Come sotto l’ala di un uccello…

Come sotto l’ala di un uccello…

Data: 24/08/2010

Messaggio al termine della processione dei Santi Oronzo, Giusto e Fortunato Lecce 24 agosto 2010

1 Nell’inno che innalziamo in questi giorni al Patrono Sant’Oronzo, gli chiediamo che ci difenda anche oggi da ogni male come un giorno ha liberato e protetto i nostri padri da una mortale pestilenza.

E’ importante e significativo che il gesto di devozione che, nella fedeltà a una tradizione ormai secolare questa sera abbiamo rinnovato: la processione per le vie della nostra città dei simulacri dei Santi Patroni, venga compreso nel suo vero significato.

La processione

• Non è una passeggiata anche se santa, per i pochi intimi che circostanze e compiti particolari all’interno della comunità, urgono alla presenza;

• meno che mai può trasformarsi in una chiacchierata, infarcita e colorita dalle tante nuove che si possono raccontare tra amici;

• non è uno spettacolo a cui si assiste magari dai bordi delle strade per individuare i presenti e interrogarsi sulle ragioni degli assenti.

• Vuole essere la corale manifestazione di un gesto di fede con cui la comunità rinnova la sua adesione a Cristo che riconosce suo Signore, esultando nella preghiera fervorosa e nel canto di gioia e rendendo grazie all’Onnipotente che moltiplica per noi i Santi Intercessori e Protettori.

• E’ un gesto di devozione e gratitudine ai Santi Patroni per la protezione che da sempre non fanno mancare alla nostra comunità e che vogliamo invocare anche per l’oggi faticoso, incerto, a volte deludente, per attese inevase e forse anche per fiducie malriposte, che la nostra comunità sta vivendo. Sentiamo di dover far conoscere ai nostri Santi, anche se in Dio ben vedono la comunità a loro affidata con le sue esigenze, quello che è il necessario e l’indilazionabile, per l’oggi che viviamo.

Questa è la festa della comunità, è il ritrovarsi per un motivo che ci unisce: onorare, venerare, invocare in un clima di festa, i Santi a cui ci siamo affidati. E’ dunque anche un leggere alla luce del bene comune il tratto di strada che siamo riusciti a percorrere e il modo con cui insieme abbiamo affrontato questo percorso.

2 In modo pubblico e palese, con amore grande a questa mia città e al suo territorio – ormai sono e mi sento fortemente legato a questa mia terra – non posso non mettervi a parte, come Pastore di questa Chiesa, di alcune mie riflessioni che a voce alta e chiara risuonano in questa Piazza.

a. C’è un luogo che è alla periferia di questa nostra città ma non può rimanere alla periferia del nostro cuore e delle nostre attenzioni, se è vera la nostra conclamata e ribadita professione di impegno per il rispetto e la tutela della dignità di ogni uomo. Mi riferisco alla ‘casa circondariale’ di Borgo S. Nicola, un luogo da me frequentato e spesso visitato anche per tener fede a una promessa che ho fatto agli ospiti nella mattinata del giorno d’inizio del mio servizio episcopale in questa Chiesa il 4 luglio dello scorso anno.
Domani trascorrerò alcune ore della mattinata con questi infelici fratelli e sorelle, portando loro la mia parola e il mio ‘fresco ‘ augurio a nome dell’intera comunità.

Tutti sappiamo in quale stato di umano disagio – è un eufemismo – gli ospiti sono costretti a vivere. Mancano loro gli spazi vitali. Lo sappiamo : a fronte di una capienza di 659 unità, in realtà al sabato 21 agosto ne sono accolti in 1476. E se la soglia al limite del tollerabile può arrivare fino a 1100 unità in situazioni di emergenza, possiamo ben immaginare a quale disagio, e a quali difficoltà fisiche e psicologiche essi sono costretti. Né è da sottovalutare l’ulteriore aggravio provocato dal caldo afoso di queste settimane.

Alcuni di loro continuano a scrivermi e a raccontarmi la fatica materiale, i disagi, gli stati di angoscia, di depressione, le sofferenze per la solitudine in cui vivono, per scelte sbagliate, per la mancata o rarefatta presenza di quanti sono al centro dei loro affetti e delle loro speranze. Nel corso di questo anno, due hanno concluso tragicamente con il suicidio il dramma della loro esistenza. Per l’altro verso però devo confessarvi che è consolante per me sentirmi narrare gesti di amicizia sincera che non difettano in un luogo che, il giudizio di noi benpensanti, ritiene incapace di solidarietà concreta. In una lettera ricevuta recentemente leggo: ”cerco di confortare chi vede tutto negativo, cerco e dono vestiti a chi ne ha bisogno, cerco di rendermi utile a tutti”. E continua con una sincerità disarmante: “Mi rendo conto che compiere queste azioni mi viene fin troppo facile, e forse lo faccio perché mi fa star bene, inconsciamente sarà un modo per assolvermi. Comunque lo faccio.”

Molti mi chiedono preghiere e benedizioni soprattutto per i loro cari, aggiungendo che forse non meritano tanto, quasi che l’amore del Signore ha delle preferenze: ‘ figli e figliastri’.

