Un profeta si trova in mezzo a loro

Un profeta si trova in mezzo a loro

Data: 04/07/2009

L’omelia di Mons. Domenico Umberto D’Ambrosio durante la Solenne Concelebrazione Eucaristica in Piazza Duomo e inizio del Ministero Episcopale a Lecce.

L’omelia di Mons. Domenico Umberto D’Ambrosio durante la Solenne Concelebrazione Eucaristica in Piazza Duomo e inizio del Ministero Episcopale a Lecce.
Ricerche accurate fatte nella storia della mia famiglia – un dono bello e grande: una
famiglia semplice , povera ma nella quale ho respirato l’amore del Signore e ho scoperto
la generosa carità che mio padre e mia madre esercitavano l’uno di nascosto dall’altra –
mi dicono che mio padre non era un Arameo errante.

Ma poiché la parola di Dio è parola vera, ripercorrendo la storia dei mio servizio
episcopale, quattro diocesi in venti anni, mi sono convinto che mio padre era un Arameo
errante.

Ora, contando il numero degli anni che mi restano per il servizio episcopale attivo,
posso dire: Che bello, finalmente a casa!

L’attesa per giungere nella Chiesa che il pastore e vescovo delle nostre anime mi ha
consegnato, è andata al di là del consentito.

Ma come sapete avevo da godere dell’ultimo grande dono che il mio/nostro San Pio da
Pietrelcina ha voluto farmi: la visita/pellegrinaggio di Benedetto XVI a San Giovanni
Rotondo, nella Chiesa a me più di tutte le altre Madre.

“A voi tutti amati in Dio Padre e custoditi da Gesù Cristo, a voi siano date in
abbondanza misericordia, pace e carità” (Gd 1-2).

Con le parole dell’Apostolo Giuda saluto tutti voi da me già ‘prediletti e amati’.

Siete veramente tanti a sottolineare l’abbraccio corale della Chiesa di Lecce a colui
che viene in mezzo a voi mandato e nel nome del Signore.

Popolo santo di Dio qui radunato, espressione della multiforme ricchezza di doni e
carismi, gaudio e corona della Chiesa che qui vive e testimonia l’ineffabilità della
presenza di Dio, fratelli e sorelle che nelle comunità servite, amate, sostenete, il
quotidiano incarnarsi della grazia e dell’amore del Signore, fin d’ora vi dico grazie,
convinto che con questa mia nuova famiglia cresceremo nella fedeltà a Lui, a Cristo Gesù
il Sacerdote sommo, misericordioso e degno di fede, nell’attenzione ricca di amore,
intrisa di speranza, e pronta al dono senza riserve per i fratelli ai quali il Signore
ci manda per essere una rifrazione luminosa del Cristo che ama, serve e dona.

Un saluto particolarmente grato e fraterno all’Em.mo Signor Cardinale Salvatore
De Giorgi, figlio amato e prediletto di questa terra, di questa Chiesa.
Grazie, Eminenza, del dono della sua presenza e della amabile, discreta ma attenta
vicinanza con la quale da sempre ma in particolare in queste ultime settimane, mi ha
aiutato ad accogliere la novità di Dio per me in questa sua e nostra Chiesa.

Come non benedire e lodare il Signore per la presenza di Sua Eminenza Gennadios Zervos,
metropolita della Chiesa Ortodossa d’Italia e inviato di Sua Santità Bartolomeos I,
patriarca ecumenico di Costantinopoli?
Grazie, Eminenza per il dono della sua fraternità che è iniziata molti anni fa quando
entrambi eravamo alunni presso la Facoltà di Teologia S. Luigi in Napoli e che ha
ritrovato pienezza di dialogo e amicizia fraterna negli anni in cui ero arcivescovo di
Foggia-Bovino.
Porti a Sua Santità il Patriarca Bartolomeos I la nostra gratitudine, il nostro saluto,
la nostra preghiera perché il sogno della pienezza dell’unità tra le due antiche Chiese
sorelle si faccia storia viva e testimoniante perché il mondo creda.

A Sua Eccellenza Mons. Giuseppe Bertello, nunzio apostolico in Italia, un grazie per il
dono di un’amicizia ancor più necessaria e balsamica in questi ultimi mesi che hanno
avvertito il soffio del vento impetuoso e gagliardo che, spazzando residue paure, mi ha
portato a voi nell’ultima stagione della vita che in realtà sento come stagione di una
rinnovata giovinezza dello spirito.

