L’Arcivescovo chiude la Visita Pastorale

L’Arcivescovo chiude la Visita Pastorale

“Ora ci attende un’altra sfida: la Comunione”

Mons. D’Ambrosio traccia un primo bilancio del lungo tour durato tre anni.

“In una Parrocchia ho goduto nel vedere come la comunità ha accolto un extracomunitario. Gli hanno affidato la cura della chiesa, i Sacerdoti la mattina lo trovano in ginocchio a pregare”. 

Eccellenza, ormai ha portato a con­clusione l’impor­tante evento della Visita Pastorale: le comunità l’hanno accol­ta con tanta gioia ed entu­siasmo e, in particolare, con autentica comunione spirituale. Può ritenersi soddisfatto degli impe­gnativi incontri con le di­verse realtà della Chiesa diocesana di Lecce?

Il lungo tour, che per tre anni mi ha visto pellegrino nel­le Parrocchie, mi ha reso più che soddisfatto. Sono contento soprattutto per l’impegno che le singole parrocchie hanno profuso nella preparazione e poi per la simpatia, la dispo­nibilità e la comunione mani­festate, oltre che per il coinvol­gimento di tante realtà. Il tutto è andato ben al di là di quanto mi aspettassi, in special modo per l’accoglienza con cui sono stato ricevuto. Quando ripen­so ai tanti momenti vissuti in questa esperienza, ho il vivo ricordo delle emozioni forti che essi hanno suscitato in me, tanto da chiedermi chi mai fos­si io per meritarmi tutte quel­le dimostrazioni di affetto così spontanee e non artefatte. Ma, in fondo, io rappresento Lui, il Buon Pastore e la comunione tra il Vescovo e la gente è un ri­flesso di questa dimensione. Mi ha molto rallegrato anche la vicinanza non solo del nostro “cerchio”, ma anche delle re­altà non proprio parrocchiali. Penso in particolare alle istitu­zioni locali e alle scuole. Negli istituti scolastici l’accoglienza è stata emozionante e ho potuto constatare di persona con sod­disfazione il coinvolgimento e la stima di cui godono i docenti di religione e questo mi ha fatto conoscere ancora di più questa presenza laicale così qualifica­ta.

Qual è la sua prima, im­mediata, lettura della si­tuazione pastorale delle comunità parrocchiali all’inizio del terzo millen­nio?

Abbiamo di fronte una re­altà di Chiesa molto bella, molto ricca, molto organizza­ta, però in coscienza, se devo essere servitore della verità, credo che la grande ricchezza che proviene dalla bellissima stagione che questa diocesi ha vissuto nel Sinodo diocesano, non è ancora entrata nel tessu­to vitale delle nostre comunità. Questo è un interrogativo e un obiettivo che porrò anche nel­le prossime conclusioni della visita pastorale che farò perve­nire alle Parrocchie. La nostra lontananza dalle indicazioni del Sinodo è un aspetto che mi preoccupa molto.

 Clero, religiosi, laici… Qua­li mete pastorali ora ha in mente?

Se c’è una meta che ci at­tende è l’obiettivo per la comu­nione, la corresponsabilità, la condivisione, il metterci insie­me. Cioè l’ ‘uscire’ dal piccolo guscio dei confini parrocchiali e impostare una pastorale di comunione. Io ritengo che su questo ci si dovrà misurare, e non poco, nei prossimi anni della storia della Chiesa. Sia­mo ancora un po’ refrattari, ma anche un po’ impreparati, forse non adeguatamente pro­fetici nel guardare in avanti, nell’accogliere le sfide che la situazione di oggi pone alla no­stra Chiesa. C’è una pastorale di comunione che va assolu­tamente privilegiata e poi c’è una dimensione missionaria nella quale dobbiamo metterci in cammino. Proprio secondo il costante richiamo di Papa Francesco. Ritengo che ancora non abbiamo percepito l’urgen­za di questa novità, di questa cammino, di questo andare…

Può ricordare un episodio che ha lasciato profonda traccia nel suo animo?

Ce ne sono tanti, per cui fac­cio fatica a citarne qualcuno… In una parrocchia ho goduto nel vedere come la comunità ha accolto un extracomunita­rio. Un cattolico che ha dovuto lasciare la sua terra d’origine proprio perché cattolico, che si è visto bruciare un paio di volte l’esercizio che aveva ed è dovu­to fuggire, lasciando famiglia e figli e che ha trovato qui da noi una comunità che gli ha volu­to bene dal primo momento. È bello considerare che egli è la testimonianza vera della carità della parrocchia. Praticamente, gli hanno affidato la cura della chiesa e i Sacerdoti mi hanno ri­ferito che la mattina lo trovano in ginocchio a pregare. Ma di esempi ce ne sono tantissimi, soprattutto per quanto riguarda gli incontri con gli ammalati. Per esempio, ho ricevuto tante bellissime testimonianze da al­cune badanti che vengono dai Paesi dell’Est… Quanta delica­tezza, quanto amore c’è in loro. Certo, hanno trovato risposta ai loro drammi e alla loro po­vertà, ma noi abbiamo trovato delle persone che sanno amare, che sanno curare e riescono in qualche modo a farsi carico della debolezza e della fragilità di tanti nostri ammalati o anziani.

