Per amore del mio popolo…

Per amore del mio popolo…

Data: 15/03/2010

Per amore del mio popolo….

Perche’?

1. Con sicura e sincera attenzione al momento importante e critico che il nostro Paese sta attraversando, sento il bisogno di rivolgere la mia parola a tutti voi, fratelli e sorelle di questa Chiesa, ora affidata alle mie cure pastorali, e a quanti scelgono di mettersi al servizio della comunità proponendosi ai cittadini tutti come loro rappresentanti nelle istituzioni locali (regione, comuni….), Istituzioni preposte allo sviluppo delle comunità, e deputate a dare risposte concrete ai reali bisogni delle persone, alla promozione del bene comune, all’urgenza dell’educare in vista del traguardo di una società capace di attenzione e di impegno vero nella ricerca e nell’offerta di risposte valide alle reali e fondanti esigenze delle persona umana.

Come credente e pastore di una Chiesa incarnata e presente da sempre in questa nobile terra del Salento, posso affermare, guardando alla storia e all’impegno, che l’attenzione propositiva e critica della comunità cristiana non è mai venuta meno. Le sue strutture e i servizi vari che non difettano nella nostra realtà, risultano ancor più oggi come dei veri tributi alla delicatezza e fantasia della carità, alla intelligente partecipazione allo sviluppo della comunità, all’amore per la libertà e la verità.

Come credenti siamo chiamati da sempre ad essere gli instancabili testimoni e costruttori della nuova Gerusalemme, a fianco e in compagnia degli uomini e delle donne impegnati nella costruzione di città abitabili.

Come ricercatori del bene comune del terzo millennio, siamo convinti che questa ricerca si concretizza se impariamo a realizzarla insieme.

Sta qui il senso e la ragione di questo mio intervento che offro anche alla riflessione dei tanti che in queste settimane presentano alle nostre comunità il programma che li vuole vedere promotori e artefici di un modo nuovo di servire, di gestire la cosa pubblica e di far crescere la qualità della vita e il superamento di situazioni di squilibrio che spesso mortificano, deludono e in taluni casi esasperano le attese e i bisogni reali dei differenti strati sociali.

Il bene comune

2. Nel recente documento dei Vescovi italiani Per un Paese solidale Chiesa Italiana e Mezzogiorno, si legge: “Il nostro guardare al Paese, con particolare attenzione al Mezzogiorno, vuole essere espressione di quell’amore intelligente e solidale che sta alla base di uno sviluppo vero e giusto, in quanto tale condiviso da tutti, per tutti e alla portata di tutti” (n.2)

E’ indubbia la constatazione di un prevalere del paradigma egoistico. I Vescovi affermano che “il complesso panorama politico ed economico nazionale ed internazionale, aggravato da una crisi che non si lascia facilmente descrivere e circoscrivere, ha fatto crescere l’egoismo, individuale e corporativo, in tutta Italia, con il rischio di tagliare fuori il Mezzogiorno dai canali della ridistribuzione delle risorse, trasformandolo in un collettore di voti per disegni politico-economici estranei al suo sviluppo” (n.5).

Parole forse pesanti che domandano una profonda attenzione e riflessione laddove si guarda ai meccanismi alla base di strane clientele che coniugano interessi vari, spesso frutto di metodi estranei al bene della comunità, ma strategicamente efficaci al perseguimento degli obiettivi dei gruppi di potere e/o di pressione.

3. A questo stile che non di rado soprattutto nei metodi e nelle azioni della criminalità organizzata che ha conosciuto anche nel nostro territorio una stagione infausta che talvolta fa capolino ancora oggi, i cristiani sinceramente impegnati e dedicati alla ricerca del bene comune, sentono che è loro compito non rimanere estranei, indifferenti o ai margini. Nelle tante odierne agorà dove c’è il confronto rispettoso delle idee, la formazione dell’opinione pubblica e, di conseguenza, il traguardo del bene comune: il vasto mondo dei mass-media, la scuola, il mondo del lavoro, i sindacati, il mondo dell’economia e della finanza, le amministrazioni pubbliche ( comuni, province, regione parlamento ), c’è da essere presenti per ascoltare, dialogare, proporre, integrare.

