mondo e spargervi il seme della fede cristiana”. L’attenzione alle trasformazioni sociali per paradosso è la nota più inveterata della Chiesa: è l’inculturazione della fede. Ciò la costringe a creare forme e modi per comunicare con un linguaggio comprensibile la perenne giovinezza del Vangelo, come dice il Papa “per riaccompagnare chi è rimasto ai bordi della strada”. La Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione, per quell’essenziale che Le permette di fronteggiare le sfide della vita con le sue domande umane. Lo stile dell’uscire ecclesiale è proprio del cammino, dell’incontro con le periferie esistenziali del nostro tempo, del superare i percorsi già collaudati del cammino catechistico, dell’A.C., dei gruppi Caritas e Liturgici, dei cori, degli Scout. È rispolverare i linguaggi della musica, del teatro, dei social network, di internet, dell’e-mail; riscoprire l’ambiente; fare esperienza nuova nelle case, nelle piazze, nei luoghi di incontro, nelle scuole, nelle strutture sportive, negli oratori, nei teatri, negli ospedali, perché la gente ha bisogno di testimoni credibili, innamorati della Parola, che generino fiducia e guardino al futuro come segno provvidenziale. Pertanto, la Chiesa di Lecce si prepara a camminare con parresia, ovvero franchezza, in un percorso, che la vedrà impegnata per tutto l’anno, ogni martedì, in un avvicendamento di incontri specifici per presbiteri, operatori Pastorali, Foranie, Zone Pastorali. Sonia Marulli
IL VICARIO GENERALE/SIAMO TUTTI IN ASSEMBLEA PERMANENTE
“Questa modalità di essere Chiesa diocesana oltre a rafforzare la nostra identità ecclesiale, sfocia in uno stile comune e fa delle nostre parrocchie luoghi dove si sperimenta la presenza di Dio che è tenerezza”. La sfida della comunione, che dovrà essere il progetto pastorale della nostra chiesa diocesana per i prossimi anni, chiede di metterci in uno stato di riflessione continua: vescovo, presbiteri, diaconi, conSacrati, laici, per vivere meglio l’essere Chiesa come comunità radunata dal Signore, partendo dalla celebrazione, continuando nella riflessione e nella testimonianza per ritornare alla celebrazione come esperienza di lode, di rendimento di grazie, di contemplazione, di ascolto, di condivisione, di comunione Sacramentale e di forza interiore per uscire e annunciare, condividere gioie e dolori, fatiche speranze dell’uomo in questi tempi difficili, ma certamente pieni di desiderio e di ricerca di Dio. Come essere Chiesa oggi a Lecce? L’Arcivescovo ci ha offerto delle linee nella lettera alla Comunità; dobbiamo riflettere molto su questo, e credo non sia sufficiente un’assemblea annuale, come questa. Qui, questa sera, si pongono solo le premesse per un lavoro serio che dovremmo fare per un anno intero; un lavoro gioioso, perché è bello che i fratelli stiano insieme; un lavoro che esprima il senso della corresponsabilità di tutte le vocazioni; un lavoro che dovrebbe essere risposta concreta alla parola di Dio e alla sete di infinito che è nel cuore di ogni persona che vive nel nostro territorio. La sollecitazione coraggiosa che il vescovo ha messo nelle nostre mani dopo aver visitato la nostra Chiesa: “La sfida della comunione”, ci chiede tanta disponibilità, molta preghiera, tanta riflessione e non solo dei Sacerdoti, parroci o non, ma di tutto il popolo di Dio. Credo sia necessario entrare in uno stato di assemblea permanente nelle parrocchie, nelle foranie e nel presbiterio per riscoprire la bellezza dell’essere Chiesa in cammino con l’uomo; la fatica e la gioia di essere una chiesa itinerante come il suo Maestro. Penso che la forania non sia da vedere come una suddivisione strategica della Chiesa locale in un determinato suo territorio per determinare una maggiore efficacia pastorale, ma come soggetto pastorale in un determinato ambiente della chiesa diocesana. Lo spirito della lettera del vescovo è quello di far crescere il senso della comunione. Questo potrà avvenire non solo all’interno delle parrocchie, ma soprattutto se queste, abbandonando ogni pretesa di autosufficienza, si collegano concretamente tra loro attraverso la realtà foraniale e zonale. Lo stato di assemblea permanente permette a questi luoghi pastorali di essere protagonisti di una chiesa radicata maggiormente nel territorio, attenta ad esso e, guidata dallo Spirito, essere più capace di servire l’uomo che vive in esso. Potremmo definirle vero luogo teologico nel quale il Signore, presente, parla per il bene della sua gente. La