“Andate, predicate”

“Andate, predicate”
 


Grazie per la vostra presenza, numerosa, significativa, perché guardandovi vedo più o meno tante comunità della diocesi qui presenti.
Vi sono grato e sono contento di questa giornata da condividere con voi. Questa mia riflessione vuole indicare lo spirito, gli obbiettivi che vogliamo perseguire insieme in questo anno di grazia per la nostra Chiesa.
Alcune cose che oggi dirò sono gia state ascoltate, ma ritengo sia fondamentale riascoltarle, sia per comprendere il tipo di annunzio che andiamo a fare, sia per riaffermare le motivazioni che sono alla base di questa scelta della nostra Chiesa che riscopre il suo compito e il suo impegno.
Questa parola di Gesù che ora ascolteremo è diretta non ad altri, a quelli di fuori, ma a quelli di dentro, perché vadano verso quelli che sono fuori.
Rileggerò, con alcune puntualizzazioni, due brani del Vangelo:
– Matteo 10,1-10 (il discorso missionario)
– Matteo 28,16-20 (la missione universale)

1. Il tema di questa riflessione ricalca quello che ora abbiamo ascoltato dal Vangelo di Matteo. Siamo chiamati ad andare e chi ci manda è Gesù, il Vivente e il Risorto. In fondo, pur essendo nel tempo di Natale, sappiamo che il Natale è gia annuncio della Pasqua. D’altronde se rileggiamo con una certa attenzione i primi due capitoli dei Vangeli di Matteo e di Luca, vediamo annunziata la Resurrezione, c’è tutto un contesto. Pensate alla mangiatoia che è annuncio del sepolcro, alle parole del vecchio Simeone, che indica in Cristo il “segno di contraddizione”.
Possiamo dire che proprio questo annunzio del Cristo risorto, ce lo ricorda Paolo nella Lettera ai Corinzi, è il fondamento e il senso della nostra fede: se Cristo non fosse risorto vana sarebbe la nostra fede e noi saremmo i più infelici tra gli uomini.
Mi viene da pensare a quella acclamazione con cui si conclude la professione di fede nella celebrazione del Battesimo e della Cresima: “questa è la nostra fede, questa è la fede della Chiesa e noi ci gloriamo di professarla in Cristo Gesù nostro Signore”. Questa è la nostra fede: che Gesù è il Vivente, che Gesù è risorto. Ma questa è anche la nostra speranza, è la speranza che illumina, sostiene la vita; e la testimonianza che come discepoli del Risorto siamo chiamati a donare.
Quale è l’obiettivo verso cui guardiamo e che da motivazione a questo anno? Cosa origina questo desiderio di ripercorrere alla luce della Parola del Signore nella fedeltà al cammino che la Chiesa italiana percorre ma anche nell’attenzione ai bisogni e alle esigenze che la nostra Chiesa manifesta?
Innanzitutto siamo chiamati, noi e gli altri: noi che saremo mandati e gli altri che ci accoglieranno. Siamo impegnati a ritrovare le ragioni vere e profonde della nostra fede: la fede di ieri, la fede di oggi, la fede che ha accompagnato e che sostiene questo nostro cammino e ci fa guardare con speranza e fiducia al nostro futuro, al futuro che è di Dio e che egli nella sua bontà ci darà da vivere.
Siamo chiamati a ritrovare le ragioni grandi perché oggi non possiamo più accontentarci di ciò che ci è stato ripetuto, di ciò che in qualche modo riesce a farci ancora camminare ma che con entusiasmi spenti ci danno l’impressione di una fede che è quasi un peso più che una gioia. Dobbiamo ritrovare la vivacità dei passi che siamo chiamati a mettere nell’itinerario che percorriamo per recuperare la novità di questa fede.
Dobbiamo necessariamente smettere di sentirci i destinatari unici di un dono che ci prende e che riesce a dare una motivazione a quello che personalmente facciamo o che viviamo all’interno delle nostre comunità, paghi di una facilità di comprensione di significati per quello che viviamo.