Da questo luogo, da questa piazza, agli ospiti della casa circondariale in questo momento solenne, va il nostro saluto, il nostro pensiero, la nostra preghiera, il nostro affetto sincero che diventano l’opera buona di questi giorni di festa, chiamati come credenti all’adempimento di una delle sette opere di misericordia che nessun concilio o decreto della Chiesa ha abolito: ‘Visitare i carcerati’. Ma è soprattutto un ricordare alle istituzioni preposte che una tale situazione non trova giustificazioni nel contesto di un Paese moderno che ha sottoscritto la dichiarazione dei diritti umani.
Ora è ben giusta e doverosa, da parte mia, una parola di gratitudine al volontariato cattolico che non fa mancare la sua presenza in questo luogo di sofferta e faticosa riabilitazione: la comunità ‘speranza’, la Gifra, il volontariato vincenziano, per il costante, generoso e incoraggiante sostegno agli ospiti. Sanno esprimere in modo concreto e senza chiasso la fedeltà all’opera di misericordia poc’anzi ricordata.

Anche le parrocchie sono chiamate a continuare il loro impegno , assicurando assistenza morale e materiale ai detenuti e alle loro famiglie.

b. Ora un atto di amore per questa nostra città che sta presentando ai Santi Patroni le sue urgenze e i suoi bisogni.

Lo sguardo benevolo, l’invocazione di tutti noi è per questa nostra comunità, per questa nostra Lecce che necessita ancor più di essere amata, protetta, valorizzata con una cura attenta ad eliminare qualche ruga che incomincia a solcare il suo volto. E le rughe sono le urgenze e i bisogni costretti a stazionare per troppo tempo; sono le grandi opere belle o meno belle, funzionali secondo alcuni, non opportune secondo altri ma che appartengono alla comunità che vi ha messo molto del suo e che continuano a stazionare sui blocchi di partenza ma inspiegabilmente tarda ad arrivare lo starter per farle partire, e….mesi e… anni passano.

C’è una città che accoglie moltitudini di visitatori ma che non sempre riesce a dare il meglio che le appartiene. Non manca purtroppo un po’ di disordine e trasandatezza, Abituato a percorrere le strade e le piazze della città in solitario, nelle prime ore del mattino, devo scoprire la mancanza di senso civico, di attenzione al patrimonio artistico, di rispetto di luoghi significativi e Sacri scambiati e offesi dall’utilizzo che se ne fa e che rasenta l’indecenza. Avrei tanti episodi da raccontare e che, mio malgrado sono costretto a vedere dal mio posto di osservazione. Anche i bei sentimenti che chiedono riservatezza e non possono essere pubblicizzati, trovano nei portali e negli ingressi delle Chiese, a tutte le ore, il luogo delle effusioni di ogni tipo.

3 La nostra Chiesa nel Convegno diocesano del mese di settembre, raccoglierà le istanze e le urgenze della sfida educativa, problema da affrontare mettendo in essere in un confronto dialogico tutte le realtà coinvolte in questo spartiacque importante, perché emerga una comunità seria, matura, attenta e partecipe in prima persona alla realizzazione di una storia a misura di uomo.

In questo compito non possono essere assenti meno che mai latitanti le comunità parrocchiali, i gruppi ecclesiali, le istituzioni deputate al governo e al servizio della comunità. Non posso non ribadire alcune affermazioni del mio Messaggio per l’ora presente di qualche mese fa. Non è possibile la politica dello struzzo.

Proviamo a bloccare la crescente disaffezione tra le istituzioni pubbliche e la gente, tra le strutture di governo (locale, regionale, nazionale) e la società viva. Alcuni problemi urgenti (disoccupazione, giovani, precariato, famiglie giovani, casa…) non vengono affrontati con prontezza e decisione. I tempi lunghi delle consultazioni, dei vari riassetti, creano un vuoto di fiducia nel dialogo istituzioni – cittadini. Anche qui assistiamo all’attualità del detto di un famoso storico romano: dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur. Di certo è importante il dialogo, il confronto, lo studio dei problemi ma non si può esporre la comunità, a causa dei tempi lunghi delle consultazioni in vista di una ritrovata e più efficace unità per la realizzazione del programma, a mordere il freno dell’impazienza peggio ancora se l’impazienza si trasforma in indifferenza, assenza, sfiducia, apatia.

4 I Santi Patroni ottengano per tutti noi uno stile di servizio scevro da personali interessi, non frutto di ragioni o calcoli politici o di parte, ma segno di un amore gratuito e generoso, teso ad offrire un contributo intelligente e responsabile alla costruzione del bene comune e a dare risposte nuove alle istanze e alle attese della comunità.

I Santi Oronzo, Giusto e Fortunato continuino a guardare con occhio benevolo e con amore grande la città di Lecce e il Salento loro affidato, perché il bene comune venga da tutti cercato, gli egoismi eliminati, le divisioni non esasperate e la via del dialogo perseguita con maggiore convinzione, scevra da ogni furbizia e da ogni sottinteso, non adusa alla calunnia e alla menzogna, talvolta usati come strumenti di lotta contro gli avversari.

A loro, ai nostri Santi, vogliamo affidare una radicata convinzione: un cambiamento è possibile, la speranza può tornare ad abitare tra di noi. In fondo il compito dei cristiani, chiamati ad essere luce per il mondo, non è quello di negare le tenebre di questo particolare momento storico, ma è quello di intravvedere le luci dell’alba anche quando l’oscurità della notte è fitta.

Un nostro grande conterraneo, politico credente, lo ha riportato un quotidiano nei giorni scorsi, affermava di fronte alle rovine e allo sfascio della II guerra mondiale: ‘niente è finito….malgrado l’oscurità sconcertante di questa che pur sappiamo essere un’aurora”. Questo politico credente si chiamava Aldo Moro.

Il Signore ci benedica, ci custodisca, ci conceda pace.

Autore/Fonte: Mons. Domenico D’Ambrosio