Ascolterò tutti prima di ripartire

Ascolterò tutti prima di ripartire

Data: 17/04/2009

Il nuovo Arcivescovo di Lecce, a poche ore dall’annuncio della sua promozione a Metropolita del Salento, ha rilasciato la prima intervista al nostro settimanale L’Ora del Salento. A cura di Nicola Paparella. nserisci sommario

DOMANDA:
Eccellenza, con quali sentimenti ha accolto la notizia
della sua promozione ad Arcivescovo Metropolita di Lecce?
A chi ha rivolto i suoi primi pensieri? Cosa ha pensato nell’apprendere
che sarebbe succeduto a Mons. Ruppi per la seconda volta
nella sua “storia episcopale”?

RISPOSTA:
Cum timore et tremore. Non è facile sentirsi gravare sulle spalle la responsabilità della
guida di una Chiesa. Vivo questa responsabilità ormai da circa venti anni e non ho mai
corso il rischio di assuefarmi all’abitudine.

Guidare una Chiesa è attenzione e fedeltà costante a Colui che mi ha chiamato a tale
compito ma è anche occhio vigile, attento, partecipe e sim-patico (patire con) ai fratelli
ai quali devo rendere ragione della fede e della speranza che annunzio. Lecce è la quarta
sede che mi viene affidata. Sento forte il mio limite e la mia povertà ma nel contempo ho
la certezza che tutto posso in Colui, Cristo Signore, che mi dà forza.

Mi si chiede a chi ho rivolto i miei primi pensieri. Devo confessare che non ho una
risposta precisa e circostanziata, visto che è da tempo che i rumors su questo mio venire
a Lecce risuonavano alle mie e a tante altre orecchie.
In merito al mio rincorrere Mons. Ruppi, al di là della stima sincera e della forte e
fraterna amicizia che mi legano a lui, simpaticamente mi sono detto – devo essere sincero?
– ma che male ho fatto per
doverlo rincorrere?

In realtà sono ben contento di inserirmi nel lungo, fecondo, operoso, ministero e
magistero di questo mio degnissimo confratello. Mi consegna una Chiesa che ha percorso un
largo tratto di strada nella
fedeltà a quella grande primavera della Chiesa che è stato il Concilio Vaticano II e nella
meravigliosa avventura del Sinodo Diocesano che ha avuto il grande dono dell’imprimatur
con la visita alla nostra Chiesa di Giovanni Paolo II. In quella occasione ero presente
anch’io, grazie alla benevolenza di Mons. Ruppi che invitò a quel grande evento il suo
confratello amico Vescovo di Termoli- Larino.

DOMANDA:
Che cosa conosce di questa Chiesa locale?
Che cosa le ha raccontato Mons. Ruppi di questa terra?
Che cosa si attende dalla nostra gente?
Quali “ricchezze” acquisite nelle sue precedenti esperienze
episcopali porterà con sé nel Salento?

RISPOSTA:
Non posso dire di conoscere molto della Chiesa che sta per accogliermi.
Di sicuro mi colpisce la sua vitalità, la ricchezza delle opere segno, la forte e incisiva
presenza del presbiterio nella vita delle comunità, il servizio e la testimonianza della
vita religiosa presente nella molteplice varietà dei carismi, la variegata espressione
della religiosità popolare, il maturo dialogo con la vivacità culturale del territorio, il
rapporto sereno e motivato con le istituzioni.
Indubbiamente l’esperienza acquisita nelle tre precedenti esperienze di servizio
episcopale (Termoli-Larino, Foggia-Bovino, Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo), mi ha
aiutato a comprendere che l’azione e l’opera ministeriale di un vescovo nella Chiesa che
gli viene affidata, necessita di un rapporto preferenziale con il presbiterio che deve
trovare lo spazio ampio e costante di un confronto con il vescovo per sentirsi
corresponsabile a pieno titolo della vita della diocesi.

I laici non possono più stare in sala d’attesa, pronti ad entrare solo se chiamati. Il
loro apporto è essenziale, unico, specifico.