In fondo siamo da sempre insieme, in fondo la comunità è il luogo che in qualche modo mi garantisce la serenità e la sicurezza, mi dà tutte le necessarie difese per impedire che il mondo con tutte le sue diverse realtà possa incrinare questo stato di sicurezza che mi porto da sempre. Non può essere questo un modo per vivere nella fedeltà alla parola di Gesù il nostro essere suoi discepoli, il nostro essere redenti e salvati, il nostro sentire che al di la delle nostre realtà protette e sicure ci sono attese, ci sono bisogni, ci sono sofferenze di chi cerca Dio e non lo trova .
Mi viene da pensare al grande cercatore di Dio, il Beato Charles de Foucauld: cercava Dio in tutti i modi e non ha mai finito di cercarlo. Lo cercava già nella sua vita avventurosa, dissoluta, e quando lo ha trovato non si è fermato, non gli è bastato.
Tutte le sue esperienze miravano a questa intimità profonda con Colui che un giorno gli era stato direi quasi buttato in faccia, in modo violento da quel Sacerdote a cui lo aveva mandato una sua cugina, a Parigi, nella chiesa di s. Agostino, l’Abbé Juvelin. A lui si rivolge perché ha bisogno di essere aiutato a capire e questo Sacerdote gli dice: “inginocchiati e confesaati”. “Ma io non credo!” gli risponde Charles De Foucauld. . “Inginocchiati e confessati” è l’invito perentorio di quel Sacerdote.
Parte da questo momento l’inizio di una chiarezza che non sarà mai tale perché egli continuerà a cercare il Signore: a Nazareth, nella Trappa, e poi nel deserto, a Beni Abbes, e poi Tamanarasset.
I cercatori di Dio sono tanti anche oggi e noi siamo tra questi. Anche noi cerchiamo Dio, “il tuo volto, Signore, io cerco” dice il salmo 26. Lo abbiamo trovato, ma in realtà ancora lo cerchiamo e non saremo mai sazi dell’incontro con Lui. La nostra sete si estinguerà soltanto quando lo vedremo così come egli è , quando lo possederemo senza veli, quando finalmente sulla Santa Montagna si rivelerà in tutto il suo splendore.
Noi abbiamo questo dono senza alcun nostro merito. La frase del vangelo di Matteo che motiva la nostra chiamata, il mio invito a farci tutti annunziatori della Parola ci dice “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Il dono deve rimanere dono, non diventa mai mia proprietà, è sempre qualcosa da continuare a donare. Dobbiamo chiedere al Signore di rendere le nostre mani bucate, cosicché niente possa fermarsi, perché niente dobbiamo trattenere per noi. Poiché non è nostro possesso, non possiamo bloccare l’evento che genera vita, che genera salvezza che purifica e crea nuovi entusiasmi e apre nuove speranze.
Questo è il dono di Dio per noi e per coloro che lo cercano e che lo hanno in parte trovato, oppure sono sulla soglia in attesa di un aiuto che permetta loro il passo decisivo, perché entrino in quella casa dove possano condividere la pienezza del dono di vita che il Signore concede a tutti noi.

2. Tutto questo ci deve aiutare a recuperare questo bisogno di Dio per noi e per gli altri, il senso vero del nostro essere missionari. Dobbiamo riappropriarci della nostra dimensione missionaria, dobbiamo aiutare le nostre comunità perché si rinnovi e si ridesti l’impegno della testimonianza. Non c’è bisogno di andare sempre, di parlare di annunziare. C’è bisogno però di essere testimoni, perché il testimone diventa per sua natura missionario, genera attenzione, suscita desideri di riappropriarsi di questa vita nuova che dà a tutti noi la possibilità di essere veri, sereni, sinceri annunciatori del Dio che ci è stato donato.
E’ questo l’obiettivo principale che con questo anno missionario vogliamo perseguire. La chiesa è una realtà in cammino. Il verso del Vangelo, “andate in tutto il mondo”, ci ricorda che la nostra vocazione non può che essere il nomadismo. “Mio padre era un Arameo errante” dice la Scrittura e noi da questa storia traiamo origine. Voi sapete che i nomadi si muovono alla ricerca dei pascoli, hanno un abitazione precaria ed è facile per loro spostarla e stabilire la propria dimora altrove.

