XX Anniversario della Ordinazione Episcopale

 

Omelia Arcivescovo

Data: 04/01/2010

Ventesimo Anniversario della Ordinazione Episcopale

In questo giorno santo in cui la gloria del Signore brilla su tutti noi, siamo insieme come assemblea santa per vedere il Bambino Gesù con Maria sua madre, per prostrarci, adorarlo e offrirgli i nostri doni: l’oro, l’incenso e la mirra della nostra vita. È bello pensare che con i Magi prende avvio quella straordinaria arte, molto spesso da noi credenti non esercitata, del prostrarci davanti a ciò che apparentemente può sembrare piccolo o insignificante. Eppure il Signore e Salvatore che scorgiamo, adoriamo e riconosciamo nella fragilità del Bambino, ha fatto di questo prostrarsi davanti ai piccoli, la novità sconvolgente della sua proposta. Noi gli offriamo i nostri doni per quanto preziosi possano essere. In cambio lui dona a noi se stesso.
Chiamati ad adorare il Messia Signore, non possiamo accontentarci di riconoscere freddamente, quasi per una scontata, ovvia e tradizionale professione di fede nel Bambino di Betlem, il Signore e Salvatore. Non può bastare l’adorazione offerta e testimoniata soltanto nelle svolte solenni della nostra personale esistenza di fede o quella dei richiami assembleari che spesso ci fanno sperimentare la ricchezza e la bellezza anche estetica del nostro essere Chiesa che ha da manifestarsi al mondo.
La nostra adorazione, il nostro riconoscere nel Cristo il Signore, non possono che essere, sul suo esempio e a sua imitazione, accompagnati dalla quotidiana, generosa e totale offerta di tutto il nostro essere, consapevoli che l’essere adoratori e confessori della fede in Cristo Gesù non è a tempo determinato né può accettare strane forme di precariato. È impegno che coinvolge e totalizza l’intera nostra esistenza.
Questo nostro giungere a Betlem per riconoscere, adorare, offrire, prostrarci davanti al Bambino, cambia la vita. Non abbiamo da offrire a nessun altro ciò che ci appartiene e che abbiamo donato: è la nuova strada, l’altra via che abbiamo imboccato e che non tollera deviazioni o soluzioni alternative.

Al gesto rinnovato e consapevole dell’offerta della nostra vita, accogliendo il mio invito, e per questo vi dico tutta la mia gratitudine, vi unite al rendimento di grazie mio personale e di tutta la Chiesa Santa di Dio che vive e testimonia la sua fedeltà a Cristo Signore qui in Lecce, per il grande dono del ministero episcopale che venti anni fa, il 6 gennaio 1990, il servo di Dio Giovanni Paolo II mi consegnava attraverso l’imposizione apostolica delle mani e l’unzione episcopale, il mandato di ‘pascere il santo gregge e di compiere in modo irreprensibile la missione del sommo Sacerdozio’, quale ‘speciale amministratore della divina epifania’, ministro della divina epifania, ministro fedele e instancabile’.
Ripercorrendo gli anni, venti, del mio ministero episcopale, molto spesso mi interrogo e mi domando sul grado di fedeltà a questo compito: la mia vita, le mie parole, i miei gesti, le scelte del mio ministero sono riuscite a manifestare, a far conoscere, a far amare il Cristo, luce dei popoli? Sono stato servitore fedele e instancabile del mistero posto nelle mie mani? La risposta la conosco e mi costa fatica dover riconoscere che dopo sì lungo tempo e con dovizia inesausta di grazia, sto ancora annaspando e la decisione coraggiosa per uscire dalle secche della quotidiana monotonia, tarda a venire. Mi rendo conto che il tempo si sta facendo breve e che urge la radicalità della conversione per non sentire ancor più il tormento dell’immensità della grazia che mi viene donata e della risposta fiacca e abulica che segna le pagine sgualcite del libro che segna l’itinerario della mia santità.
Fratelli e sorelle: questa è l’ultima carta che mi resta da giocare per la scommessa della vita santa. È il passaggio decisivo di Colui che bussa alla porta della mia vita. Non c’è da accostare l’uscio ma da spalancare la porta. Datemi una mano sì che la manifestazione del Signore Gesù mi trovi ministro fedele e instancabile.

