Esorto ad essere perseveranti nella gara per il bene e la carità

Esorto ad essere perseveranti nella gara per il bene e la carità

Omelia pronunciata durante la solenne Concelebrazione Eucaristica in Cattedrale in occasione dell’inaugurazione della “Casa della Carità”  dal Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano.

 

Lecce, 9 dicembre 2012

 Venerati Confratelli nell’episcopato e nel Sacerdozio, cari fratelli e sorelle!

Siamo radunati attorno all’Altare del Signore, nella cornice barocca della maestosa Cattedrale leccese e in quella temporale del tempo liturgico dell’Avvento, che ci prepara a vivere il mistero sempre nuovo del Natale del Signore. Ringrazio Sua Eccellenza Mons. Domenico D’Ambrosio per il cortese invito che mi ha rivolto di inaugurare la casa della Carità e saluto tutti i presenti con grande affetto, mentre assicuro la vicinanza spirituale del Santo padre Benedetto XVI, che imparte di cuore la Sua Benedizione, in particolare a quanti usufruiranno di quest’opera caritativa della diocesi.

Oggi la liturgia della Parola ci offre numerosi spunti di riflessione. Mi limito ad approfondirne tre: il profeta Giovanni Battista; la gioia dell’essere cristiani: e infine un incoraggiamento a porre al centro la carità.

a)Il Battista è il profeta dell’Avvento, perché è colui che ha preparato la venuta del Figlio di Dio. Profeta è colui che parla davanti al popolo, a nome di Dio e in anticipo, cioè preannunciando, con la parola e con la vita, eventi legati al rapporto del popolo con il suo Dio. Giovanni è l’ultimo dei Profeti dell’Antico Testamento.

Nel brano del Vangelo l’evangelista Luca ci presenta con tratti originali la figura del Precursore, subito dopo i due capitoli dedicati all’infanzia di Gesù. Il racconto della vita pubblica di Gesù è anticipato in tutti i vangeli dalla Predicazione del Battista lungo il fiume Giordano. Tuttavia Luca insiste maggiormente sull’inquadramento storico: “Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea,… sotto i sommi Sacerdoti Anna e Caifa” (Lc 3, 1-2). L’obiettivo di questa sottolineatura è farci comprendere che i fatti descritti sono storia, non favole, e che questa storia è la reale economia salvifica di Dio in nostro favore.
Giovanni inoltre è consapevole di non essere lui stesso colui che deve venire, il Messia. Per questo si definisce, alla luce degli scritti di Isaia, come “voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i sui sentieri” (Lc 3,4). Lui si definisce voce, ma la Parola di dio precede tale voce, in quanto è quest’ultima a scendere e posarsi su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto (cfr Lc 3,2). Questo fatto lo rende più forte, un autentico precursore, che predica il battesimo per la conversione, percorrendo tutta la regione del Giordano. Egli ha quindi un ruolo molto importante per Israele, ma sempre in funzione di cristo. A noi il compito di dare ancor oggi ascolto a quella voce, per fare spazio e buona accoglienza, nel nostro cuore e nella nostra vita, alla Parola che ci salva.
Un’altra particolarità del testo di san Luca è la citazione integrale del passo di Isaia che termina con un’espressione di grande consolazione, quasi anticipando il vero fine del tempo di Avvento: “Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!” (Lc 3,6). La salvezza è una prospettiva concreta offerta da Dio a tutti. Non è per pochi eletti, non è per puri spiriti, ma per ogni carne, per ogni uomo e donna così come è, nella sua fragilità. La salvezza è per ogni persona che cambia direzione alla sua vita, cioè si converte.