forania, e l’assemblea in essa, non sono allora una sorta di strategia pastorale più moderna, ma il modo di essere Chiesa del Signore che ascolta lo Spirito il quale parla lì dove l’uomo vive, spera, ama, soffre e sogna. I discepoli di Cristo incontrandosi in questi luoghi, pregando, ascoltandosi, riflettendo, individuando i problemi, cercano di rispondere ai bisogni; saranno in permanente contemplazione di Dio e testimonieranno la passione del Signore per il suo popolo nella originale realtà di quel determinato luogo geografico, antropologico, spirituale e teologico. Da qui nasce il bisogno di costituirsi in assemblea permanente. Il vivere inoltre in uno stato di assemblea, come momento ecclesiale di incontro con il Signore, è una modalità per affermare la nostra la identità e la consapevolezza della nostra missione, in un contesto di comunione e di partecipazione. In questo stato di assemblea si dovrebbe mettere in comune la nostra realtà di chiesa di Lecce e trovare i cammini per andare avanti, scoprendo nuove espressioni di evangelizzazione. Lo stato di assemblea dovrà essere un tempo durante il quale decidere e mettere a punto. Dobbiamo posare lo sguardo sul popolo santo di Dio per vedere le sue ferite, le sue fragilità e lì scoprire il voto di Cristo.. Ciò è possibile se andiamo al Vangelo evitando di cercare soluzioni facili, rapide e prefabbricate; lasciandoci illuminare, trasformare dalla preghiera e dal confronto con gli altri; permettendo a Dio di parlarci in un modo nuovo e non attraverso ricette già sperimentate. Riusciremo a trasmettere la tenerezza del Padre solo nella misura in cui si rinnova e cresce il nostro fervore apostolico di testimoni dell’amore di Colui che ci ha amato e ha dato se stesso per noi. Questa modalità di essere Chiesa diocesana oltre a rafforzare la nostra identità ecclesiale, a sua volta sfocia in uno stile comune e fa delle nostre parrocchie luoghi dove si sperimenta la presenza di Dio che è tenerezza. Si tratta di camminare insieme, pastori e gente. “Pastori con l’odore delle pecore”. In questa visione di chiesa in assemblea, i pastori dovranno armonizzare i vari contributi che lo Spirito suscita nelle persone, nei diversi gruppi parrocchiali, associazioni, movimenti e battezzati che non appartengono a nessuna istituzione. Dobbiamo coinvolgerci per evangelizzare; il che vuol dire mettere la Chiesa sulla strada in contatto con le realtà quotidiane anche se dure. “Una chiesa dalle porte aperte non solo per accogliere, ma in particolare per andare fuori” (Papa Francesco). Questo implica dei rischi per la chiesa, ma “colui che esce e corre si espone ad avere un incidente, ma preferisco una chiesa incidentata a una chiesa malata nell’atmosfera viziata del suo rinchiudersi in se stessa” (Papa Francesco).L’ascolto del Signore si fa anche nell’ascolto della realtà con uno spirito profetico. Pensiamo a ciò che ha detto il convegno di Verona. Per questo non possiamo essere osservatori asettici, imparziali mentre ci ascoltiamo, ma uomini e donne appassionati del Regno. Non possiamo guardare la realtà che in termini di missione. Bisogna avere la missione come chiave interpretativa di tutta l’azione pastorale; far sì che la dimensione missionaria prenda parte a pieno titolo dei contesti della pastorale ordinaria. Solo da uno stato di assemblea permanente si può passare ad uno stato di missione permanente a cui l’Arcivescovo ci invita. Siamo chiamati conseguenzialmente ad assumere un’attitudine di permanente conversione pastorale che comporta l’ascolto con l’attenzione e il discernimento di quello che lo Spirito va dicendo alla Chiesa, attraverso i segni nei quali Dio si manifesta. Questa modalità di essere Chiesa permette di essere segno più chiaro della comunione trinitaria appassionata dell’uomo e della sua salvezza. È necessario iniziare a percorrere strade nuove per evitare, nonostante la perenne novità del Vangelo, di perdere il treno della storia. Dio, nell’episodio di Giona, ci insegna a non aver paura di uscire dai nostri schemi per seguire lui che va sempre oltre. Pierino Liquori
Intervento dell’Arcivescovo all’inizio degli incontri di formazione svoltisi a Roca dal 6 all’8 ottobre.
Ha detto Mons. Lambiasi: “Noi pastori, preti e vescovi, corriamo il serio pericolo di trasmettere, oltre all’odore delle pecore, l’olezzo sgradevole del nostro sudore e delle nostre frustrazioni, anziché il profumo della gioia di una vita spesa per il regno di Dio e il bene del suo popolo”.
