Dal messaggio dell’Arcivescovo per la Quaresima

Dal messaggio dell’Arcivescovo per la Quaresima

Cialis online alt=”” width=”259″ height=”194″ />“Le opere buone… un cuore che vede, mani che servono”

Quali le opere buone a cui ci ri­manda il versetto della Lettera agli Ebrei scelto dal Papa per il messaggio quaresimale?

L’amore con cui da sempre Dio ci ama deve diventare operosità e forza di servizio. Siamo chiamati a rendere visibile e prossimo l’amore di Dio per ogni uomo, a far sentire attraverso le nostre mani aperte e il cuore pronto all’accoglienza e al sostegno, il ‘calore di Dio’. Siamo impegnati a provocare e suscitare ascolto e apertura di cuore sulle ne­cessità da soccorrere e sulle risorse per affrontare il disagio e le tante povertà che sempre più dilatano la loro forbice.

Le nostre comunità parrocchiali sono e devono diventare sempre più presenza viva sul territorio, luoghi di accoglienza e di ascolto delle varie forme di indigenza che ci co­stringono non solo a guardare con lo sguardo del curioso, come ho scritto nella presentazione al ‘Rapporto su povertà ed esclusione sociale’ a cura della Caritas diocesana, ma a studiare la complessità dei fenomeni a monte delle nuove povertà, per adeguare con sapiente discernimento gli opportuni interventi alle concrete esigenze del nostro territorio. L’in­telligenza della mente e la sapien­za del cuore che ama e accoglie, devono far crescere la capacità nel leggere i tanti cambiamenti della vita delle persone che lo abitano, le difficoltà, le trasformazioni e l’arrivo di nuovi gruppi sociali, insieme alle opportunità da cono­scere e alle prospettive da indicare. La carità, come ci ricorda Benedetto XVI “richiede apertura della mente, sguardo ampio, intuizione e previ­sione, ‘un cuore che vede’. Rispon­dere ai bisogni significa non solo dare il pane all’affamato, ma anche lasciarsi interpellare dalle cause per cui è affamato, con lo sguardo di Gesù che sapeva vedere la realtà profonda delle persone che gli si ac­costavano”. In questo modo cresce e matura la responsabilità dell’educare alla vita buona del Vangelo che si autentica in pieno con la testimo­nianza della carità. Non possiamo perciò accontentarci di distribuire le briciole o le risorse della nostra cari­tà materiale e desistere dal primario compito pedagogico, anche quando i nostri sforzi non sortiscono risultati immediati e… gratificanti!

Il mio è un invito a riflettere e operare in un servizio di carità che non scada nella semplice e ormai scontata e tradizionale distribuzione dei beni di prima e urgente necessità che moltiplica il numero dei bene­fattori. Oggi necessitano gli anima­tori e operatori di carità. È il grande mondo del volontariato a cui rivolgo la mia parola che è di ammirazione e gratitudine. Le aumentate richie­ste e la diversificazione dei servizi di carità che la nostra Chiesa offre in abbondanza (Centri di ascolto, di ccoglienza, Mense, Migrantes, Consulenze varie, Ambulatorio me­dico, Distribuzione farmaci, viveri, vestiari, la ormai prossima apertura della grande Casa della Carità), mi spingono a bussare ancora e con insistenza al cuore di tanti perché la messe delle povertà è molta e gli operai dell’amore sono ancora pochi. Non fermiamoci agli avanzi o alle briciole dei nostri impegni e del nostro ‘tempo libero’. Non blocchia­mo in egoistici calcoli e avido pos­sesso l’amore che abbiamo ricevuto e riceviamo in abbondanza. Non è nostro: ci viene affidato perché il dono continui ad essere tale.

L’umanità dolorante, piagata e pove­ra, ha bisogno non solo di benefat­tori ma “di persone umili e concrete, che, come Gesù, sappiano mettersi al fianco dei fratelli condividendo un po’ della loro fatica” (Benedetto XVI). Manifesto il mio grato stupore alla nostra Caritas Diocesana, agli operatori vari dei servizi di carità, ai tanti volontari che disegnano e im­primono l’immagine del buon sama­ritano’ sull’intera nostra Chiesa. La vera vostra gratificazione, carissimi, non saranno le parole o l’applauso degli uomini o del vostro vescovo, ma quel “venite benedetti del Padre mio, perché ho avuto fame mi avete dato da mangiare, … ero straniero e mi avete accolto, … malato e mi ave­te visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi” (Mt 25,35-36).

(+ Domenico U. D’Ambrosio)

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