Catechesi del Vescovo ai Giovani nella Cripta della Cattedrale – Lecce

Catechesi del Vescovo ai Giovani nella Cripta della Cattedrale – Lecce

Data: 19/02/2010

Dagli scritti di Charles De Foucauld P. Charles a Bèni-Abbès

1. Ecco come fr. Charles esamina la sua vita a Béni-Abbés. Egli si domanda: «In che modo fare l’elemosina meglio che per il passato?» e risponde: «Facendola come la faceva Gesù, in un’imitazione più fedele del Modello Divino. Preoccupandosi meno di dare denaro e dando di più quello che dava Gesù: la nostra fraterna tenerezza il nostro tempo, la nostra pena». Ancora si domanda: «In che modo praticare l’eguaglianza e la fraternità con gli indigeni?» e risponde: «Lasciandoli avvicinare a me, parlarmi, soprattutto non impiegando i soldati per allontanarli da me, non avendo paura di dedicare loro il mio tempo; anziché evitare le loro lunghe conversazioni, desiderarle, ma spostarle sempre verso Dio: riuscire a guidare io queste chiacchierate, distaccarle dalla terra e farle sempre salire alle cose spirituali. Non temere il contatto degli indigeni, né quello dei loro vestiti, coperte, ecc… Non avere paura né della loro sporcizia né delle loro pulci… Vivere insieme agli indigeni con la familiarità che aveva Gesù verso i suoi apostoli, i quali erano simili ad essi… Soprattutto, vedere sempre Gesù in loro e, di conseguenza, trattarli non soltanto con senso di eguaglianza e di fraternità, ma anche con l’umiltà, col rispetto, con l’amore, con la dedizione comandate da questa fede».

2. Ci vorrebbero molti buoni preti, non per predicare (li accoglierebbero come nei villaggi bretoni accoglierebbero dei turchi che andassero a predicare Maometto, e anche peggio), ma per prendere contatto, farsi amare, ispirare stima, fiducia, amicizia, rendere possibile un avvicinamento, dissodare la terra prima di seminare.

L’amore

3. L’amore consiste non nel sentire che si ama, ma nel voler amare; quando si vuol amare, si ama; quando si vuol amare sopra ogni cosa, si ama sopra ogni cosa. Se accade che si soccomba a una tentazione, è perché l’amore è troppo debole, non perché esso non c’è: bisogna piangere, come san Pietro, pentirsi, come san Pietro, umiliarsi, come lui, ma sempre come lui dire tre volte: «Io ti amo, io ti amo, tu sai che malgrado le mie debolezze e i miei peccati io ti amo». L’amore che Gesù ha per noi, egli ce l’ha dimostrato abbastanza perché noi possiamo crederci senza sentirlo; sentire che noi l’amiamo e ch’egli ci ama, sarebbe il paradiso; il paradiso, salvo rari momenti e rare eccezioni, non è per quaggiù. Narriamoci spesso la duplice storia delle grazie che Dio ci ha fatto personalmente dopo la nostra nascita, e delle nostre infedeltà; vi troveremo – soprattutto noi che abbiamo vissuto per molto tempo lontani da Dio – le prove più sicure e più commoventi del suo amore per noi, come anche, purtroppo, le prove sì numerose della nostra miseria. C’è motivo per immergerci in una fiducia senza limiti del suo amore (egli ci ama perché è buono, non perché noi siamo buoni, le madri non amano forse i loro figli traviati?) e motivo per sprofondarci nell’umiltà e nella diffidenza verso di noi.

