GETTATE LE RETI/CHIESA E MEDIA TRA CORAGGIO E CURIOSITA’

GETTATE LE RETI/CHIESA E MEDIA TRA CORAGGIO E CURIOSITA’

Seàn-Patrick Lovett, da quasi quarant’anni impegnato nella Comunicazione Ecclesiale.

“Due i criteri di scelta: se un mezzo è buono e non nuoce a nessuno, e se un mezzo è utile all’umanità ed effettivamente porta ad una migliore relazione con l’altro e naturalmente con Dio”.

 

Abbiamo intervista­to il Prof. Seàn- Patrick Lovett, impegnato da ol­tre 37 anni nella comunicazione ecclesiale e ospite del primo incon­tro di “gettate le reti”, il labora­torio dal basso sulla “scommes­sa digitale” partito nella nostra diocesi giovedì 23 ottobre.

Dopo aver avuto esperien­ze dirette con 5 Pontefici, lei oggi ha detto che c’è un disegno provvidenziale non solo nell’ambito della guida magisteriale ma an­che in quello della comuni­cazione…

Sempre parlo dei 5 Pontefi­ci che ho conosciuto e con cui ho lavorato. Ognuno ha avuto il suo stile, uno stile specifico, un modo di comunicare sia il contenuto che la forma. E c’è però un filo conduttore che ac­comuna questi pontefici: è l’au­tenticità, è la credibilità, sia nel contenuto che nel modo di comunicare questo contenuto. Non è un caso che abbiamo be­atificato Paolo VI, pochi giorni fa; non è un caso che Giovanni Paolo II sia Santo. Io spero di vedere anche Giovanni Paolo I santo, perché tutti e 5, anche Francesco, con il suo grande fascino, è autentico nel modo di porre il messaggio del Vangelo.

La sua biografia è molto singolare e anche la sua attività nel campo della co­municazione Vaticana…

Singolare è questo trittico: essere nato in Africa, essere di origini irlandesi ed essere Ita­liano di adozione, che è proprio quello che mi sento. È vero, mi dà una prospettiva universale sull’umanità, sulla Chiesa; mi sento molto vicino all’Africa, passo parecchio tempo lì lavo­rando a diversi livelli o con le Conferenze Episcopali, o con iniziative che riguardano la co­municazione, o dentro i semina­ri; però sono Europeo e quindi questi 2 aspetti sono utili anche per il lavoro che svolgo. Forse a causa della vecchiaia che in­combe, ma è interessante che ad un certo punto della vita, senza che uno lo cerchi, sono gli altri a cercare te perché credono che abbia qualcosa da dire per la tua esperienza. Quindi, in que­sto momento della mia vita, mi trovo sempre di più ad offrire qualcosa nei seminari, ad es­sere chiamato a partecipare a conferenze, anche come questa a Lecce, a condividere quella che è la mia esperienza in di­verse parti del mondo e dentro al Vaticano, e cercare di dare una prospettiva “da dentro a fuori” e “da fuori a dentro”.

Lei parla di “magia della comunicazione”, perché il messaggio con la M maiu­scola è legato a persone piccole…

La comunicazione è magia in quanto è relazione, è qualco­sa che va al di là di una spie­gazione concreta. Come si fa a spiegare la magia di un rap­porto, di una relazione con altre persone, con Dio, con la fede, con la natura, con il mondo che ci circonda? È una scoperta continua, ecco perché credo non scriverò mai un libro, perché ogni giorno che penso di farlo, giro pagina e scopro che è tut­to un altro capitolo che sta per essere letto. Anche in questo c’è magia, la scoperta continua di una comunicazione, non soltan­to attraverso la tecnologia, che è affascinante, che continua a sfidarci, però anche sul modo di comunicare questi messaggi ad un mondo disperatamente biso­gnoso di messaggi significativi, non superficiali, non gossip, non la quotidianità, ma mes­saggi che danno significato alla nostra esistenza umana, che rispondono a quelle domande profonde del “chi sono”, “per­ché sono qui”, “da dove vengo” e “dove sono destinato”.

“Quando il Papa parla, il mondo ascolta”, le diceva­no alcuni ragazzi in Africa. Qual è la forza della comu­nicazione?

Aprire quella dimensione in­teriore, la comunicazione parte prima di tutto dentro di noi, mi piace tantissimo il mio verso del Vangelo preferito, che è quello che riguarda il comandamento più grande. Se non crediamo al caso, il fatto che questo co­mandamento viene ripetuto in 3 Vangeli: Matteo, Marco e Luca. Praticamente le stesse forme, viene chiesto a Gesù quale è il più grande dei comandamenti e risponde, l’amore per Dio, l’a­more per il prossimo e l’amore per sé stessi. In tutte le omelie che ho sentito su questo argo­mento ci si concentra sempre sui primi 2 passaggi e si dimentica che io non posso amare Dio se non amo te, ma non posso amare te se non amo prima me stesso. Questa è comunicazione, questo trittico che parte da una consa­pevolezza, da una conoscenza di me stesso e che mi porta quindi ad entrare in relazione con te, ed è questa relazione che portia­mo in alto e diventa la relazione, la comunicazione con Dio.

 

Alla luce dell’interessante lezione che ha tenuto qui da noi per il Laboratorio “Gettate le Reti”, in che modo comunica oggi la Chiesa Cattolica?