3. La Chiesa è una realtà in cammino, è una barca che solca i mari, questo ce lo conferma la storia, anche la nostra storia.
E’ mutato anche lo scenario della Chiesa non soltanto delle realtà esterne a noi, del contesto sociale e politico, economico e culturale.
Le nostre comunità non sono immuni da queste mutazioni. Ci viene dunque chiesto di ridisegnare il nostro essere cristiani Non possiamo chiuderci in una torre d’avorio che ci difenda da tutti gli influssi negativi o malefici che vengono dall’esterno.
Non siamo del mondo ma siamo nel mondo, e questo mondo ci fa sentire i suoi contraccolpi. Non dobbiamo percepirli sempre e soltanto come una minaccia alla nostra integrità, alla nostra serenità e alla nostra ortodossia .
Il mutato scenario ci impegna a ripetere il gesto che è all’inizio della nostra fede: l’Incarnazione. Il Signore Gesù continua, attraverso la Chiesa, attraverso di noi, a incarnarsi, a rendersi presenza viva laddove siamo chiamati a testimoniare, a portare avanti le nostre responsabilità.
Dovremmo essere capaci di rivisitare la storia delle nostre comunità, che sono diverse da quelle che erano 40 o 50 anni fa. Probabilmente c’è una lentezza ingiustificata nel nostro camminare insieme al mutare delle situazioni. A volte siamo rimasti al palo e quello che facciamo non è nella direzione giusta. Quando vediamo questa incapacità a comprendere i fenomeni nuovi, i cambiamenti sociali, ci poniamo sempre in atteggiamento difensivo, giochiamo sempre di rimessa. Oggi ci viene chiesto, se siamo fedeli alla Parola che è sempre profezia, dii guardare con spazi ampi, con orizzonti illimitati; se siamo fedeli alla Parola che va oltre la storia, che ci dona occhi che non accettano confini ristretti, che hanno bisogno di orizzonti ampi.
In fondo il profeta è colui che sa guardare oltre; non possiamo accontentarci degli occhi in letargo, abbiamo bisogno di occhi di lince, gli occhi del profeta. Il profeta non si sente menomato dagli attacchi, ma sa andare oltre, sa attaccare, non con la presunzione di possedere chissà quali doti o capacità, ma con la certezza di aver ricevuto una parola non sua, che ha il potere di giudicare la storia, di far nuove tutte le cose.
Non illudiamoci a proposito delle nostre comunità: cosi non possiamo andare avanti! Non possiamo rimanere attaccati a certe modalità del passato che diventano oggi incomprensibili. La Parola di Dio non soffre l’invecchiamento, perché noi invece la invecchiamo? I doni che il Signore ci consegna sono per l’uomo che vive, S. Ireneo ce lo ricorda: “La gloria di Dio è l’uomo che vive”. E allora perché riempiamo di cadaveri le nostre comunità? Noi siamo i figli del Risorto.
C’è questa novità che va perseguita, individuata e proposta con tutti i rischi che certamente il coraggio profetico può comportare. Ma c’è la Parola che ci salva, c’è la Chiesa che ci conferma e ci garantisce.
Pensate, qualcuno auspica un nuovo Concilio: non ce n’è bisogno, perché quello che abbiamo celebrato e vissuto 40 anni fa non è ancora entrato pienamente nella vita della Chiesa. Le istanze profetiche del Concilio sono tutte da vivere e da collocare nel centro della nostra vita ecclesiale. Penso alle grandi Costituzioni: Lumen gentium, Dei Verbum, Sacrosanctum Concilium, Gaudium et spes. Quanta profezia in questi documenti! Pensiamo a quanto ci dice la Gaudium et spes, a come oggi noi tocchiamo con mano quelle istanze profetiche che 40 anni fa sembravano un’utopia e sono in realtà la novità di questo mondo.
Non illudiamoci rimanendo legati a certe forme, a certe strutture, anche nelle nostre comunità, nelle nostre parrocchie. Dobbiamo finalmente rompere barriere e muri, dobbiamo uscire dall’idea che ci può bastare l’offerta dei Sacramenti, della liturgia, della catechesi per quelli che ce lo chiedono. Non so quando ci renderemo conto che è necessario un coraggio profetico. Spesso siamo impegnati a difendere ciò che non è essenziale e trascuriamo invece l’essenziale.
Guardiamo alle nostre realtà: quanta apatia! Quanta indifferenza nei confronti del fatto cristiano! Quanto si allarga quella sorta di relativismo! Ma anche quante novità nella società, nella famiglia, nei giovani! Sono le nostre ricchezze, ma mettono anche a nudo le nostre povertà, i nostri limiti. Che cosa ne è della famiglia? E’ un valore ancora? Guardiamoci attorno, siamo in una situazione che deve farci paura.
La definitività di un rapporto e la totalità di un impegno anche all’interno delle nostre comunità stanno diventando un optional.
Come annunciamo il vangelo della famiglia? I nostri giovani che spazio hanno? Come li incontriamo, come li accogliamo? Dobbiamo essere chiari con loro: se noi a volte non li ascoltiamo, anche loro non ci ascoltano. Se noi non li comprendiamo, è vero che spesso loro non ci comprendono. E’ necessario trovare occasioni di incontro, spazi di ascolto, spazi che attualmente sono ridotti. Forse anche i luoghi sono nuovi e ci fanno paura.