A Tamanrasset

4. Il 1 dicembre 1916, il giorno della sua morte, fr. Charles scrive: Cancellarci, annullarci, ecco il mezzo più potente che possediamo per unirci a Gesù e far del bene alle anime; san Giovanni della Croce lo ripete ad ogni riga. Quando si vuol soffrire e amare, si può molto, si può molto, si può il massimo che si possa al mondo. Si sente che si soffre; non sempre si sente che si ama ed è una grande sofferenza in più; ma si sa che si vorrebbe amare e voler amare significa amare. Si trova che non si ama abbastanza ed è verissimo: ma si amerà abbastanza; ma il Signore, che sa con che fango ci ha impastati e che ci ama più di quanto una madre possa amare il suo figliuolo, ci ha detto, Lui che non mente, che non avrebbe respinto chi a Lui venisse. Lo stesso giorno scrive anche all’amico Luigi Massignon che è al fronte: Non bisogna mai esitare a domandare i posti dove maggiori siano pericolo, Sacrificio, possibilità di dedizione: lasciamo l’onore a chi lo vuole, ma rischio e pena reclamiamoli sempre. Come cristiani siamo tenuti a dare l’esempio del Sacrificio e della dedizione. È un principio al quale bisogna essere fedeli sempre, con semplicità, senza domandarci se in una simile condotta s’insinui l’orgoglio. È il nostro dovere; quindi compiamolo e preghiamo il nostro Diletto, lo Sposo della nostra anima, che ci conceda di compierlo in totale umiltà e con pienezza d’amore per Dio e per il prossimo.

Nazareth

5. Mi chiederete qual è la mia vita. È la vita di un monaco missionario fondata su tre principi: Imitazione della vita nascosta di Gesù a Nazareth. Adorazione del Santissimo Sacramento esposto. Residenza tra i popoli infedeli più trascurati da tutti, facendo tutto il possibile in vista della loro conversione. Vita d’austerità uguale a quella della Trappa, ma molto più dura per la sua maggiore povertà e perché il clima è duro e snervante e l’alimentazione ben diversa da quella europea, né si può pensare ad introdurre qui quella dei nostri paesi perché ciò sarebbe un lusso costoso. Si deve vivere di ciò che la regione offre: grano, datteri e latticini. Come vesti ed abitazione non troverete che quanto v’è di più povero e di più rustico, nulla che assomigli alle tonache curate e ai conventi di Francia, ma qualcosa di molto simile probabilmente a ciò che dovettero essere il vestito e l’umile casa di Gesù di Nazareth. Avrete una vita diversa da quella della Trappa in questo che, benché tutto vi si faccia secondo un orario e nella più stretta ubbidienza, non vi esistono quelle piccole prescrizioni esteriori la cui minuzia è una caratteristica della Trappa; si tratta di una semplicissima vita di famiglia. Diversa, anche perché non avrete alcun ufficio cantato, né altra preghiera vocale all’infuori del breviario, ma molta orazione e adorazione, molta preghiera o lettura silenziosa ai piedi dell’altare. Sono e sono sempre stato solo da dieci anni. Se Dio m concederà ora dei Fratelli da convertire, dividersi per la salvezza delle anime in piccoli gruppi di tre o quattro, moltiplicando tali gruppi al massimo; ciò riuscirà più efficace per la salvezza delle anime che la fondazione di monasteri con maggior numero di frati… Vedo questi distaccamenti, questi romitaggi di tre o quattro monaci missionari, come delle avanguardie, votate a preparare la via per cedere il posto agli altri religiosi organizzati e al clero secolare, quando il terreno sarà stato dissodato.

Deserto

6. Bisogna passare attraverso il deserto e dimorarvi, per ricevere la grazia di Dio; è là che ci si svuota, che si scaccia da noi tutto ciò che non è Dio e che si svuota completamente questa piccola casa della nostra anima per lasciare tutto il posto a Dio solo… Gli ebrei passarono per il deserto; Mosé ci visse prima di ricevere la sua missione; san Paolo, uscito da Damasco, andò a passare tre anni in Arabia; anche il vostro patrono san Girolamo e san Giovanni Crisostomo si prepararono nel deserto… E indispensabile. E un tempo di grazia. E un periodo attraverso il quale ogni anima che vuol portare frutti deve necessariamente passare. Le sono necessari questo silenzio, questo raccoglimento, quest’oblio di tutto il creato in mezzo ai quali Dio pone in essa il suo regno e forma in essa lo spirito interiore… La vita intima con Dio… La conversazione dell’anima con Dio nella fede, nella speranza e nella carità… Più tardi, l’anima produrrà frutti esattamente nella misura in cui si sarà formato in essa l’uomo interiore.