Con coraggio e con curiosi­tà. La Chiesa è curiosa di sape­re cosa c’è di nuovo nel mondo della comunicazione, la Chiesa è in movimento, è in sviluppo, in evoluzione, è in crescita; la Chiesa è curiosa di affacciarsi ai nuovi mezzi di comunicazio­ne. E con coraggio, perché non è semplice abbracciare le cose che non sempre capiamo lì per lì. Quindi va a tentativi, cerca di scoprire applicando due cri­teri: se un mezzo è buono e non nuoce a nessuno, e se un mezzo è utile all’umanità ed effettiva­mente porta ad una migliore relazione con l’altro e natural­mente con Dio che è scopo e fi­nalità di tutto.

Non si rischia anche qui di fare un uso non sempre corretto delle tecnologie digitali, riducendo le rela­zioni interpersonali in una comunità che nasce per stare insieme sotto la gui­da della Parola?

Non credo che ci sia una contraddizione, anche perché la tecnologia non è né bene né male, è l’utilizzo che ne facciamo a fare la differenza. Quindi, se siamo consapevo­li, se abbiamo cura del mezzo, non vedo perché non possiamo farne qualcosa di nuovo per la Chiesa e per la comunicazio­ne. È necessario però tenere i due aspetti: la comunicazione non è soltanto la tecnologia e la comunicazione digitale, e non può mai sostituire quel­la interpersonale e mi sembra che i documenti che sono usci­ti ultimamente per le Giornate Mondiali per le Comunicazioni Sociali confermino sempre que­sto: che, in un certo senso, il vecchio analogico e il nuovo di­gitale continuano a camminare fianco a fianco. L’analogico che è quella capacità di entrare in comunicazione con l’altra per­sona, cercando di capire l’altra persona sia sempre valido e che i nuovi mezzi di comunica­zione ci assistono nel tentativo di diffondere, nel fare arrivare questi messaggi in modo più efficace, più veloce, e a più per­sone simultaneamente. Queste due dimensioni di comunica­zione: il rapporto umano, che è fondamentale, e i mezzi che ci permettono oggi di raggiungere sempre più velocemente.

Di recente è stato nuova­mente in Sud Africa… che cosa è successo in quei luoghi?

Sono stato invitato dalla Conferenza Episcopale del Sud Africa, che comprende anche piccoli paesi limitrofi. Gli stessi vescovi hanno chiesto due cose: una preparazione sulla crisi me­diatica, cioè che cosa succede quanto succedono cose sgradi­te, arrivano i giornalisti e il ve­scovo di turno non sa cosa dire e cosa fare. Abbiamo creato delle simulazioni con tanto di video e di notiziario come se tutto stes­se succedendo in quel momento e coinvolgendo dei giornalisti professionisti che hanno simu­lato una conferenza stampa, con domande vere su contesti veri, videoregistrando il tutto, per poi rivedere come ciascun vescovo aveva reagito in quella situazione. Ma la cosa più bel­la riguardava i social media. I Vescovi in genere hanno un’i­dea abbastanza vaga di social media e di come si utilizzano, e io non mi ritendo un esperto, quindi abbiamo chiamato i veri esperti: 60 ragazzi di età tra i 12 ai 25 anni, di alcune scuole vi­cine e dell’Università di Johan­nesburg. Questi ragazzi sono “piombati” addosso ai vescovi, hanno potuto sceglierne uno vescovo per l’esperimento. I ve­scovi erano 20, quindi 3 ragazzi per ciascun vescovo.

Lei è anche direttore del­la Radio Vaticana. In che modo si è messa al passo con i tempi conservando la sua missione originaria?

La missione originaria è quella di divulgare la Parola del Santo Padre e della Santa Sede, e di creare un’interfaccia tra la Chiesa e il mondo. Papa, Chie­sa, mondo: questa è la missione e non mai stata cambiata. Sem­plicemente ci siamo adeguati ai nuovi mezzi di comunicazione che ci permettono di fare e di mettere in pratica questa missio­ne in maniera più efficace e più veloce. Attualmente la Radio Va­ticana utilizza ogni piattaforma analogica e digitale conosciuta dall’umanità. Siamo presenti sulle onde corte, sulle onde me­die ed su Fm; siamo presenti sui satelliti così come su Facebook, Twitter, blog, webcasting, podca­sting, YouTube, App: tutto ciò che consideriamo buono e utile ci assiste ad adempiere la missione di divulgazione della parola del Papa, della Chiesa, e il dialogo tra la Chiesa il mondo.

Cosa si sente di voler dire ai giovani, ai preti e a tutti gli operatori parrocchiali e diocesani che utilizzano regolarmente i nuovi stru­menti comunicativi.

Di non dimenticare il “per­ché” li utilizziamo. Che lo scopo non è autocelebrativo o autopromozionale, ma che lo scopo dei mezzi di tutti i mezzi di comunicazione è di creare dei punti di congiungimento, e che la finalità di tutta la comunica­zione è di entrare in relazione con l’altro e con il mondo che ci circonda, per poter capire e ap­prezzare meglio l’uno e l’altro, e per poter amare meglio Dio che è fonte di tutto. 

Servizio a cura di Emanuele Perlangeli

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