‘È stato bello crescere alla scuola dei ragazzi’
articolo ripreso da portalecce
È stata l’anima operativa. Il sonno perso, i cambi di programmi, la presenza, la cura, il consiglio, la pacca sulla spalla. È stato tutto questo don Salvatore Corvino, direttore del Servizio di pastorale giovanile della diocesi di Lecce durante la settimana giubilare dei giovani leccesi, guidata dall’arcivescovo Angelo Raffaele Panzetta.

Non da solo naturalmente. Un gruppo di preti gli ha dato una grossa mano a tenere in piedi un’organizzazione che è partita da lontano e che è culminata nella bellezza. Nell’abbraccio universale con Papa Leone a Tor Vergata.
Ora è tempo di bilanci. Ma soprattutto di futuro.
Don Salvatore, che Giubileo è stato? Puoi fare un resoconto della settimana vissuta tra L’Aquila e Roma fino alla travolgente esperienza di Tor Vergata?
È stato Giubileo! Tempo di grazia che abbiamo vissuto a pieno, sin dal giorno della partenza. I volti dei ragazzi e dei giovani, le loro vite, le loro fatiche, i loro desideri, le loro gioie e i loro sorrisi mi portano a fare un bilancio estremamente positivo. Credo che ciascuno abbia vissuto, con il suo passo, un’esperienza sicuramente impegnativa ma altrettanto entusiasmante. Augurandoci buon cammino, prima di muoverci verso Tor Vergata ho consegnato ai ragazzi tre parole che credo rispondano anche a questa domanda: gratitudine, vitalità e futuro. Sono le tre parole di questo mio bilancio, tre parole che ancorano al presente donando uno sguardo in avanti, sempre decisivo e fondamentale nel cammino. I nostri giovani sono volto di tutto questo!
Come hanno risposto i nostri ragazzi? E come hanno vissuto la presenza continua del nuovo arcivescovo in mezzo a loro?
I ragazzi sono stati, per certi aspetti, sorprendenti. Mi ha colpito la loro disponibilità in ogni situazione, la loro serietà quando era necessaria e la freschezza che caratterizza la loro età. La generosità con cui si sono messi in cammino ha permesso di vivere un’esperienza serena, di accoglienza reale tra loro e di ciò che veniva loro consegnato. È stata importante anche la loro capacità di vivere bene ogni contesto: nella preghiera, il raccoglimento; nella festa, l’allegria; nella fatica, la costanza. In questo clima anche la presenza dell’arcivescovo, che colgo l’occasione per ringraziare, è stata vissuta con straordinaria normalità nella consapevolezza che la condivisione di ogni giornata restava comunque una piacevole scoperta, a partire dal sentirsi chiamati per nome fino all’immediatezza del dialogo con lui.
A parte Tor Vergata, qual è stato il momento più bello vissuto insieme? Perché?
In un’esperienza così ricca è difficile individuare il momento più bello. Ogni giornata ed ogni cosa vissuta ha avuto con sé momenti di bellezza; pertanto, mi sento di dire che il momento più bello è stato l’ordinarietà della vita condivisa ogni giorno. Dalla vita comune, alla preghiera (la celebrazione quotidiana della santa messa e le catechesi sono stati tempi centrali di ogni giorno), alla capacità di entrare in relazione ed in dialogo, gustando la ricchezza dell’amicizia.
La gioia e la fatica, in questi giorni, hanno convissuto. Da sacerdote e da educatore, insieme ai tuoi confratelli e agli adulti pellegrini con voi, quali difficoltà e quali soddisfazioni avete registrato?
Per noi adulti ed educatori è stato bello crescere alla scuola dei ragazzi; credo che questa sia la soddisfazione più grande: imparare con loro. Più che di soddisfazioni, tuttavia, parlerei di esperienze condivise che segnano il cammino di ciascuno nel suo stato: di adulto, giovane, prete, seminarista. Un vero educatore è tale nella misura in cui si lascia interpellare dalle domande dei ragazzi, che diventano domande anche per sé stessi. Certamente anche questo cammino è stato segnato da gioie e fatiche, su tutte possiamo apprezzare, da un lato, il desiderio dei giovani e dei ragazzi di stare insieme e di mettersi in gioco; dall’altro, in alcuni momenti è stato necessario incoraggiare nei momenti di fatica (la pioggia, il cammino lungo, i sacchi a pelo, le poche “docce” fredde), preparando alla gioia che quella prova avrebbe portato, nella certezza che la prova fa crescere e rende capaci di portare a termine quanto iniziato senza demordere: giungere alla meta con fatica è per gente che non molla e che sa sperare.
Infine. Cosa succede ora? Come responsabile della pastorale giovanile diocesana che cosa ti aspetta per fare in modo che, svanite le emozioni, l’esperienza giubilare possa portare frutto nelle persone e nella vita dei giovani della nostra Chiesa locale?
Le tre parole che ho ripreso nella prima domanda proiettano anche a ciò che sarà. Certamente il desiderio più intimo è quello di provare a condividere con i giovani, quelli che hanno vissuto questa esperienza e non solo, spazi e tempi di ascolto e di fraternità, per scoprire sempre più un cammino in cui il Signore si fa prossimo e visita le vite. Sarà importante pensare dei percorsi per loro, certi che c’è voglia di cose alte. Vedere i nostri ragazzi, insieme ad un milione di giovani, sostare in ginocchio e in silenzio davanti a Gesù Eucarestia è un fatto che deve interrogarci. Quel silenzio, che fa più rumore di tante parole, accanto alla loro attenzione all’incontro con la Parola di Dio, abbondante in questa settimana, personalmente mi mette in discussione. Chi ha vissuto questa esperienza giubilare non potrà che essere testimone contagioso delle sorprese che ha vissuto e pellegrino di speranza insieme ad altri amici. Partendo da alcune domande, consegnate ai giovani e che torneranno utili, insieme all’arcivescovo, all’equipe e ai sacerdoti, comincia un tempo di verifica per tracciare insieme le linee guida per il futuro.