C’è la scommessa sui giovani che va affrontata con lungimiranza, fantasia, attenzione,
partecipazione e lettura saggia e sapienziale delle tante espressioni con le quali i
giovani domandano il loro pieno inserimento nella vita della Chiesa e che noi adulti molto
spesso non riusciamo a comprendere o azzeriamo con giudizi frettolosi, riduttivi o
quantomeno incompleti.

Tra le ricchezze che porto con me di sicuro posso attestare che l’episcopato mi ha aiutato
ad essere un po’ più dalla parte della virtù di Giobbe: la pazienza.
Nella biSaccia che porto sulle mie spalle e con la quale raggiungerò Lecce ho messo, come
bagaglio di esperienza che può aiutarmi ad entrare in punta di piedi ma con amore,
rispetto e dedicazione piena a questa nostra Chiesa , ora a me affidata.

In più ciò che le tre Chiese da me servite mi hanno donato e insegnato: la metodica,
puntuale e studiata attesa della gente del Molise; il calore, la fiducia e il grido di
risposte inevase della gente di Capitanata; la caparbia ostinazione di un uomo del Gargano
che si apre all’immensità del mare che lo avvolge e dona e domanda, senza preventivi
calcoli, l’amore, quello che Cristo Gesù domanda ai suoi discepoli: dono totale, vita
consegnata e offerta.

DOMANDA:
Anche nel Salento la devozione per San Pio da Pietrelcina è molto forte.
La gente la assocerà sicuramente al frate delle stimmate e per lei
sarà più facile entrare nel cuore del nostro popolo…

RISPOSTA:
Per circa venti anni sono stato parroco a San Giovanni Rotondo e dunque molto ho appreso e
ancora di più ho ricevuto da quella singolare figura di amore crocifisso che è stato San
Pio da Pietrelcina. Da sei anni, tornato nella mia diocesi di origine come vescovo, dal
Servo di Dio Giovanni Paolo II, mi è stato assegnato un compito.

Ricevendomi in udienza privata pochi giorni dopo la mia nomina come arcivescovo e suo
delegato per le Opere di San Pio da Pietrelcina, il Santo Padre mi accolse con queste
parole: ‘Lei è il custode dell’eredità di Padre Pio’. Quale eredità? Le sue opere? I
Gruppi di Preghiera, la Casa Sollievo della Sofferenza? Certo anche queste.

Ma la vera eredità, e l’ho capito nel corso del colloquio, è la santità.
Sono certo che non l’appellativo ‘il vescovo di Padre Pio’, mi farà entrare nel cuore del
popolo del Salento, ma la capacità di fare da capofila e da apripista sul percorso che il
profeta Isaia chiama ‘via santa’. è su questa alta prospettiva che ci misureremo insieme
ben convinto come sono, che la speranza che deve farsi strada tra di noi, si concretizza e
materializza se ci sono persone capaci con la loro vita di volare alto e di lasciarsi
guidare dalle parole dell’Apostolo Pietro: ‘ad immagine del Santo che vi ha chiamati siate
santi anche voi’.

DOMANDA:
Come immagina il suo Ministero leccese?
Ha già in mente le linee-guida sulle quali poggerà
il programma pastorale dei prossimi anni?
Quali saranno le priorità?

RISPOSTA:
Vengo a voi nel nome del Signore Gesù, servo della sua parole, dispensatore dei suoi
misteri santi, disposto a perdere, come diceva don Mazzolari, mani, occhi e piedi anziché
rinnegare il Signore e senza calcoli meschini e fuorvianti nel fare della mia vita una
offerta e un dono per tutti voi. In fondo donare la vita è la misura di ogni vera bontà.
Sono ben convinto che è mio compito non quello di trovare mani pronte ad applaudire o
gesti e segni che aprano ampi spazi di consenso.
Sono chiamato a dare testimonianza alla verità con l’esercizio dell’amore. Per ora non ho
programmi. Sarebbe presuntuoso o quanto meno improvvido.

I programmi dell’azione pastorale di un vescovo non sono parti improvvisi e geniali della
sua intelligenza, della sua preparazione, della sua esperienza. Certo tutto questo entra
in una seria programmazione ma è prioritario conoscere, ascoltare, incontrare,
confrontare, dialogare.

