il grembiule cinto ai fianchi sia l’abito della festa

il grembiule cinto ai fianchi sia l’abito della festa

articolo ripreso da portalecce

Anche se viviamo in tempo di pandemia, domani è pur sempre il Giovedì Santo, la giornata sacerdotale per eccellenza, tempo opportuno per riflettere, lodare e benedire il Sommo ed Eterno Sacerdote il grande dono del sacerdozio ordinato.

 

 

 

Le circostanze attuali, ancora una volta, impediscono la celebrazione della Messa Crismale, momento propizio perché la comunità ecclesiale locale si possa manifestare in tutte le sue espressioni e meglio ancora appuntamento utile perché Vescovo e presbiteri possano rinnovare le promesse fatte nel giorno della sacra ordinazione.

Con cuore di padre e spinto dall’attenzione che sempre lo caratterizza, l’arcivescovo Michele Seccia non ha voluto mancare di far giungere ai suoi primi collaboratori nel ministero apostolico, i sacerdoti, la sua carezza e il suo abbraccio grato attraverso una lettera (QUI IL TESTO INTEGRALE) che ne rivelano la spiccata vicinanza e il suo compiacimento per il ministero di ognuno.

Scrive il presule: “Anzitutto, vi manifesto la mia infinita gratitudine per la generosità sacerdotale con cui ciascuno di voi ha operato in questo anno difficile nel rendere le chiese – parrocchie e rettorie -, aperte e accessibili ai fedeli, pur con tutte le attenzioni e le precauzioni previste dalle norme vigenti. Come ho sottolineato spesso: è fondamentale offrire segnali di speranza e di fiducia in un periodo in cui il clima sociale che si percepisce è quello di timore e diffidenza che, a volte, si manifesta con gesti di intolleranza e insofferenza. La disponibilità all’ascolto e all’accoglienza deve caratterizzare la Chiesa, come comunità di credenti”.

E come ogni buon papà di famiglia, anche mons. Seccia non manca di indicare ai suoi preti la rotta: quella di un ministero presbiterale vissuto nella piena dedizione al Signore e alla Chiesa e che fa del presbitero non soltanto il punto di riferimento della comunità, quanto colui che si pone accanto ai fratelli nella fede in quanto servo, chiamato a portare la forza e l’incisività di una presenza.

Noi siamo presbiteri – osserva Seccia –, chiamati dal Buon Pastore ad essere servi. Inutili, perché è Lui che opera la salvezza, ma sempre servi: non dimentichiamolo mai! L’asciugatoio cinto ai fianchi sia sempre il nostro abito della festa. E il servizio, specie agli ultimi, da ‘buoni samaritani’ pronti a dare le vita, sia la testimonianza più autentica dell’Eucarestia che ogni giorno offriamo sull’altare!”.

Nasce da qui, infine, la consegna che da guida pastorale della comunità diocesana, il vescovo fa ad ognuno dei suoi sacerdoti e che non può non partire dalla preghiera di invocazione intesa come luogo nel quale il presbitero si riscopre ponte tra la terra ed il cielo, chiamato ad affidare al cuore di Dio tutte le attese, le speranze, i timori e le paure del tempo presente, così come con forza ha voluto sottolineare: “Nelle celebrazioni liturgiche della settimana santa non dimentichiamo di pregare per quanti sono stati segnati dalla sofferenza e dall’emergenza del momento presente, anche se in modo diverso: per gli ammalati e per tutti gli operatori sanitari chiamati a sacrifici immensi pur di salvare qualche vita. La memoria della Passione del Signore, celebrata nella liturgia del Venerdì Santo, ci renda sensibili alle persone che sono nella prova del dolore o di un lavoro ad alto rischio.

La gratitudine dei sacerdoti verso il pastore è pertanto grande a motivo di questo ulteriore segno del suo essere “per loro e con loro”; alla sua persona essi rinnovano la filiale obbedienza e la voglia di camminare insieme per continuare a suonare la sinfonia del Regno ed essere collaboratori della sua gioia come lui lo è per ciascuno di loro.

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