la morte non è l’ultima parola ma la porta della vita nuova

la morte non è l’ultima parola ma la porta della vita nuova

articolo ripreso da portalecce

Una folla di fedeli, insieme a diversi presbiteri della città, ha partecipato con profonda devozione alla celebrazione eucaristica della Commemorazione di tutti i fedenti defunti al cimitero monumentale di Lecce, presieduta dall’arcivescovo Angelo Raffaele Panzetta.

 

 

Un appuntamento che ogni anno richiama la comunità leccese a un momento di fede, preghiera e memoria, ma anche di riflessione sulla vita e sull’eternità.

All’inizio della sua omelia (IL TESTO INTEGRALE), mons. Panzetta ha invitato i presenti a leggere il gesto del recarsi al cimitero come un pellegrinaggio di speranza. “Quando lasciamo le nostre case per venire in questo luogo santo – ha detto – compiamo un pellegrinaggio, perché qui veniamo a incontrare i nostri cari che sono passati attraverso la morte, certi che le loro anime sono nelle mani del Signore”.

L’arcivescovo ha ricordato che la preghiera è il dono più grande che si possa offrire ai defunti: “Non sono i fiori o i gesti esteriori a contare di più, ma la preghiera, che unisce la Chiesa della terra a quella del cielo in un vincolo meraviglioso di amore e di intercessione”.

Rivolgendosi ai fedeli, mons. Panzetta ha osservato con chiarezza e realismo come la cultura odierna tenda a rimuovere la realtà della morte, diventata ormai un tabù: “Oggi la parola ‘morte’ scompare persino dai manifesti funebri. Si preferisce dire che qualcuno è stato portato via, è andato altrove. Ma la morte fa parte della vita: dimenticarla è una grande illusione”.

Il pastore ha poi sottolineato che affrontare il mistero della morte con fede non significa cedere alla tristezza, ma riconoscere la verità dell’esistenza umana nella luce della speranza cristiana: “Solo accettando di guardarla in faccia – ha aggiunto – possiamo scoprire che essa non è la fine di tutto, ma la soglia verso una vita più grande, la porta che conduce all’incontro definitivo con Dio”.

Con il tono semplice e concreto che lo contraddistingue, il presule ha raccontato alcuni ricordi d’infanzia: la fede genuina di una donna del suo paese, “Cummare Rosetta”, che partecipava a tutti i funerali e diceva: “Cce simu sopra la faccia della terra”, e l’esempio del suo parroco, don Franco, che ogni giorno si recava al cimitero per “farsi passare i picci”, cioè per relativizzare le difficoltà della vita alla luce dell’eternità. “Confrontarsi con la morte – ha spiegato – aiuta a dare valore vero alle cose, a comprendere che la nostra vita ha una direzione e un compimento in Dio”.

Cuore dell’omelia è stato il messaggio di speranza cristiana, fondato sulla Parola di Dio e sulla certezza della vita eterna.
Commentando il profeta Isaia, mons. Panzetta ha ricordato quello che ha definito il “sogno di Dio”: un progetto di comunione, di fraternità universale e di gioia senza fine.

“Siamo destinati alla comunione con Lui, a una fraternità pienamente realizzata. Questo è il sogno di Dio: un grande banchetto in cui tutti i popoli saranno riuniti e dove Egli cancellerà per sempre la morte e le lacrime”, ha affermato il presule con tono intenso e rassicurante.

Un’immagine – ha spiegato – che racchiude il desiderio più profondo del cuore umano: quello di non essere soli, di vivere nella gioia e nell’amore, di sentirsi parte di una famiglia che non finisce. “Dio non ha in mente il nulla, ma la festa; non la solitudine, ma la comunione. Egli vuole per l’umanità un banchetto di vita, dove la morte e le lacrime saranno cancellate per sempre”.

Questa visione – ha proseguito – non è un sogno consolatorio, ma la verità della fede cristiana: Dio è un Padre che prepara per i suoi figli un posto alla sua mensa, dove ciascuno sarà accolto, amato, riconosciuto.

La promessa di Isaia trova la sua piena realizzazione nella risurrezione di Cristo, “primizia dei risorti”: “Ciò che è accaduto a Gesù accadrà anche a noi. La tomba vuota di Cristo è il segno che la morte non è più l’ultima parola, ma la porta della vita nuova”.

In quella vittoria si fonda la certezza della speranza cristiana, una speranza che non delude, perché non nasce dal nostro sforzo ma dall’amore di Dio, un amore fedele che ci accompagna in ogni stagione della vita e non ci abbandona neppure nel buio della morte.

Mons. Panzetta ha invitato i fedeli a vivere questa speranza non come un sentimento astratto, ma come una forza che trasforma la vita quotidiana: “Chi crede nella risurrezione guarda le persone e le cose con occhi diversi. Non vive nell’angoscia del tempo che passa, ma nella gratitudine per un tempo che ci prepara all’incontro con Dio. Ogni gesto d’amore, ogni parola di perdono, ogni atto di carità – ha detto – sono semi di eternità che già ora fioriscono nella nostra storia”.

La speranza cristiana, dunque, non è evasione dal mondo, ma energia vitale che ci spinge ad amare di più, a costruire legami veri, a prenderci cura gli uni degli altri. È la certezza che, come Cristo è risorto, anche noi siamo chiamati alla vita piena, alla comunione eterna con Dio e con i nostri cari che ci hanno preceduto nella fede.

Citandolo, mons. Panzetta ha ricordato le parole del filosofo Gabriel Marcel: “Amare significa dire all’altro: tu non morirai”. “Ecco il senso della nostra fede – ha concluso -: l’amore di Dio ci rende partecipi della sua eternità”.

 

Racconto per immagini di Arturo Caprioli.

 

 

 

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