Un saluto cordiale, fraterno, grato e affettuoso agli Ecc.mi Vescovi che condividono con
me il mistero grande dell’Eucarestia.

Ora il mio saluto fraterno, affettuoso, sincero all’Ecc.mo Mons. Cosmo Francesco Ruppi
che per oltre venti anni ha guidato questa nobile Chiesa con sapienza geniale, con
intelligenza perspicace e attenta ai segni dei tempi, con lungimiranza profetica, con
forza sicura e pronta nell’affrontare anche le tempeste.

Non sono mancate! Cara Eccellenza, da molti anni ci lega una salda e bella amicizia.

Grazie per questo dono che continua. Grazie per la Chiesa che lei consegna alle mie mani.

Il suo ricco magistero e la sua incisiva azione pastorale ci accompagneranno nella nuova
pagina di storia che la Chiesa di Lecce oggi inizia a scrivere e non solo sui documenti
che racconteranno a quelli che verranno ciò che abbiamo realizzato noi oggi.

Nella Chiesa Santa di Dio non contano le fredde pagine che narrano, importa la stilo
dell’amore che incide e lascia segni indelebili nei cuori di carne.
Non ci interessano i monumenti, le opere, che pur sono necessarie, non contano i blasoni
o i distintivi.
Non ci allettano né ricerchiamo applausi, memori della parola di Gesù: guai quando tutti
gli uomini diranno bene di voi.
È questa la strada che lei ha percorso insieme a questa Chiesa che l’ha amata.

Ora lei sarà con le mani alzate come Mosé per domandare, invocare, sostenere con
l’intercessione il tratto di strada che il Signore continua ad indicarci.
Grazie, Eccellenza carissima, grazie.

Da questa sera inizia il mio pellegrinaggio verso i luoghi di Dio disseminati in questa
nostra Chiesa.

Già questa mattina ho voluto dare un piccolo saluto alle comunità di San Pietro
Vernotico, Torchiarolo, Squinzano, Trepuzzi, Surbo.

Ho voluto fare una visita alla Casa Circondariale di Lecce, dove alcuni nostri fratelli e
sorelle vivono la fatica di una libertà non piena in attesa di poter riprendere il posto
che loro appartiene, tra noi.
In questo giorno nessuno deve sentirsi escluso dalla grande festa che il Pastore buono
ha preparato per tutti noi che da oggi incominciamo a vivere la sfida della comunione
nell’amore che dovrà avere la meglio sui ricorrenti egoismi che la oscurano e la
sfiduciano.
Non posso non esprimere agli ospiti della casa circondariale la mia gratitudine per la
benevola e festosa accoglienza che mi hanno riservato.

Ora, non una dovuta e formale liturgia dei saluti, ma un bisogno del cuore mi impegna a
cercarvi in questo meraviglioso ricamo intessuto sulle pietre che accolgono e abbracciano
l’assemblea santa dei convocati.

Il mio saluto è per voi tutti, fratelli e sorelle, che vivete la fedeltà a Cristo Signore
in questa Chiesa Santa: piccoli e grandi, giovani e adulti, sani e malati, poveri e
ricchi, semplici e puri di cuore secondo le categorie evangeliche.
Fin d’ora sentitevi da me accolti, amati e portati al Signore nello spazio
dell’intercessione che incessantemente mi lega a Colui dal quale discendono per noi doni
e grazie.

Saluto questa meravigliosa città di Lecce, ora la mia città, lo spazio vitale per
l’esercizio del mio ministero, il luogo nel quale vivrò la gioia e la fatica del dialogo
che si fa innanzitutto ascolto attento e rispettoso dell’altro, le sue strade, le sue
piazze, i luoghi del lavoro che esalta e offre sicure garanzie, i luoghi nei quali si
vive e si soffre il peso e la fragilità della vita, i luoghi nei quali si fa storia
l’esercizio dell’autorità che serve, interpreta e dà risposte alla città degli uomini
mai in contrasto o in rotta di collisione con la città che accoglie i figli di Dio.