b)Alla luce di questa figura eccelsa che è Giovanni Battista, possiamo comprendere anche il senso autentico della gioia. Di essa ci parlano sia il profeta Baruc, il “segretario” del grande Geremia, nella prima Lettura, sia l’apostolo paolo nella lettera ai Filippesi, là dove scrive che prega per tutti e lo fa sempre con gioia (cfr Fil 1,4). Il profeta Baruc, autore di un piccolo libro di oracoli profetici, invita Gerusalemme a deporre la veste del lutto e dell’afflizione.  Il capitolo quinto costituisce un’iniezione di fiducia e di speranza: dopo ogni prova, dopo ogni amarezza, c’è sempre il ritorno alla gioia e alla felicità. Il motivo di tale gaudio lo spiega il profeta stesso: “Perchè Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria, con la misericordia e la giustizia che vengono da lui” (Bar 1,9). Se questo è vero per il popolo eletto di Israele, lo è ancora di più per noi che in cristo abbiamo ricevuto il compimento della rivelazione e il culmine della nostra speranza. Dio, nel suo Figlio Gesù ci ha offerto tutta la gioia possibile, e oltre alla salvezza che Egli è venuto a portare non possiamo avere felicità più grande. Per questo un cristianesimo triste, o peggio ancora un presbitero triste, sono una pessima testimonianza data a Cristo e alla sua Chiesa.

Quest’Avvento, poi, è ancor più lieto e gioioso, per il fatto che si colloca nell’Anno della Fede, pensato e voluto da Santo Padre per introdurci “alla vita di comunione con Dio attraversando la porta della fede, sempre aperta per noi. Ci viene offerta la possibilità di oltrepassare la soglia quando accogliamo la Parola di Dio che ci viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma” (Lett. Ap. Porta fidei, 1). Il Salmo 125 responsoriale conferma questa visione ottimista, in quanto riconosce che “grandi cose ha fatto il Signore per noi” – come abbiamo ripetuto nel ritornello. Il salmista celebra la liberazione del popolo d’Israele dalla schiavitù babilonese. Ma Cristo ci ha liberati da una schiavitù più feroce di quella babilonese, quella del peccato e della morte. Per cui la nostra gioia è più grande, la nostra felicità è più piena. Ogni tristezza sia allontanata dalla nostra vita. Il Dio-con-noi, l’Emmanuele, che celebreremo nel Natale è la nostra massima gioia.

c)Infine vorrei accennare alla centralità della carità verso chi è nel bisogno come elemento tipico della vita cristiana. Il tempo dell’Avvento, in quanto preparazione al Natale, pone la carità come criterio centrale: per questo spesso è detto “Avvento di fraternità”. L’occasione della mia odierna visita a Lecce è offerta proprio dall’inaugurazione della nuova Casa della Carità. Questa Arcidiocesi, assai impegnata nel servizio alle diverse forme di antiche e nuove povertà, ha deciso di realizzare un posto di prima accoglienza con venti posti letto, un ambulatorio, un centro d’ascolto, un centro di distribuzione viveri e vestiario, un servizio mensa per cinquanta persone, con tanti volontari del posto per un aiuto nei vari servizi offerti. Questa realizzazione, una delle tante della Caritas italiana, per metà finanziata dall’8 per mille che i fedeli italiani devolvono in favore della Chiesa cattolica, è il segno della carità che si fa concreta e visibile in ogni territorio. Anche l’apostolo Paolo, scrivendo ai Filippesi, manifesta il motivo della sua preghiera: “Prego che la vostra carità cresca sempre di più in conoscenza e in pieno discernimento, perché possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo” (Fil 1,9-10). Faccio mia questa preghiera dell’Apostolo, esortando tutti ad essere perseveranti nella “gara” per il bene e la carità. Noi cristiani infatti, se vogliamo essere autentici discepoli di Cristo, dobbiamo sempre farci attenti alle persone che hanno bisogno del pane quotidiano e del pane dell’amore, per accogliere, sostenere, spezzare questo pane, offrire ospitalità ai molti che bussano al cuore della nostra Chiesa.

Cari fratelli e sorelle, la carità che si fa concreta solidarietà diventa luce e forza per il cammino della famiglia umana: il futuro della solidarietà in questa comunità diocesana sta quindi anche nelle vostre mani. Nel porgervi fin d’ora l’augurio di un Santo Natale, affido la vostra città di lecce, “Civitas mariana”, alla materna protezione di Maria Santissima, che ha cooperato con la sua disponibilità al disegno d’amore di Dio per l’umanità, affinché possiate sempre camminare uniti nella fede e nella carità”.

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