L’incontro dell’Arcivescovo D’Ambrosio con il Papa emerito Benedetto XVI

L’incontro dell’Arcivescovo D’Ambrosio con il Papa emerito Benedetto XVI

 “Un colloquio tra padre e figlio. Bello, autentico, significativo”. “Per più di mezz’ora la sua mano posata sulla mia”. Il dono di Papa Ratzinger: l’opera omnia “Gesù di Nazaret”.

 

“Alle 12,30 mi è venuto incontro il Santo Padre camminando verso di me a piccoli passi, vestito di bianco e con il suo bastoncino in mano”.  

 

“Il suo Pontificato è stato piuttosto travagliato e penso che abbai sofferto per le tante letture distorte che ci sono state”.  

 

Il 25 febbraio scorso l’Arcivescovo D’ambrosio si è recato in Vaticano per incontrare il Papa emeritoBenedetto XVI sentendosi un po’ protagonista del racconto anonimo “Resoconto sincero di un pellegrino al suo padre spirituale”.

DEDICA

Al termine del colloquio il gradito dono di una copia del “Gesù di Nazareth”, la sua opera letteraria più prestigiosa, l’edizione in elegante cofanetto. Ma il regalo più prezioso era impresso sulla prima pagina del testo, la dedica autografa: “A S.E. Mons. Domenico Umberto D’Ambrosio per i 25 anni di Episcopato e i 50 di Sacerdozio”.  

 

Eccellenza, cosa ha fatto matu­rare in lei l’idea di chiedere un incontro con Benedetto XVI?

Da tempo mi portavo dentro il desiderio di poter incontrare il Papa emerito. L’occasione propizia sono stati i miei due anniversari: il 25° di Episcopato e il 50° di Sacerdozio. Fiducioso in un positivo riscontro a questo mio desiderio, ho scritto una lettera personale al Santo Padre Be­nedetto. Nutrivo la segreta certezza che sarei stato esaudito. La scorsa estate durante la settimana con i sa­cerdoti giovani siamo stati in pelle­grinaggio al Santuario Mariano di Altötting in Baviera. Da lì abbiamo inviato a Papa Benedetto una cartoli­na di ricordi e preghiere con le nostre firme, accompagnata da una mia let­tera. Pochi giorni dopo mi è arrivata una sua lettera di risposta nella quale mi ricordava minuziosamente alcuni particolari della sua visita a San Gio­vanni Rotondo nel giugno del 2009.

 

Dopo poco più di un mese dalla mia missiva, con un fax Mons. Georg Ganswein, Prefetto della Casa Ponti­ficia e Segretario Particolare, mi an­nunziava che il Papa emerito mi avreb­be ricevuto mercoledì 25 febbraio alle 12.30 per una breve udienza. Mi sono recato con lo spirito di chi ha ricevuto un dono immenso nel vedermi accolto dalla sua tenerezza, semplicità e dispo­nibilità, colpito dalla sua memoria di ferro nel ricordare alcuni particolari del mio servizio episcopale ‘itinerante’. Rammentava persino il devastante incendio che divampò sette anni fa sul Gargano, le cui fiamme distrussero gran parte dei boschi e coinvolse migliaia di persone con alcune vittime nella mia Peschici, circa 4500 persone che si rifugiarono sulle spiagge fra Peschici e Vieste. Il Papa mi ha chiesto se ebbi a soffrire anch’io per quella tragedia e non ho potuto che assentire facendo notare che si trattava di un paese dell’allora mia Diocesi, nonché del mio paese na­tale.  

Può dirci qualcosa sulle condi­zioni di salute del Papa emerito?

In primo luogo vive davvero una sorta di clausura che osserva rigoro­samente nel Monastero “Mater Ec­clesiae”, fatto edificare da Giovanni Paolo II all’interno dei Giardini Va­ticani, precisamente alle spalle del Governatorato, lungo il percorso che porta alla Radio Vaticana. Un edificio fatto costruire dal Santo Pontefice per avere nel cuore del cattolicesimo una comunità orante a beneficio di tutta la Chiesa. Papa Benedetto dopo la rinuncia, lo ha scelto per sé, per accompagnare con la sua preghiera il cammino della Chiesa. Appena giunto ho notato subito l’immenso silenzio. Alle 12,30 mi è venuto incontro il San­to Padre camminando verso di me a piccoli passi, vestito di bianco e con il suo bastoncino in mano. Aveva un aspetto piuttosto dimesso e, quasi a ri­prova della sua forte scelta, indossava la semplice talare bianca, con l’anello conciliare al dito, lo zucchetto ed una croce pettorale molto semplice.

 

Mi ha invitato ad accomodarmi accanto a lui nel salottino”. Dopo esserci seduti egli ha posto la sua mano sulla mia per tut­ta la durata del colloquio, circa 35 mi­nuti. In quel momento ho avvertito la tenerezza di un padre che accoglie un figlio. È lucidissimo, credo stia abba­stanza bene con il peso dei suoi anni, un pochino invecchiato ma con una buona e chiara memoria che supplisce tutto. Mi ha anche detto: “Lei ha due palli?” e gli ho risposto di sì spiegan­do che uno era da Arcivescovo Metro­polita di Foggia e l’altro per l’attuale Metropolìa di Lecce e con sua sorpresa gli ho confessato: “Santità, un pallio l’ho indossato anche nella Diocesi di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Ro­tondo per un indulto di Giovanni Pao­lo II”. In sintesi posso dire che è stato un incontro spiritualmente ricco tra un uomo di Dio e un altro che sempre più si sforza di esserlo.