Questo sarà nei prossimi mesi il mio programma: venire a voi, entrare in tutte le
comunità, ascoltare le varie realtà ecclesiali, dare spazio e proposte ai vari organismi
di partecipazione.
Dunque nei prossimi mesi vi darò un po’ di tregua per riprendere fiato e partire con
sapiente strategia pastorale e con reciproca, opportuna conoscenza.

Le priorità non saranno il frutto di un solitario né nasceranno a tavolino, ma si
concretizzeranno dopo opportuna conoscenza, sapiente e paziente ascolto, attenta e
motivata individuazione di quanto questa Chiesa avverte come profeticamente urgente.

DOMANDA:
Eccellenza, lei ha preso parte a Napoli al recente Convegno delle Chiese del Sud.
“Vorremmo che la speranza del Sud fosse la speranza del Paese”
è stato uno degli auspici dai nostri pastori meridionali al termine di quell’assise.
È possibile riorganizzare la speranza per le strade del meridione d’Italia
e soprattutto come può il sud divenire “capofila” della speranza per l’Italia?

RISPOSTA:
La possibilità di riorganizzare la speranza per le strade del meridione d’Italia non è una
chimera o una utopia di qualche sprovveduto sognatore.
È il compito che ci sovrasta come credenti. L’Apostolo Pietro nella sua prima lettera ci
ricorda che proprio noi credenti siamo chiamati a dare ragione della speranza che ci
appartiene.

In realtà forse anche noi, Chiese del Sud, abbiamo preferito molte volte accodarci ai
laudatores tmporis acti o abbiamo ingrossato la fila delle tante Cassandre, o addirittura
ci siamo annoverati tra i profeti di sventura di cui parlava il Beato Giovanni XXIII nel
discorso di apertura del Concilio Vaticano II.

Molte volte – ma pare che questa categoria stia scomparendo – abbiamo scelto il rito delle
‘lamentazioni’, attendendo e aspettando che qualcuno si muovesse a compassione.
In questo stiamo maturando e abbiamo con forza messo mano all’aratro anche se spesso la
terra rimane arida e non produce frutti.
Sono convinto che per noi credenti è giunto il tempo di ‘uscire dal tempio’, di affrontare
la storia nel suo incerto e a volte torturato cammino. Quella dicotomia che a parole
rifiutiamo, in realtà spesso fa capolino nel nostro vivere quotidiano: c’è il tempio e ciò
che in esso si compie che ci rasserena, che ci mette in pace con Dio e che annulla paure e
angosce.

Poi c’è la storia, la vita, la realtà di ogni giorno dalla quale quasi ci difendiamo e per
la quale non ci sporchiamo le mani, paghi della dimensione rasserenante e pacificante
delle nostre assemblee, dei nostri segni santi.
Il costume della delega o della latitanza ha creato situazioni di stortura, ha aperto a
dismisura spazi di relativismo etico che ci fanno paura e per i quali sembra che siamo
ridotti a moderni don Chisciotte.
Sappiamo che non siamo di questo mondo, ma siamo in questo mondo.

Dobbiamo riprendere il nostro posto nella storia perché il miracolo della risurrezione che
cambia, trasforma e infonde speranza, restituisca la bellezza di una presenza e la novità
di una proposta che può dare impulsi inediti a una sorta di assuefazione alla china
discendente a cui assistiamo inerti e delusi.

Chiesa Santa che vivi la ricchezza della tua fede in Lecce alza lo sguardo: ecco la
speranza che è Cristo non è stata cancellata. Anche se avanza con un po’ di caligine, non
temere. Non stare ferma, va incontro al Risorto per ottenere la freschezza di una vita
nuova che dilaterà gli spazi della speranza e garantirà l’efficacia e fecondità di un
impegno e di una presenza liberante nella nostra storia, nella nostra terra.

È il mio augurio ma anche l’impegno che d’ora in avanti ci vedrà insieme per essere i
testimoni credibili della risurrezione di Cristo Gesù che fa nuove tutte le cose.

Autore/Fonte: L’Ora del Salento, n. 14 del 25/04/09 pagg. 1 e 8 – Mons. Domenico D’Ambrosio