Autorità tutte di ogni ordine e grado, membri del governo nazionale, regionale,
provinciale, sindaco e amministratori di questa ormai mia città – sento ormai di poter
dire civis Lyciensis sum, mi si riempie il cuore nel dire ‘sono un ‘leccese’ –
amministratori degli altri diciassette comuni della diocesi, a voi la mia stima, la mia
fiducia, l’offerta della mia disponibilità al dialogo, del mio desiderio di incontrarvi,
ascoltarvi, avervi accanto nell’esercizio del ministero di uomo di Dio che d’ora in
avanti farà sue le speranze e le fatiche dei nuovi compagni di viaggio ai quali porterò
il Vangelo della gioia che è Cristo Gesù.

Non sarà difficile camminare insieme.

Darò a Cesare quello che gli appartiene, ma il Dio al cui servizio ho giocato tutta la
mia esistenza è il solo vero Signore a cui non toglierò mai nulla per meri calcoli
efficientisti, gratificanti o immediatamente appaganti.

Saluto le autorità e i servitori della comunità che ho lasciato per venire a voi.
Sono numerosi e tanti.
Li ringrazio per questo ulteriore segno di affetto che sigilla anni di cordiale e feconda
collaborazione nella meravigliosa terra del Gargano.

Agli anonimi cercatori di Dio e a coloro che vivono la fedeltà a un ideale che non fa
spazio a Colui nel quale viviamo, ci muoviamo ed esistiamo,il mio saluto rispettoso e
pensoso.
Anche per voi l’offerta di un dialogo, di un confronto, di uno scambio di comuni
preoccupazioni per l’uomo da amare, da accogliere, da sostenere, da difendere da assalti
che ne snaturano la sua inviolabile dignità e il suo valore sommo. Ora permettete che una
mia parola di ricordi grati e commossi vada alla mia prima sposa e a quanti di quella
famiglia e di quella Chiesa hanno voluto essere presenti a questa festa: la Chiesa che è
in Termoli -Larino che tanta pazienza ha avuto nel sopportare la mia giovane età e
l’inesperienza.

È stata la prima palestra del mio servizio episcopale importante, entusiasmante,
arricchente.
Rimanete nella mia preghiera e nel mio cuore.
Nessuno vi toglierà.

Agli amici tutti, ai fratelli e sorelle della Chiesa che è in Foggia-Bovino che mi ha
avuto come suo pastore per poco meno di quattro anni e che fin dal primo giorno ho
invitato ad essere collaboratori della mia gioia, non posso non dire un riconoscente
grazie per il calore e l’affetto grande che mi hanno saputo donare fin dall’inizio del
mio ministero e che si è ancor più arricchito nella immane tragedia del crollo di Viale
Giotto con i suoi 68 morti.

Città di Foggia tu e la Madonna dei Sette Veli che sa nascondersi agli occhi
dell’incredulo ma svela la bellezza del suo sguardo a chi la ama e sa proclamare le sue
glorie – Sant’Alfonso Maria de’ Liguori è stato uno dei fortunati conoscitori della tua
bellezza – tu non sarai privata della gratitudine e del ricordo orante del tuo 13°
vescovo!

C’è un grazie detto con amore che si fa saluto affettuoso e impegno di preghiera per la
grande opera di carità di Padre Pio: la Casa Sollievo della Sofferenza.
Voi che in quel ‘tempio di preghiera e di scienza’ vivete e offrite il servizio della
vostra competenza ma soprattutto delle vostre riserve di amore, continuate nella fedeltà
a una missione, a servire la doppia immagine di Cristo nell’ammalato povero.

Il Signore, come diceva il nostro Santo Fondatore, vi ricompenserà a mille doppi.
Grazie per il tanto che mi avete donato in amicizia e disponibilità e grazie anche per la
piccola dose di sofferenze che non sono mancate.

È giunto il tuo turno, Chiesa più di tutte a me madre perché mi hai generato alla vita,
alla fede, al Sacerdozio e al servizio episcopale: sei tu Chiesa amata che vivi in
Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo.
Madre mia, grazie per il bene grande che mi hai donato, perdonami se talvolta non sono
stato in grado di esprimerti e consegnarti tutto me stesso.
Sei con me e rimani in me.

So quale è il tuo desiderio, è quello che la madre Monica manifesta, nella casa di Ostia
ai suoi figli, ad Agostino e al fratello.
Me lo avete ripetuto in svariate occasioni in questi due ultimi mesi della mia presenza
tra voi: “fratello nostro, soltanto di questo ti preghiamo: dovunque ti troverai
ricordati di noi all’altare del Signore”.
Siate certi di una mia profonda convinzione, la conoscete: il cuore non dimentica, ama.

