amici di Dio come i patroni

amici di Dio come i patroni

articolo ripreso da portalecce

Dopo essersi recato al mattino nel Santuario diocesano di Sant’Oronzo fuori le mura, luogo del martirio del primo vescovo leccese, al pomeriggio in una cattedrale vestita a festa per la solennità dei Santi Oronzo, Giusto e Fortunato, l’arcivescovo metropolita Angelo Raffaele Panzetta ha presieduto la concelebrazione eucaristica vigilare.

 

 

Alla fine della messa si è ripetuto un gesto tradizionale e simbolico: l’offerta dell’olio per la lampada votiva che arde davanti all’altare dei patroni della Chiesa Leccese.

In questo anno giubilare dedicato alla speranza, infatti, sono stati i sindaci dei comuni della vicaria di Monteroni a voler compiere questo atto che ha una profonda valenza spirituale e pedagogica come sottolineato all’inizio dell’omelia (IL TESTO INTEGRALE) da mons. Panzetta: “Questo è un segno di una comunità che vuole rimanere accanto ai nostri Patroni a chiedere la loro perenne intercessione, ma anche è segno di una volontà di mantenere accesa la luce della testimonianza che loro hanno lasciato, di volere essere una comunità che si lascia guidare, interrogare e santamente mettere in discussione dalla testimonianza radicale che i nostri Santi Patroni hanno compiuto attraverso il dono della loro vita”.

La Parola proclamata nella assemblea liturgica ha, dunque, aiutato i presenti ad entrare nel mistero della santità per comprendere che il santo non è chi ha doti o qualità fuori dal comune ma chi sceglie di fare sul serio con Dio, chi vive la propria fede non come aspetto accidentale quanto come dimensione fondante tutta la propria esistenza.

Belle, a tal proposito, le parole dell’arcivescovo di Lecce: “Ritengo che quello che la Parola si applichi bene ai nostri Patroni. Loro sono padri che hanno vissuto nella fede, loro sono padri che hanno lasciato una scia luminosa perché hanno compiuto opere impregnate di Vangelo e, soprattutto attraverso il gesto del martirio, hanno compiuto un atto di carità perfetta, un amore per Dio e una volontà di lasciare una testimonianza di amore per tutto il popolo di Dio. Mentre siamo illuminati dalla Parola e guardiamo ai nostri Patroni come a padri nella fede, inevitabilmente dobbiamo anche guardare la nostra vita e chiederci se questo sta avvenendo oggi nelle nostre comunità, se all’interno delle nostre comunità ci sono uomini e donne che sono capaci di vivere una particolare paternità e maternità, quella tipica di chi lascia un segno fecondo nella comunità”.

Questa scia di fecondità, tuttavia, non scaturisce da capacità meramente umane ma è il frutto che promana da una esperienza di fede che è dono di Dio: si crede, infatti, perché Lui, il tre volte Santo, rende l’uomo idoneo a stare alla sua presenza, sensibile al suo mistero, in grado di fidarsi di lui, come sottolineato con forza dal pastore leccese:

“La fede è un dono. Essa è venuta a noi quando nel Battesimo siamo diventati nuove creature, siamo stati rigenerati da Dio e sempre nel Battesimo abbiamo ricevuto il lumen fidei, dono dello Spirito che ci fa aderire a Dio […] Nella vita dei nostri Patroni e anche della nostra vita questo miracolo si è generato. Con stupore dobbiamo accogliere la grazia di credere. Noi crediamo perché abbiamo ricevuto il dono della fede, ma noi crediamo anche perché la nostra libertà si è fatta disponibilità, si è fatta docilità nei confronti di Dio. Questo è avvenuto nei nostri Patroni e questo avviene nella nostra vita”.

Dunque, una esperienza di fede viva che ha bisogno di tradursi in una relazione di amicizia con Cristo: sebbene tra l’uomo e Dio tutto ciò potrebbe sembrare utopia, tuttavia, attraverso il mistero della incarnazione Egli si è fatto vicino all’essere umano, gli ha manifestato la sua condiscendente vicinanza, gli ha svelato la sua pro-esistenza.

Programmatiche, a tal proposito, le parole dell’arcivescovo Panzetta: “Proprio perché in Gesù Dio si è fatto amico degli uomini, i segreti di Dio hanno potuto essere condivisi, si sono pienamente manifestati. Gesù ha raccontato nell’amicizia il mistero di Dio. Questo mistero insondabile nell’amicizia con Gesù è stato consegnato a noi. Queste parole ci spiegano un aspetto importante della vita dei nostri Patroni, perché senza amicizia con Gesù non si realizza niente nella vita. Come ci si potrebbe giocare la vita per qualcuno se non lo si ama, se non attraverso la realizzazione di un’amicizia profonda con Lui? I nostri Patroni si sono giocati la vita per il Signore perché sono diventati amici suoi”.

È questo lo spartito su cui è scritta la sinfonia eseguita dai santi patroni leccesi: la loro intercessione sia di aiuto a tutta la Chiesa particolare di Lecce affinché, con passo deciso e sicuro, possa camminare sulla via della santità, meta universale e comune per ogni credente. 

 

 

Racconto per immagini di Arturo Caprioli.

 

Share this post