4. Ritorno al vangelo di Matteo: Gesù ci manda, ci invita ad andare” . “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque…”. Quale grande missione! Predicare che il Regno dei cieli è vicino, è qui tra noi. La predicazione più convincente è la vita in cui la Parola si fa carne, si rende visibile, concretamente sperimentabile.
Gesù consegna a noi quello che è soltanto suo: solo lui può guarire, liberare dai peccati, risuscitare i morti. Crediamo a queste parole di Gesù? Risuscitare i morti, tutti i morti, soprattutto coloro che non hanno più speranza, che hanno rinunziato alla vita perché hanno scelto strumenti di morte, quali la violenza, l’odio, la rapina.
Sono i suoi poteri che ci appartengono, sono talmente grandi che Egli li può donare con abbondanza e li consegna a noi, che siamo la sua Chiesa, perché attraverso tale dono, tutti veniamo legati a Lui, tutti rinasciamo in Lui.
“Andate” ci dice il Risorto. Solitamente lui chiama, ci invita a venire a Lui, “Venite e vedrete”, “Seguitemi”.
Gesù dice agli Apostoli: “Andate”. E’ un movimento che inizia a partire dal Risorto. “Non siete più con me”: bisogna lasciare il Risorto per accettare di rappresentarlo presso gli altri e di incontrarlo nei tempi e nei modi che Egli stabilirà. E’il momento della separazione: “andate, arricchiti dei miei poteri. Ciò che mi è stato dato ora lo consegno a voi”.
“Fate discepole tutte le nazioni”: nessuno è escluso dall’incontro con il Risorto. La Resurrezione ha ricreato il mondo, lo ha liberato dalla cappa di piombo del peccato. Tutta la creazione è diventata nuova e questa novità è per tutti. Non c’è più un popolo separato, ma tutto il mondo diventa destinatario della parola di salvezza.
Questo compito è affidato agli Undici, agli Apostoli: all’interno della comunità ecclesiale ci sono compiti di particolare responsabilità che non sono per tutti, ma per coloro che il Signore sceglie. Questo non vuol dire che qualcuno è escluso dalla condivisione della corresponsabilità di annunziare il Vangelo. Ecco la Chiesa, con compiti e ministeri diversi, ma in essa tutti siamo responsabili dell’avvento del Regno di Dio. Tutte le genti sono chiamate a farne parte, così come il giudizio sarà per tutti, senza distinzione di razza o di condizione sociale. L’universalismo dell’annuncio parte dalla Resurrezione.