La Chiesa di Lecce s’impe­gna sempre più nel servi­zio e nella testimonianza della carità riguardo ad alcune periferie esisten­ziali: sta maturando nella comunità l’attenzione al territorio e la disponibilità al volontariato?

L’impegno della carità è il fiore all’occhiello nella nostra Chiesa, e di questo ringrazio il Signore. Ma questa attenzione parte da lontano, è un’espe­rienza che voi leccesi avete già vissuto durante la grande acco­glienza degli immigrati dall’Al­bania e dai Paesi dell’Est. Una pagina meravigliosa della storia di questa nostra Chiesa che, vicende lette e interpretate male, hanno poi oscurato. Tut­to quello slancio di carità che la nostra Chiesa ha prodotto in quegli anni – io lo so perché me lo raccontante – è una pa­gina straordinaria che niente e nessuno potrà mai mettere in soffitta o oscurare. Ho trovato un terreno pronto, i solchi or­mai erano dissodati, per cui ho potuto verificare concretamente che ogni qualvolta ho lanciato un’iniziativa che va verso le ‘periferie’, ho sempre riscon­trato una grande disponibilità: oggi vedo il moltiplicarsi del­le mense, la casa della carità, il microcredito e il progetto di reinserimento dei detenuti. C’è una risposta del volontariato, direi, immensa e molti giova­ni studenti spesso mi chiedono come fare per prestare un po’ del loro tempo alle mense.

Cosa si attende dal prossi­mo Sinodo dei giovani?

Mi attendo di conoscere ve­ramente i nostri giovani, di co­gliere la loro ricchezza, le loro attese, le loro provocazioni. Mi aspetto che la nostra Chiesa riceva una scrollata che le per­metta effettivamente di mettersi in ascolto delle loro esigenze. Se c’è un vuoto nelle nostre comunità riguarda proprio i giovani: non ce ne sono… sono pochissimi. Dal Sinodo mi at­tendo che riprendano il loro po­sto nelle nostre comunità. Spero che le comunità superino la ten­tazione di rinchiudere i giovani nei nostri confini. I nostri con­fini non sono gli stessi dei vani e quindi va impostata una pastorale giovanile che li vada a cercare e che le proposte di cammino nascano nei luoghi in cui essi trascorrono la loro vita.

La Visita le ha consentito di inserirsi maggiormente tra la gente proprio in que­sto momento socialmente difficile: c’è un messaggio particolare che vuole rivol­gere ai responsabili salen­tini della cosa pubblica?

Alle periferie esistenziali non deve andare solo la Chie­sa. Anche le istituzioni devono sentirsi coinvolte e responsabili per la presenza delle povertà e delle miserie che chiamano in prima battuta proprio l’isti­tuzione civile, tenuta ad avere a cuore una vita dignitosa per ogni uomo. Esse stanno lavo­rando tanto, ma sono convinto che stiamo vivendo un momen­to in cui non occorre pensare a mega progetti, quasi tutti irrealizzabili. Bisogna, invece, garantire il pane quotidiano e questo è il primo compito di chi viene chiamato a dare dignità all’uomo. Ritengo che su que­sto versante anche le istituzio­ni lamentino povertà di mezzi e alcune oggettive impossibili­tà… Ma è anche vero che esse sono pure tentate di pensare: “tanto c’è la Chiesa, ci sono i cristiani che certamente non lasceranno inascoltate le do­mande che arrivano”. Alle isti­tuzioni chiediamo di darci una mano, perché d’ora in avanti anche noi avremo grossi pro­blemi nel far fronte alle tante domande. Non verrà meno il nostro impegno, la nostra ca­rità, il nostro servizio, ma da soli non ce la possiamo fare.

Dalla conclusione della Visita Pastorale al suo prossimo venticinquesi­mo anniversario di Episcopato, c’è un motivo particolare per cui vuole ringraziare il Signore?

Devo esprimere viva gra­titudine a Dio perché ha avuto tanta pazienza con me. Per il mio 25°, sono due i sentimenti che avverto nel cuore: il primo è la richiesta di perdono per i miei limiti e le mie debolezze. Il secondo è il rendimento di grazie: “Signore, ti ringrazio perché mi hai dato come ultimo dono del mio ministero questa stupenda Chiesa, che mi ha saputo accogliere e alla quale cerco di dare tutto me stesso. Esprimo profonda ricono­scenza perché mi avete accol­to senza difficoltà, senza fare distinzioni, senza andare alla scoperta di chissà che cosa. Mi avete accolto così come sono e avete reso bello e impegnativo il mio servizio tra di voi.