Da questo luogo, da questo altare, questa sera ti invio il mio sms “tvb”, ti voglio bene.

Ora a tutti voi, che avete fatto della vostra vita un dono e un’offerta al Signore e un
servizio ai fratelli: religiosi, religiose, conSacrati, conSacrate, la certezza del mio
sguardo attento e amorevolmente vigile perché la profezia dell’amore indiviso e della
povertà testimoniante risplenda sempre in questa nostra Chiesa come richiamo costante e
in qualche modo visibile dell’assoluto di Dio. Fratelli miei presbiteri, diaconi, come
vedete vi ho messi in coda ai saluti ma è la coda evangelica : gli ultimi saranno
i primi.

Si dovrà essere proprio così.
Voi siete i miei fratelli e amici.
Con voi dovrò annunziare, guidare, santificare questo popolo conSacrato al Signore non
su strade sconosciute o affollate da anonimi viandanti e per di più talvolta senza una
meta, ma sulla via santa, quella che il Signore ha preparata per i suoi redenti, i suoi
salvati.

Spero di trasmettere anche a voi, un mio segreto quotidiano, graffiante tormento e una
non del tutto nascosta tristezza: la santità a cui da sempre insieme a tutti voi sono
stato chiamato ma che mi vede viandante che percorre molto spesso con stanchezza e senza
eccessivi entusiasmi questa strada obbligata, memori di quanto ci dice l’Apostolo Pietro
nella sua prima lettera: “ come il Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi
in tutta la vostra condotta” (1Pt1,15).

Cari presbiteri, vi aspetto per un dialogo attento, sereno, franco e libero, ma della
libertà dei figli di Dio.
Non vi lascerò troppo tempo in sala d’attesa; ma per favore non vi affollate.
Si potrebbero creare degli ingorghi!
La casa del vescovo è la vostra casa.

State certi: bussate e vi sarà aperto.
Sarò contento di pregare con voi, di avervi commensali non solo al banchetto santo ma
anche alla mensa su cui consumare il pane quotidiano, frutto della terra e del lavoro
dell’uomo.

Mi avrete spesso tra i piedi.

Ho bisogno di poche settimane per orientarmi e conoscere la strade che mi conducono a
voi e quindi, senza crearvi problemi di sorta, con il mio navigatore don Angelo, quello
custode però, sarò a voi per vivere la gioia della quotidiana Eucaristia, con libertà e
spontaneità.

So che non devo abusare della vostra pazienza, né devo perdere punti da subito.

Noi vescovi siamo accusati di parlare troppo e a lungo.
Siatene certi: la lunghezza di questa sera vedrà l’inizio della sua sconfitta fin da
domani nella messa che celebrerò in Cattedrale e in quella che presiederò domani sera ad
Arnesano.

Ora, fratelli miei carissimi, la Parola che ci è stata proclamata, ci interessa, ci
riguarda, ci coinvolge.
Ci interessa perché di essa siamo ascoltatori.
Ci riguarda e coinvolge perché di essa siamo o dobbiamo essere annunciatori.

Come ascoltatori e discepoli della Parola non possiamo far nostro l’atteggiamento del
popolo d’Israele, come ci ricorda il profeta Ezechiele nella prima lettura, che il
Signore chiama genia di ribelli, testardi e dal cuore indurito, che si rivoltano contro
di lui.

Né possiamo metterci dalla parte degli abitanti di Nazaret increduli davanti a Gesù fino
al punto da ritenerlo motivo di scandalo.
Forse anche noi ci scandalizziamo di Gesù e lo rifiutiamo quando non corrisponde ai
nostri schemi, quando manda in fumo i nostri progetti, quando, a nostro giudizio il
salario è insufficiente o omologato.

Eppure il suo messaggio è liberazione e vita ma non va secondo le nostre logiche, non è
facilmente addomesticabile.

E allora possiamo passare dallo stupore e dalla meraviglia – Luca ci dice che nella
sinagoga gli occhi di tutti erano fissi sopra di Lui, il Cristo – allo scandalo, alla
incredulità, al rifiuto, alla ribellione aperta.
È questo il dramma della parola di Dio.