5. Il compito dei ‘mandati’ è quello di far conoscere a tutti la proposta di Gesù, far sapere a tutti che c’è una proposta di vita che rigenera, che risuscita.
Sappiamo quale è il momento che sigilla e autentica il nostro compito di annunciatori: è il Battesimo, questo Sacramento che ci situa nel popolo profetico, Sacerdotale e regale. Per cui il compito dell’annunzio è di ogni battezzato, di ogni discepolo, in quell’articolazione di compiti e responsabilità che non la Chiesa ma Cristo ha voluto.
Una decentralizzazione dell’annuncio missionario è necessaria, appartiene alla volontà di Cristo Gesù, e a nessuno è concesso ostacolare o bloccare questo dinamismo intrinseco alla missione della Chiesa.
Questo è il compito grande che vogliamo perseguire insieme nella nostra Chiesa. Questa scelta scaturisce dal desiderio di una fedeltà a un mandato che il Signore ci ha affidato. Siamo una Chiesa adulta, una Chiesa matura che non è chiamata a deleghe. Siamo una Chiesa che, con tutto il cammino che il Concilio ci ha fatto fare e che con il Sinodo abbiamo fatto nostro, è uscita, ma nello stesso tempo deve ancora uscire, dallo stato di minorità. In fondo questo mandato che voi ricevete oggi deve farvi fare l’esperienza di una maturità di fede che va spesa nella disponibilità a diventare non maestri, ma testimoni di una fede che dà entusiasmo, serenità e gioia alla nostra vita e che voi volete condividere e donare agli altri.
Dobbiamo fare come Maria, come vi ho detto il 29 novembre scorso a Siponto, in occasione della solenne apertura di questo anno missionario. Maria, “risorta”, si mette in viaggio. C’è in lei, nel suo grembo, la vita nuova. Non è una vita qualsiasi, è la vita del Figlio di Dio, il solo che può dare la vera vita. “Maria comprende e agisce”, vi dicevo. “Il Vangelo ci dice che, alzatasi, risorta, in fretta compie il viaggio. L’adesione alla volontà di Dio, l’obbedienza alla sua voce, non devono compiersi con rimandi e tentativi di interpretazioni umane, ma con gioia e decisione. Chi segue la sua voce ed è ripieno del suo spirito cammina con cuore gioioso e con animo aperto anche per strade faticose e impervie come le nostre”. Forse noi, pur raggiunti dalla Parola, abbiamo atteso troppo. Ci siamo lasciati prendere eccessivamente dalle nostre analisi e dai nostri programmi pastorali, non riflettendo a sufficienza che non dobbiamo frapporre indugi al Vangelo da annunziare e portare con coraggio e passione”. Poi aggiungevo: “A voi, laici in particolare, compete questo annunzio”.

Ancora una volta dico il mio grazie a voi che vi siete resi disponibili. Mi auguro che la vostra disponibilità sarà più piena nonostante, e lo capisco, i vostri impegni, i vostri compiti, i vostri problemi. Mi auguro anche che aumenti il numero di coloro che si rendono disponibili a essere inviati fuori dalla propria parrocchia, altrimenti il discorso fatto finora perde il suo valore e la sua novità. Comprendo i problemi e le resistenze, ma sono convinto che cammin facendo molte cose cambieranno e l’entusiasmo dei pochi diventerà la gioia di tutta la comunità.
Grazie.

(il testo è una trascrizione delle registrazione)

 


05/01/2006 Meditazione per il Ritiro dei missionari – Manfredonia, 5 gennaio 2006

Documenti allegati: Ritiro missionari 5 gennaio 2006.pdf
Pubblicazione TESTI E DISCORSI DI MONS. DOMENICO D’AMBROSIO