“FATEVISENTIRE A CASA” Dal 10 al 13 novembre prossimo ad Assisi l’Assemblea straordinaria della Cei avrà come tema La formazione e la vita dei presbiteri. Papa Francesco nel discorso a noi Vescovi nell’Assemblea ordinaria dello scorso maggio ci ha detto: “i nostri Sacerdoti, voi lo sapete bene, sono spesso provati dalle esigenze del ministero e a volte anche scoraggiati dall’impressione dell’esiguità dei risultati… fate che nel vostro cuore possano sentirsi sempre a casa; curatene la formazione umana, culturale, affettiva e spirituale”. Le ragioni di una tale scelta partono dalla volontà di aiutare voi presbiteri a una più evidente fedeltà alla missione affidata alla Chiesa e a una risposta più pertinente alle provocazioni e sfide di questo tempo che, non possiamo nasconderlo, sono tante e non sono frutto di soffiate o di mormorii, sono chiare e a volte impietose. In questi giorni approfondiremo con l’aiuto dei relatori, in particolare di don Antonio Mastantuono che ringrazio per la disponibilità e l’offerta sicura e competente che ci offrirà nei laboratori del pomeriggio. La sua è competenza nata e verificata di continuo sul campo. La sua storia Sacerdotale e il suo apporto di pastoralista sarebbe incomprensibile e monco senza la lunga esperienza della guida di una parrocchia, che è il laboratorio di una costante e puntuale verifica. Di sicuro l’esercizio del ministero è un fattore decisivo per la formazione permanente. Non possiamo non pensare a quel singolare e necessario ambito di formazione permanente che è la nostra costante e responsabile docilità e obbedienza, sostenuti dal dono dello Spirito, all’unico Pastore Cristo Gesù. Da ultimo, sentire e vivere la propria appartenenza a questo presbiterio come ambito proprio della formazione permanente. Anche nel nostro immaginario collettivo l’idea di formazione permanente talvolta viene ridotta automaticamente ad aggiornamento per quanto riguarda la competenza, e a esercizi spirituali per quanto riguarda la vita spirituale personale. In realtà la Formazione Permanente andrebbe declinata, andrebbe vista e vissuta in esercizi di comunione nel presbiterio. Esercizi di comunione possono essere le riunioni pastorali (assemblee presbiterali, ritiri, lectio divina…, momenti residenziali come quello che viviamo per qualificare il nostro ministero, interventi di correzione fraterna). Un’attenzione particolare va data all’esercizio del diaconato transeunte, la cura per i primi anni di ministero, i trasferimenti, il passaggio da vicario a parroco, la rinuncia al ministero di parroco del 538/3 del CJC, ma c’è anche quello del can. 401/1 del vescovo, la continuazione del ministero negli anni della vecchiaia, i preti anziani e malati.
“RIFORMA DEL CLERO” Questo capitolo richiede una attenzione particolare. Papa Francesco nella EG/17 ha usato l’espressione “la riforma della Chiesa in uscita missionaria”. Questa riforma chiama in causa soprattutto noi: vescovi e presbiteri. L’esigenza di una più evidente tensione missionaria è un principio di rinnovamento decisivo che riguarda in modo particolare i Sacerdoti nel presbiterio. In secondo luogo, i cambiamenti, tanti nella situazione ecclesiale e sociale italiana, non possono non richiedere cambiamenti importanti nella vita del presbitero per continuare la sua missione. In terzo luogo c’è una percezione abbastanza diffusa che vede il ministero come un giogo pesante e un carico insostenibile per l’eccesso di compiti e mansioni. Questo richiede di sicuro un ripensamento che non può ridursi ad un aggiustamento superficiale o a una serie di generiche raccomandazioni. Ecco alcuni paragrafi di questo impegnativo capitolo: la figura del vescovo nel presbiterio; la condivisione di responsabilità con i diaconi; la condivisione di responsabilità con i laici; le forme di vita comune del clero diocesano; la collaborazione, anzi l’interazione tra clero diocesano e clero religioso.
L’ODORE DELLE PECORE Guidati e stimolati da quanto i relatori e i dialoghi tra noi ci diranno, dovremo uscire da questo nostro incontro con la consapevolezza che solo la sfida della comunione tra noi ci aiuterà a venir fuori da alcuni rischi e pericoli che a volte pregiudicano la gioia e la fecondità del ministero. In una interessante intervista rilasciata e Settimana nello scorso mese di agosto da Mons. Lambiasi, presidente della commissione episcopale per il clero e la vita conSacrata, il vescovo ci mette in guardia da un rischio: “, preti e vescovi, corriamo il serio pericolo di trasmettere, oltre all’odore delle pecore, l’olezzo sgradevole del nostro sudore e delle nostre frustrazioni, anziché il profumo della gioia di una vita spesa per il regno di Dio e il bene del suo popolo”. Se in noi vien meno l’amore per il Pastore grande delle pecore, se l’entusiasmo del ministero crolla, se si assottiglia la ‘grinta’ per il Vangelo, come possiamo presentarci come ‘messaggeri di lieti annunci’? Mi piace riportarvi alcune parole dette da papa Francesco ai vescovi di nuova nomina il 18 settembre scorso. Sono parole che valgono di sicuro per me, ma anche per voi: “Non servono vescovi contenti in superficie…, non vescovi spenti o pessimisti, che, poggiati solo su se stessi e quindi arresi all’oscurità del mondo o rassegnati all’apparente sconfitta del bene, ormai invano gridano che il fortino è assalito. La vostra vocazione non è di essere guardiani di una massa fallita, ma custodi dell’Evangelii gaudium, e pertanto non potete essere privi dell’unica ricchezza che veramente abbiamo da donare e che il mondo non può dare a se stesso: la gioia dell’amore di Dio”.