Il Signore sa che venendo a noi con la sua parola, rischia.
La sua Parola penetra fin nelle giunture delle nostre ossa, è tagliente, è viva,
efficace.

Non si accontenta di ascolti soporosi o superficiali.
Chiede una apertura nuova e totale che si chiama conversione.

Stranamente, ma molto spesso, questa Parola nel giungere a noi scatena una sorta di crisi
di rigetto. “L’uomo si sente come minacciato da questa Parola e cerca di opporre
resistenza: si sforza in vari mondi di annullarla, di disinnescarla, di neutralizzarla”.
Purtroppo talvolta continua anche tra i cristiani benpensanti, tranquilli e comodi nelle
loro idee l’ostracismo a Gesù.

Anche tra noi ci sono i Nazaretani increduli. Non c’è posto per un concittadino che fa a
meno delle comode scelte da compromesso o da patteggiamenti al ribasso.

A noi viene chiesta disponibilità, ascolto vero, coinvolgimento certo soprattutto quando
questa Parola ci sembra dura, inquietante, sconvolgente, imprevedibile, capace di
stanarci dalle nostre sicurezze, di sfrattarci dalla casa sicura e comoda per rimetterci
nelle condizioni del viandante e dello stanco pellegrino che ha solo l’ombra di un
ginepro per proteggersi dal caldo infuocato e aggressivo dei ciarlatani che
nell’immediato sono più suadenti e appaganti.

Ci aiuti Maria la serva della Parola perché ad essa ha creduto e per questo ritenuta
degna di accogliere la Parola fatta carne.

Ma alla parola non basta il ‘religioso ascolto’.

Di essa siamo chiamati ad essere anche annunciatori ‘miti e coraggiosi’.

Sento forte la responsabilità dell’essere chiamato a proclamare la Parola, ad
annunziarla con la forza della fede e la testimonianza credibile di una vita limpida e
filigranata dal Vangelo di Cristo Gesù.

Nella Solennità dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, il Santo Padre BenedettoXVI parlando ai
34 metropoliti a cui ha imposto il pallio, tra essi c’era anche il vostro vescovo, ci ha
detto:

“Pascolare il gregge vuol dire aver cura che le pecore trovino il nutrimento giusto, sia
saziata la loro fame e spenta la loro sete.
Fuori di metafora questo significa: la parola di Dio è il nutrimento di cui l’uomo ha
bisogno.
Rendere sempre di nuovo presente la parola di Dio e dare così nutrimento agli uomini è il
compito del retto pastore… Non basta parlare.
I pastori devono farsi modelli del gregge.
La parola di Dio viene portata dal passato nel presente quando è vissuta.
È meraviglioso vedere come nei Santi la Parola di Dio diventi una parola rivolta al
nostro tempo. In figure come Francesco e poi di nuovo come Padre Pio…
Cristo è diventato veramente contemporaneo della loro generazione, è uscito dal passato
ed entrato nel presente”.

Cari miei fratelli, ecco il mio compito: portare la Parola dal passato nel presente.
Impresa disperata se la mia vita non diventa tentativo, anche se rabberciato, di un
costante anelito per la santità.

Carissimi non mi darò pace fino a quando il volto del Dio Santo non inonderà tutta la
mia vita.

Solo così potrò dare senso pieno a una parola malcompresa e storicamente resa odiosa da
una indebita e fuorviante appropriazione.

Il vescovo fa parte della gerarchia che non è una solitaria ed autocratica imposizione
di un potere.
L’etimologia della parola sta a significare il primo nella santità, non nel potere,
dispotico e assoluto.
Il vescovo dunque è colui che apre la categoria dei santi.

Tenterò di portare voi con me su questa strada, ben consapevole che i banditori della
buona novella saranno perseguitati come il profeta Ezechiele e rifiutati come Gesù.

Non siamo chiamati a competere con gli astuti rabbonitori capaci di ingannare e
trascinare sulla strada dell’inganno e della fatuità.
È il Dio vero, quello della croce di Cristo Gesù che annunzierò a tutti voi.

Non mi vergognerò di proporre il segno che già ai tempi dell’Apostolo Paolo gli Ebrei
consideravano scandalo e gli orgogliosi Romani stoltezza.

Per noi la Croce è sapienza e potenza di Dio.