7. Sono sempre solo; ora, anzi, non ho più nemmeno un chierico per la messa: il giovane negro che me la serviva non è più con me. Qualche giorno dopo la sua partenza il Buon Dio mi ha mandato un mio vecchio e buon amico, un orientalista che è venuto qui per studiare la lingua tuareg e che per questo rimarrà con me cinque o sei mesi. Grazie alla sua presenza posso celebrare la santa messa. Gesù è buono e mi colma di grazie nonostante la mia miseria. Mi abbandono a Lui per questo e per tutto. L’unica cosa che mi manca, lo sento, è la mia conversione. Preghi per me, padre amatissimo, affinché io sia finalmente ciò che devo essere, affinché mi decida a corrispondere a tante grazie ed incomincia ad amare Gesù. Alla fine di ottobre saranno vent’anni che lei mi ha ricondotto a Gesù, vent’anni che è mio padre. Quante grazie ottenute da Dio in questo tempo e quanti benedici ricevuti da lei! Ed io rimango miserabile, insignificante, indolente e freddo! Preghi per il suo figliolo, che prega pure fervorosamente per lei e che si mette ai suoi piedi chiedendole di benedirlo…

La Parola

8. La mia vita si divide tra la preghiera (Messa, breviario recitato ad alta voce perché anche il mio povero corpo lodi il Signore per quel che può; orazione; meditazione del Santo Vangelo, ordinariamente per iscritto; Via Crucis; alcune preghiere vocali, rosario, letture; teologia), lavoro manuale (innanzitutto la Sacrestia e poi il giardino); quindi (il che porta via parecchio tempo) ricevo i visitatori, ai quali do orzo e datteri nella misura che mi riesce possibile)… Ecco come si divide la mia giornata: levata alle tre, preghiera fino alle otto (Messa al levar del sole); dalle otto alle dieci lavoro manuale; dalle dieci a mezzogiorno e mezzo preghiera, lettura, pranzo. Da mezzogiorno e mezzo alle sedici e trenta lavoro manuale; dalle sedici e trenta alle venti preghiera; dalle venti alle ventitre riposo; dalle ventitre all’una preghiera; dall’una alle tre riposo.

9. I1 Signore adopera, per parlare al Padre, alcune parole della Scrittura. Facciamo lo stesso: preghiamo spesso Iddio con le parole della Scrittura. Serviamoci di queste parole infinitamente sante, parole dello Spirito Santo, e adoperiamole per le nostre preghiere d’una certa lunghezza, come facevano gli antichi ebrei, La tomba del Beato Charles a Tamanrasset come fa la sposa di Cristo, la santa Chiesa. Serviamocene anche nelle nostre giaculatorie, come fa qui il Signore. In molti altri passi egli ci dà lo stesso esempio, per meglio inculcarcelo e per insegnarci che quella era in lui un’abitudine e che di conseguenza deve diventare un’abitudine anche per noi. E non soltanto egli si serve delle parole della Scrittura per esprimere i gridi della sua anima, ma se ne serve nei momenti più solenni, durante le tentazioni nel deserto e sulla croce: queste parole d’un salmo sono le ultime parole che dice prima di morire. Dobbiamo seguirlo, quest’esempio ch’egli ci dà in modo tanto inequivocabile. D’altra parte non è forse evidente che le parole della Scrittura ispirata da Dio valgono più delle parole nostre, e che a Dio non possiamo offrire nulla di più gradito, dopo il corpo di suo Figlio, che le parole che il suo cuore ha effuso dal cielo sulla terra, le parole giunte a noi dalle sue stesse labbra?

10. Vedermi alla sera di questa vita così miserabile, dopo aver prodotto così pochi frutti, come il chicco di grano che non muore. È la solitudine che cresce. Ci si sente sempre più soli al mondo. Gli uni sono partiti per la loro patria, gli altri vivono la loro vita sempre più lontano dalla nostra. Ci si sente come l’oliva rimasta sola attaccata al ramo, dimenticata dopo la raccolta.

Autore/Fonte: Mons. Domenico D’Ambrosio