Il mio essere con voi e il vostro stare con me, mi aiuteranno nel compito gravoso di essere episkopos = custode, sorvegliante. Non una sorveglianza esterna ma il vedere dall’alto, “un vedere a partire dall’elevatezza di Dio. Un vedere nella prospettiva di Dio è un vedere nell’amore che vuole servire l’altro, vuole aiutarlo a diventare veramente se stesso…… Gesù, il vescovo delle anime, è il prototipo di ogni ministero episcopale. Essere vescovo in questa prospettiva significa: assumere la posizione di Cristo. Pensare, vedere ed agire a partire dalla sua posizione elevata. A partire da lui essere a disposizione degli uomini, affinché trovino la vita” (Benedetto XVI, Omelia 29 giugno 2009).
Si, carissimi tutti, è a partire da lui, davanti a Lui, alla sua presenza, in quel ministero che mi appartiene, ad imitazione del Sacerdote Sommo, misericordioso e fedele, il mio posto è stare alla sua presenza per voi, per intercedere a vostro favore, per farmi carico delle vostre attese, accoglierle e secondo il significato della parola colligere, farne colletta perché per le mani dell’angelo santo arrivi all’altare del cielo davanti alla maestà divina perché su tutti voi, popolo santo a me affidato, scenda la pienezza di ogni grazia e benedizione del cielo (cf Canone Romano).
Questo ministero di intercessione mi impegna a far mio l’attributo che è di Cristo Gesù, il Sacerdote sommo ‘degno di fede per i rapporti con Dio’ (Eb2,17). Dunque dovrò essere capace di mettere tutti voi, popolo santo, in relazione con Dio. Devo crescere nella fedeltà al mio ministero per essere sempre più accreditato presso Dio, non disattendendo il legame con tutti voi che mi viene ricordato dall’altro attributo ‘misericordioso’. Se venisse meno il legame di solidarietà con tutti voi non potrei essere vostro intercessore. Solidale con voi, con la vostra fatica della vita, con le vostre fragilità, solidale con i peccatori. Una solidarietà che non mi può rendere complice del peccato, ma mi impegna a far mia la situazione drammatica provocata dal peccato e ad aiutare i peccatori a uscirne.
È questa la generosità che Cristo Signore ha avuto con noi. Ha preso su di sé i nostri peccati, anzi ha preso su di sé il patibolo dei peggiori criminali: la croce.
Non altrimenti il pastore può estraniarsi e rifiutare la solidarietà con le tante sofferenze dei fratelli. Non posso crearmi l’isola beata, ben recintata e insonorizzata per non ascoltare il grido e le invocazioni che salgono dal mondo e dalla storia. La parola che siamo chiamati ad annunziare è parola di speranza, è annunzio di liberazione, è dare voce agli oppressi e agli sfiduciati, attraverso una presenza che si accosta e condivide, che ascolta e fa emergere le tante ingiustizie che dilaniano la vita di tanti nostri simili.
La misericordia mi impegna alla condivisione, alla solidarietà, alla presenza accanto. Mi chiede di non indulgere a compromessi e ipocrisie, a non arrestare il passo di fronte agli ostacoli, ad accogliere i tanti che bussano alla porta e al cuore del vescovo sì da far sentire a tutti, come ricordavo ieri sera ai convenuti per la celebrazione pubblica del 20° anniversario, la grandezza dell’amore e del cuore di Dio che cerca casa nel cuore di ognuno di noi.
Vi rinnovo l’offerta della mia vita. Intendo, con l’aiuto e la forza dello Spirito, spendermi per voi con tutta la mia vita.