Che tipo di riflessioni anche di tipo spirituale ha scambiato con Benedetto XVI?

Abbiamo parlato quasi sempre di me e del mio ministero. L’ho reso par­tecipe delle prospettive future ed egli mi ha fatto dono di tante belle indi­cazioni ma soprattutto tanto incorag­giamento, tanto plauso, immeritato, per il mio cammino episcopale, le mie peregrinazioni ed ancora una volta mi ha ringraziato per l’obbedienza alla quarta chiamata. 

I precedenti incontri che ebbe con codesto Pontefice sono sta­ti, per così dire, più istituzionali rispetto a questo che può sem­brare più fraterno?

Questo è stato l’incontro più bel­lo, più autentico e significativo. Un colloquio tra padre e figlio in cui i loro cuori si accostano senza inciam­po e si scambiano i momenti belli del vissuto di entrambi. Altre occasioni furono le Visite ad Limina dove a dif­ferenza delle tre con Giovanni Paolo II durante le quali ero quasi preoc­cupato ed emozionato, poiché faceva domande a raffica e voleva sapere tutto sulla Diocesi, con Benedetto da subito mi sono sentito a mio agio. In molte occasioni, anche in dialogo sullo stato della Diocesi di Manfre­donia.

 

Ricordo l’intera giornata del­la visita di Papa Benedetto XVI a S. Giovanni Rotondo il 21 giugno 2009, pochi giorni prima che io venissi a Lecce, pregammo insieme sulla tomba di Padre Pio e parlammo con grande semplicità Anche in quella occasione mi si rivelò autentico uomo di Dio più di quanto potessi immaginare. Argo­mento principale del nostro incontro è stato Padre Pio. Mi premeva recarmi ora da Benedetto anche perché sentivo il bisogno di riferirgli alcune cose inerenti il mio rapporto con Padre Pio. Abbia­mo parlato anche del mio peregrinare episcopale e della mia venuta a Lecce: “Santità, avevo un debito con Padre Pio. Avendolo estinto potevo rimetter­mi in cammino verso Lecce”. 

Secondo lei, quali sono stati i punti caratterizzanti del Pontifi­cato di Benedetto?

Personalmente credo che egli ab­bia proseguito sulla linea dell’apertu­ra, della ricchezza, la profondità del magistero di Giovanni Paolo II ma con quella sua particolare ‘competen­za’ che gli ha permesso di presentare il Mistero come autentico mistagogo. Infatti, ho sempre detto che Benedetto XVI faceva parlare la Parola ovvero la rendeva qualcosa di vivo attraverso le sue dotte omelie e le sue profonde encicliche, cercando di portare avan­ti, attraverso garanzie e sicurezze, la grande apertura del suo predecessore Giovanni Paolo II. D’altronde, di quest’ultimo, per circa 20 anni fu stret­to e fidato collaboratore nella dottrina e nel magistero per cui certamente non poteva che irradiare quella sicurezza teologica che solo un teologo del suo calibro era in grado di offrire. 

Ha fatto per caso cenno alle sue visite qui in Puglia?

Non abbiamo parlato del suo pas­saggio in Puglia ma piuttosto della Diocesi di Lecce, poiché mi ha chiesto espresse notizie. Ho riferito: “Siamo una Diocesi di circa 300mila abitanti e abbiamo 20 teologi” ed egli ne è stato molto sorpreso. “Certo la Puglia è in controtendenza rispetto al panorama italiano perché ha un fiorire di vocazio­ni che sono la nostra ricchezza. Grazie soprattutto ai Seminari minori presenti in quasi tutte le Diocesi e al Seminario teologico regionale che è il fiore all’oc­chiello dell’Episcopato pugliese”.

 

Lui ha insistito indicandomi alcune atten­zioni verso i preti esortandomi a sentirli davvero come miei fratelli; d’altronde questo per me è un impegno che ho as­sunto sul letto di morte di mia madre. Ho parlato del laicato riferendo che è adulto, maturo, proveniente da una sta­gione sinodale celebrata da Mons. Ruppi, quindi un laicato pronto e disponi­bile che ormai può sfidare e vincere i nostri timori. Alla fine timidamente gli ho consegnato la lettera che ho scritto ai Sacerdoti per il mio 25° di Episcopa­to. Ed egli ha commentato: “La legge­rò certamente”. 

Il mondo resta molto colpito dalla sua straordinaria capacità di essere in comunione con un Papa assai diverso…

Credo ci sia un bel dialogo fra i due ma credo soprattutto che Papa Benedetto si sia posto in obbedienza, come disse il giorno della rinuncia, di Papa Francesco.

 

È inutile e fuorviante fare altre letture poiché egli è davvero in piena e totale sintonia con l’attuale Pontefice.  

Ci conferma l’umiltà di Benedet­to?

Sono convinto che sia già santo e prima o poi il suo nome entrerà nella fulgida schiera dei Santi. Il suo Pon­tificato è stato piuttosto travagliato e penso che abbia sofferto per le tante letture distorte che ci sono state.

 

Ha saputo annientarsi e così, ha realizzato la piena imitazione di Cristo che an­nientò se stesso.

Pagine a cura di Christian Tarantino

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