La ricerca del bene comune va intesa “come esigenza di giustizia e di carità. Impegnarsi per il bene comune è prendersi cura, da una parte, e avvalersi, dall’altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale che in tal modo prende forma di polis, di città” (Caritas in veritate,7).

A noi credenti non è dato scegliere un atteggiamento di autosufficienza, di sicurezza a senso unico del nostro progetto, né siamo disposti ad accettare una qualche forma di discriminazione che ci costringa all’angolo. Laddove si fa cultura nel senso pieno del termine, laddove cioè si generano modelli di pensiero e stili di vita, sentiamo imperioso il dovere di esserci e di collaborare, nel confronto dialogico e aperto, con gli interessati al bene di tutti.

La dottrina sociale della Chiesa difatti è un ideale punto di incontro e di confronto non solo per noi cristiani. Quanti credono e perseguono il bene comune trovano in essa una serie di motivazioni consone e aperte agli uomini di buona volontà.

4. Il primato e l’attenzione costante al bene comune, motivano questa mia lunga riflessione offerta alla Chiesa che dal Buon Pastore mi è stata affidata, ma anche a tutti coloro che sono interessati allo sviluppo armonico e globale del nostro territorio, soprattutto nelle istituzioni deputate a servire, offrire, programmare, dare risposte concrete ai bisogni, alle attese, alle urgenze che reclamano soluzioni per tutti. Non ci si può attardare in scelte parziali che talvolta sembrano privilegiare chi sa pretendere utilizzando forme distorte di pressione, lasciando ai margini e inevasi i problemi più gravi di molti costretti a vivere nella povertà del silenzio non per scelta personale ma per emarginazioni e imposizioni di chi ha modi, tempi e voce forte per farsi ascoltare.

Mi rivolgo in particolare a quanti fanno professione di fede cristiana e hanno scelto una forma diretta di partecipazione alla vita politica chiedendo il consenso ai cittadini che attraverso le vie democratiche esprimono ed affidano la delega della rappresentatività.

Di sicuro avvertiamo una crisi di disaffezione nel rapporto tra le istituzioni pubbliche e la gente, tra le strutture di governo ( locale, regionale, nazionale) e la società viva. Già nel 1981 i Vescovi italiani in un documento, La Chiesa italiana e le prospettive del Paese, , documento che conserva ancora intatta la sua attualità, denunziavano: “La crisi delle istituzioni viene da lontano: è crisi di senso e di progetti,incapacità di dare prospettive, vuoto di cultura nel quale facilmente si inserisce il puro potere o addirittura il prepotere, comunque una burocrazia esasperante che paralizza i servizi sociali e che la gente non sopporta più (n.32).

Quali responsabilità?

5. A fronte di questa situazione la Chiesa e i cristiani impegnati nella politica, nel servizio alla polis, quali responsabilità devono assumersi e quali scelte privilegiare per superare il negativo e lo stallo di questa situazione?

• “C’è innanzitutto da assicurare presenza. L’assenteismo, il rifugio nel privato, la delega in bianco non sono leciti a nessuno, ma per i cristiani sono peccati di omissione” (La Chiesa italiana e le prospettive del Paese,33).

• Bisogna partire dal territorio, partecipi alla vita e ai problemi del comune, del quartiere ( scuola, servizi sociali e sanitari, assistenza, cultura….)aprendosi alla struttura regionale.

• E’ compito della Chiesa non confondersi con la realtà politica ma è suo dovere richiamare i cristiani a un impegno coerente nel servizio alla città, alla polis. Non spetta alla comunità cristiana operare scelte politiche, ma non le può essere estranea la formazione dei laici che, chiamati al servizio della comunità, sono impegnati alla coerenza con le fede e la morale cristiana.

• “La Chiesa in Italia continua a spendersi di fronte alle emergenze rappresentate dalla povertà, dalla disoccupazione e dalla emigrazione interna” (“Per un Paese solidale, Chiesa Italiana e Mezzogiorno, 9) e dalla numericamente significativa presenza di immigrati dai paesi europei ed extraeuropei.