Un’ultima parola: “continuamente rendo grazie per voi. Ricordandovi nelle mie preghiere” (Ef1,16). Con questa parola dell’Apostolo Paolo ai cristiani di Efeso, rendo noto a tutti voi il gesto che quotidianamente arricchisce e popola di una moltitudine di fratelli e sorelle, il mio stare davanti al Signore ‘ad intercedendum pro vobis omnibus”.
È questo ricordo costante al Signore per voi che autentica e dà forza al sentimento di gratitudine per ciascuno di voi che mi è accanto nella preghiera e nell’affetto in questo momento di invocazione di perdono pro innumerabilibus peccatis meis, e di lode e benedizione alla Trinità Santa per i doni tanti, inattesi, fecondi di questo lungo arco del mio servizio episcopale.
Siate benedetti dal Signore tutti. Un grazie fraterno all’Em.mo Card. Salvatore De Giorgi che appartiene e fa sentire viva la sua presenza in questa Chiesa di Lecce che è sua e nostra madre, un grazie a Mons. Francesco Cacucci, arcivescovo di Bari e Presidente della Conferenza Episcopale Pugliese, all’Ecc.mo Mons. Luigi Pezzuto, arcivescovo nunzio apostolico, a Mons. Donato Negro, arcivescovo di Otranto, a Mons. Domenico Caliandro, vescovo di Nardò-Gallipoli, a Mons. Settimio Todisco, arcivescovo emerito di Brindisi-Ostuni. È una gran bella fraternità la Conferenza Episcopale Pugliese. Ancor più a tutti voi, cari fratelli vescovi, il mio grazie.
Un grazie sentito a tutte le autorità qui convenute. Mi fate dono della vostra amicizia e del vostro desiderio di lavorare insieme per il bene del nostro popolo.
Grazie a tutti voi, popolo santo di Dio, qui convenuti da tutte le comunità parrocchiali, dai gruppi, movimenti. Forse esagerate nel donarmi vicinanza attenzione, affetto. Il Signore ve ne renda merito.
Ai seminaristi tutti, in particolare agli studenti di teologia, una parola particolare. Innanzitutto la gioia di sapervi in cammino in risposta a una chiamata. Chiedo al Signore per voi la luce e la forza dello Spirito per discernere, rispondere, amare. Pregate, lavorate, siate docili a coloro che, su mandato della Chiesa e del vescovo, sono i vostri educatori e accompagnatori nell’itinerario vocazionale. Il tempo del Seminario vivetelo come occasione unica e propizia per vivere nella serietà e nella fatica che mortifica l’umano e lo sfronda dell’inutile ai fini della scelta definitiva. Liberatevi dalla facile acquiescenza a modelli che non vi appartengono. Siate sinceri con il vostro vescovo ed esigenti con voi stessi. Lo sarò anch’io con voi. Educatevi all’amore vero che guarda a Cristo e ridimensiona sirene e proposte allettanti ma non autentiche.
Ai diaconi, ai religiosi, alle religiose, stima, affetto e gratitudine rinnovata. Insieme nella vigna del Signore per portare frutto.
A voi presbiteri ultimi ma primi per il gioco evangelico, la gioia di sapervi fratelli e amici in questa vigna resa feconda dal padrone della stessa che trovo disponibilità varie e generosità di impegni in noi vignaioli ormai di ruolo e dunque definitivi in questo servizio.
Grazie perché mi donate coraggio, entusiasmo, desiderio di non attardarci nelle piccole nostre pastoie per far emergere il proprium del nostro ministero: Sacerdoti misericordiosi e degni di fede per i rapporti con Dio.
Vi sono vicino, siatemi vicino.

La Vergine Santa Madre di Dio e Madre nostra, sia madre amorevole che domanda e ottiene per tutti noi, sì che la nostra Chiesa possa risplendere davanti agli occhi del Figlio suo come sposa santa e immacolata, senza macchia né ruga.
I Santi nostri Patroni siano per tutti noi un esercito di intercessori che bussa continuamente al cuore di Dio per ottenere le grazie necessarie alla nostra Chiesa.
Il Signore ci benedica, ci custodisca nella sua pace, ci renda testimoni veri del suo Vangelo. Amen.

Autore/Fonte: Mons. Domenico D’Ambrosio