la speranza ci rende ‘tosti’
articolo ripreso da portalecce
L’Aquila crocevia verso Roma. Non è il titolo di un romanzo ma il cammino che tanti giovani italiani stanno vivendo in queste giornate che sono porta verso il Giubileo loro dedicato nella Città eterna.

E così, quasi all’ora di pranzo, prima di giungere alla basilica di Santa Maria di Collemaggio l’arcivescovo metropolita di Lecce, Angelo Raffaele Panzetta ha tenuto una breve catechesi (IL TESTO INTEGRALE) sulla speranza – tema fondante il Giubileo – ai giovani della sua comunità diocesana e a quelli della Chiesa di Adria-Rovigo. Verona, Chiavari e L’Aquila.
Tante sono le speranze umane: stare bene in salute, avere un lavoro, crearsi un avvenire radioso: queste speranze devono essere, però, incanalate nella speranza cristiana che, come diceva Kierkegaard è lo sguardo positivo sul futuro.
È ciò che l’uomo ha sperimentato venendo alla luce e passando dal trauma dell’ignoto alla dimensione della accoglienza fiduciosa che scaturisce dalla presenza materna.
Belle le parole di Panzetta: “Quando noi siamo nati siamo stati catapultati in un mondo che non conoscevamo proprio.
Siamo passati dal grembo, dal paradiso del grembo materno all’ignoto di un mondo che non conoscevamo per nulla.
E dopo che siamo stati messi al mondo, siamo stati abbracciati da nostra madre: sentire il suo battito del cuore, sentire il profumo della sua pelle ci ha fatto capire che eravamo in buone mani, che eravamo accolti, che eravamo amati. E questo ci ha fatto maturare quella che si chiama la fiducia fondamentale, forse potremmo dire la speranza fondamentale, cioè sapere di entrare in un mondo, in un futuro, che non è ostile, che è accogliente, che sarebbe stato disponibile, che mi avrebbe reso felice”.
Esiste, tuttavia quella speranza teologale, quella virtù, che il credente riceve nel battesimo come in ogni sacramento o evento con il Signore e che porta il cristiano a guardare la sua storia per comprendersi quale individuo che non brancola nel buio ma che dà senso ad ogni cosa attraverso il mistero pasquale di Cristo.
Ancora l’arcivescovo di Lecce: “La speranza teologale è un dono che viene da Dio, nello Spirito Santo e tutti noi l’abbiamo ricevuta nel battesimo, la riceviamo continuamente dai sacramenti, dalla compagnia ecclesiale, dalla Parola di Dio. Continuamente riceviamo la possibilità, il dono, di guardare il futuro positivamente, perché noi guardiamo il futuro nella luce della Pasqua di Gesù. Ecco, questo è lo specifico della speranza cristiana. Noi siamo positivi mentre guardiamo il futuro, perché sappiamo quello che è successo a Gesù. La sua morte non è stata l’ultima parola e quello che lui ha sperimentato sarà il nostro futuro, ma è anche il nostro presente. Quindi noi, se siamo uomini e donne di speranza, guardiamo il futuro nella luce della morte e della risurrezione di Gesù”.
Per questo motivo esiste una dimensione etica della speranza: disperare o sperare è un fatto di scelta, è qualcosa che plasmare l’uomo e lo rende condottiero dinanzi alle difficoltà, refrattario a qualsiasi forma di abbattimento, capace di lottare per instaurare un mondo più bello, un mondo nel quale ci si possa sentire al posto giusto nel momento giusto.
Spronanti le parole del presule ai giovani a L’Aquila: “La speranza ci rende tosti, persone che non si lasciano abbattere davanti alle difficoltà della vita, soprattutto dalle difficoltà della vita cristiana, perché non è stato mai facile essere credenti. Mai è stato facile. Le prime comunità cristiane erano quattro gatti in un mare di paganesimo, un po’ come oggi noi, se apriamo gli occhi ce ne rendiamo conto. Quindi hanno dovuto remare controcorrente in tutto, eppure non hanno mollato. Quindi la speranza non ti fa mollare, ti fa continuare a credere, ti fa continuare a educare, ti fa continuare a servire, ti fa continuare a progettare. La speranza rende tosti, è un dono che rafforza la vita delle persone e delle comunità, resilienti. Le persone resilienti sono animate dalla speranza”.
C’è dell’altro, però: Benedetto XVI nell’enciclica “Spe salvi”, distingue una speranza con la “S” maiuscola dalle speranze con la “s” minuscola: le prime sono le speranze umane, la seconda è la speranza teologale. Che rapporto esiste tra sperare in Gesù Cristo, guardare il futuro della luce sua e le nostre speranze? C’è un rapporto profondo, perché la speranza cristiana assume, perfeziona, eleva tutte le autentiche speranze umane.
Conclude Panzetta: “Tutte le passioni per il futuro belle sono accolte dalla speranza cristiana. Tutto ciò che è autenticamente umano interessa la speranza cristiana. Quindi, chi spera accanto a ogni uomo e a ogni donna di buona volontà per costruire un futuro più bello, più nuovo, un futuro che piace a noi e che piace anche al Signore, al suo sogno, il sogno che lui ha su ciascuno di noi, sulle nostre comunità. Quindi nel proseguo del cammino che faremo, io vi chiedo di pregare per questo. Pregate perché il mondo ha bisogno di comunità che sperano, ha bisogno di comunità animate da una grande passione per il futuro. Basta con quei ragionamenti del tipo ‘si è sempre fatto così’. Non è più tempo di queste cose. Noi dobbiamo guardare il presente nella direzione del futuro”.
Con la bisaccia del cercatore piena di tutto il necessario, la carovana ha proseguito la sua giornata nella lode e nella gratitudine al Signore per questa esperienza che sarà pietra miliare nella crescita umana e spirituale dei giovani, chiamati ad essere nei loro ambienti di vita “annunciatori del Vangelo della Grazia”.
Photogallery di don Emanuele Tramacere.