È l’esperienza che i tanti crocifissi sulle strade della vita sanno annunziare e vivere.
Non sarà la fatica o la tentazione e la paura dell’insuccesso a fermare una fedeltà senza
compromessi e senza scoraggiamenti.

Sono ben consapevole che l’esperienza del rifiuto e dell’insuccesso caratterizza il
ministero profetico e non sono mancati nei venti anni del mio ministero episcopale.
La Parola ci dice che tutto questo è uno dei segni per distinguere il vero dal falso
profeta.

Penso a uno di questi profeti crocifisso in vita ed esaltato in modo particolare in
questo anno a cinquanta dalla morte, don Primo Mazzolari che ben a ragione poteva dire:
“Quando non si guadagna nient’altro che sofferenza, quando si paga solo di persona, si è
sicuri di essere sulla strada giusta”.

Chiesa Santa di Dio che vivi in Lecce e sei chiamata all’ascolto e all’annuncio della
Parola, venendo a te, mandato dal Signore per essere tuo Pastore, ho voluto indicare
qualche traiettoria del mio itinerario di servizio in mezzo a voi.

Siate certi spenderò la mia vita, il mio tempo, le mie energie per voi.

Molti mi chiedono da subito il programma, le indicazioni per le priorità pastorali, gli
orientamenti.
Ritengo presuntuoso e Saccente pretendere di venire a voi con uno schema di agire
pastorale già ben definito e strutturato, con una variegata ricchezza di proposte e con
agguerrite intenzioni di chissà quali rivoluzionari sommovimenti.

Potete essere certi: amo osservare, ascoltare, confrontarmi e dopo le molte parole
ascoltate si arriva all’ultima che diventa sintesi completa e organica delle tante.

Ora dunque per me e per voi sarà il tempo dell’incontro, dell’ascolto, del dialogo,
della reciproca conoscenza e della condivisione del peso soave di questa Chiesa che nella
comunione deve portare avanti la sua missione: l’annunzio di Cristo Gesù, unico Salvatore
e Redentore.

È con queste scelte che, quale vostro Pastore intendo testimoniare il primato
dell’ascolto che genera e fa crescere la comunione.
È uno stile di vita con cui il Pastore vuol condividere la ricchezza dell’unica fede e
la tremenda responsabilità dell’essere con voi cristiano, per voi Sacerdote e maestro.

Ci sosterremo a vicenda con la forza della preghiera e la carica dell’amore.

Sappiamo di poter contare sull’aiuto e l’intercessione dei nostri Santi Patroni.

Posso dubitare della intercessione per tutti voi e per me di San Pio da Pietrelcina?
Per sei intensi anni sono stato il custode della sua eredità.
Ho condiviso con suoi confratelli, i Frati Minori Cappuccini, gioie, fatiche e accuse.
Li ringrazio per il dono dell’amicizia vera e fraterna che ci ha fatto superare ostacoli
interni ed esterni.

Ho portato il suo messaggio in ogni parte del mondo ai Gruppi di preghiera “esercito di
intercessori che bussa continuamente al cuore di Dio”.
Di sicuro mi sarà e lo sentirò accanto in questa ultima tappa della mia vita consegnata a
Cristo per voi perché possa essere come lui ‘Sacerdote santo e vittima perfetta’.

Per questa nostra città, per la nostra Chiesa c’è la protezione sicura e il singolare
occhio di benevolenza dei SS. Martiri nostri Patroni: Oronzo, Fortunato e Giusto, di San
Filippo Smaldone e dei Santi che vegliano e intercedono per tutte le nostre comunità.

Sia per noi Madre sollecita e benigna la Vergine Santa che da sempre veglia e custodisce
nell’amore tutti i figli del Figlio.

Fratelli, sorelle, da oggi muoviamo insieme i nostri passi incontro al Signore.

Da oggi a pieno titolo potrò bussare alle vostre porte, entrare nelle vostre case,
percorrere le strade e i luoghi che vi vedono artefici e costruttori di speranza per
manifestarvi la gioia dell’essere con voi e uno di voi e dirvi la parola che ristora, dà
forza, vince paure, annulla distanze, genera novità di rapporti.

Il Signore Gesù faccia splendere su di voi la luce del suo volto e vi doni pace.

Amen.

Autore/Fonte: Mons. Domenico D’Ambrosio