 

MOVIMENTO D’AMORE/UNA CHIESA “SIMPATICA” E CHE “VEDE” L’UOMO COME IL BUON SAMARITANO 

Quando il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: “Chi accoglie voi accoglie me” accese una luce; svelò il mistero che era nel suo cuore: la sua presenza di grazia, nella storia, attraverso la Chiesa, guidata dagli apostoli. I suoi infatti, miste­riosamente, sono coinvolti nella sua passio­ne per l’uomo. Misteriosamente perché la fragilità è di casa nella loro vita, come nella nostra. Col dono dello Spirito Santo Gesù li coinvolge e li manda: “Andate in tutto il mondo”. E da qui l’avventura che li vede servi della Parola di luce, pellegrini di spe­ranza, resi forti dall’unico pane spezzato. E gli apostoli, nei loro successori, continuano il loro cammino di luce attraverso le varie espressioni del loro servizio alla Chiesa e al mondo e tra queste esperienze vi è la Visita Pastorale.

Solo il Signore sa ciò che è accaduto in questi anni nella nostra Chiesa di Lecce con la Visita Pastorale del nostro Vescovo Domenico. La grazia, infatti, non si può ve­rificare. È mistero nascosto che penetra nel profondo dei cuori dove agisce lo Spirito. Si potrebbe dire, azzardando, che è avvenu­ta una particolare visita del Signore, come quella di Maria ad Elisabetta. Gli agenti infatti, allora come oggi, sono stati Cristo e il suo Spirito, portati dall’Apostolo alla nostra comunità diocesana antica, un po’ usurata dal tempo, ma con il seno gravido di speranza e di vita, preoccupata e un po’ appesantita dagli anni e dunque bisognosa di cure.

Come Giovanni ha “sussultato di gioia” così le nostre comunità parrocchiali hanno gioito per la persona del Vescovo, ma soprattutto per il suo ministero di Apo­stolo, portatore della grazia, della vicinanza di Cristo. Gli occhi di tutti hanno incrociato i suoi e la luce dello Spirito ha determinato bisogno di cambiamento.

La luce di Cristo è passata attraverso gli occhi di fede del Pastore Domenico facendo riscoprire il gusto dell’appartenenza alla Chiesa di Gesù Cristo e il bisogno di illumi­nare “chi giace nelle tenebre”. Le sue mani hanno stretto le nostre, in segno di amicizia e di comunione rinnovata e da qui la carez­za ai bambini, agli ammalati, ai giovani, agli anziani, alle famiglie, ai lavoratori, ai senza lavoro. È stato un messaggio di vicinanza del Signore al nostro cammino di comunione. L’attenzione del Pastore verso tutti è stata presa di coscienza per noi, di dover essere Chiesa in cammino verso l’uo­mo, chiunque esso sia, con il carico dei suoi problemi, di gioie, di speranza e di dolore, bisognoso di essere accompagnato nella sua avventura. Uno stile di evangelizzazione che invita tutti noi ad andare, come insiste Papa Francesco, ad incontrare e servire Cristo nell’uomo.

Il Vescovo ha rilanciato uno stile di Chiesa che “vede” l’uomo, come il buon samarita­no. Si avvicina, gli porge la mano, lo cura versando sulle ferite olio e vino, dandogli il cuore: “ne ebbe compassione”. Ha dato gio­ia e simpatia invitandoci, con il suo esem­pio, ad essere Chiesa meno di Quaresima e più di Pasqua, una Chiesa gioiosa per il dono della Parola, del Pane di vita, del dono dell’unità, carica dei problemi dell’uomo. E questa stessa Chiesa ha sperimentato meraviglia per questa Visita: “A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?”. Una meraviglia che è sfociata nella presa di coscienza di essere amata, pur nella sua “vecchiaia” e di essere resa capace di generare ancora figli di Dio.

Questa Visita Pastorale dell’Arcivescovo Domenico ha offerto allora, una maggiore consapevolezza di essere Chiesa: una Chie­sa che “vede”; una Chiesa che camminando verso l’uomo si accorge del suo bisogno, diventando sempre più buon samaritano. “Va’ e anche tu fa’ lo stesso”; una Chiesa luminosa per la gioia dell’incontro, attra­verso la persona del Vescovo, con Colui che si è definito “luce del mondo”; una chiesa “simpatica” perché il suo Pastore ha preso su di sé la sua “passio” è l’ha redenta; una chiesa non statica, ma una chiesa dal cuore grande e in movimento d’amore, dove tutti possano riposare sentendosi accolti e amati.

Pierino Liquori (Vicario Generale)

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