• Non possiamo non porre una particolare attenzione ai giovani che soffrono più di tutti la piaga della disoccupazione e del loro non inserimento nel mondo del lavoro. Domandano attenzioni nuove per il loro pieno inserimento nella vita sociale. Non possiamo illuderli o deluderli. Le loro attese e le loro speranze possono richiamare coloro che fanno politica alla correttezza, all’onestà , alla difesa della vita e alla promozione del futuro.
Di fatto avvertiamo una accentuata loro disaffezione alla politica. Siamo chiamati a far comprendere che prendersi cura del bene altrui e proprio è compito alto. Con loro siamo chiamati a sconfiggere l’egoismo, l’ignoranza, il disinteresse, forse l’apatia che può essere stura agli strani fenomeni di bullismo e affini che recentemente mostrano una spia pericolosa anche nella nostra città di Lecce.

• In quanti, credenti e non, hanno o avranno responsabilità politiche e amministrative, non possono mancare alcune priorità di ordine etico: il disinteresse, la lealtà nei rapporti con gli altri, il rispetto della dignità degli altri, il rifiuto della calunnia e della menzogna come strumento di lotta contro gli avversari.

• Il servizio e l’azione politica miranti al bene e alla crescita della collettività, non possono ridursi a semplice gestione del potere. Il perseguimento e l’impegno per il bene comune devono avere o trovare sempre la forza e il coraggio di annullare ogni legame tra politica e affari

Conclusione o inizio ?

6. La lotta e l’impegno serio per rimuovere eventuali strutture sociali ingiuste non possono essere appannaggio esclusivo dei partiti. La società civile conserva intatta una sua funzione politica. Deve dunque farsi carico dei problemi che la travagliano elaborando progetti a favore di tutti, controllandone l’attuazione, denunciando eventuali disfunzioni, ritardi, manomissioni, inerzie ed esigendo “ con gli strumenti democratici messi a disposizione dei cittadini, che la mensa non sia apparecchiata per chi ha potere, ma per tutti” (Educare alla legalità,17).

Con sofferenza oggi si assiste a una sorta di imbarbarimento della lotta politica. Nelle ultime stagioni, questo modo sbagliato e diseducante non è in grado di far sua una costante nella vita del cristiano: la conversione, il cambiamento o almeno di tregua a stili corretti e sereni nel confronto tra le differenti visioni di questo servizio. Ancor più in queste ultime settimane la lotta si fa più aspra e i chiamati alla promozione del bene comune si trasformano in non buoni maestri.

I cristiani però, nello stile di sobrietà e nella convinta scelta del dialogo, senza ostentazione, dovranno impegnarsi a irradiare il dono della fede calandolo nella concreta testimonianza di una presenza che si fa servizio generoso, attento, gratuito, donato.

Se agli ultimi non è dato voce, saremo noi credenti, senza urlare, senza pretendere scorciatoie per il mantenimento o l’acquisizione di privilegi, a farci carico della loro emarginazione, a sostenere con la carità che si fa storia e accoglienza, i loro bisogni e le loro attese.

Quanti sono chiamati per delega o per scelta personale a servire nelle istituzioni ricordino, soprattutto chi ha ricevuto e professa il dono della fede, che c’è la possibilità del conforto e del confronto con la comunità dei credenti ma anche la chiara consapevolezza che non è la comunità a delegarlo. E’ una responsabilità personale che deve farsi animare e sorreggere da quella fede che irrora tutta la sua esistenza.

Con le parole del documento sul Mezzogiorno sopra citato, dico a tutti voi la parola di cui abbiamo bisogno in questo momento storico che presenta all’orizzonte paure e incertezze: Bisogna osare il coraggio della speranza!

“Ci rivolgiamo alle comunità ecclesiali italiane, affinché accrescano la coscienza condivisa della responsabilità di tutti nei confronti di ciascuno e di ciascuno nei confronti di tutti. Consapevoli che la pratica della solidarietà, lungi dall’impoverire, arricchisce e moltiplica, dobbiamo adoperarci perché chi è rimasto indietro si adegui al passo degli altri” (Per un paese solidale…, 19).

Il Signore benedica e accompagni ogni attesa e ogni impegno per il bene della comunità

Lecce 7 marzo 2010

Autore/Fonte: Mons. Domenico D’Ambrosio – Arcivescovo di Lecce