ADORO TE DEVOTE … PIE PELLICANE

ADORO TE DEVOTE … PIE PELLICANE
Lettera ai Presbiteri per il Giovedì Santo 2009


Cari miei fratelli presbiteri,

 

1.  mi convinco sempre più che l’annuale Giovedì Santo nelle sue due espressioni celebrative: Messa del Crisma e Messa in Coena Domini, è un momento importante e fortemente evocativo di quel dono grande con il quale il Signore Gesù ci fa dono esclusivo e privilegiato: la partecipazione al suo Sacerdozio.

 

Perciò, come ormai è tradizione, ho da riprendere un dialogo intimo e profondo con ciascuno di voi per ripensare, rivedere, correggere, motivare, nella gratitudine e nella invocazione, alla incommensurabile portata della nostra vocazione e del nostro ministero.

 

Occorre allora riandare alle origini, al momento nel quale intenti allo svolgersi della storia della nostra vita, distratti e occupati nelle mille cose che frastagliano la nostra esistenza, Lui, il Cristo, è passato, ci ha guardati, ci ha amati, ci ha scelti, ci ha invitati a seguirlo.

 

Da quel momento alla nostra vita abbiamo impresso un ordine nuovo, ci siamo convertiti e al centro di essa non più noi, non più il mondo e la storia con le molteplicità e diversità di proposte e promesse. Il centro è diventato Cristo Signore e il prosieguo del nostro cammino riesce a definirsi soltanto come ricerca e sequela di Gesù: “dimenticando ciò che mi sta di fronte, corro verso la meta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù” (Fil 3, 13-14).

 

Da discepoli seguiamo il Cristo laddove egli ci conduce, chiamati come siamo a proclamare le Parola (il Vangelo), a porre i gesti (i Sacramenti), a stabilire quelle relazioni (la comunione ecclesiale) che diano agli uomini, fratelli da amare e servire, la possibilità “di ascoltare Gesù, di ‘toccare’ la carne di Gesù, di far parte della comunità di Gesù” (Mons. Monari).

 

C’è un luogo simbolo per noi presbiteri, amici di Gesù, nel quale egli ci conduce per metterci a parte dei suoi segreti e stabilire una forte alleanza che, costituendoci col segno Sacramentale Sacerdoti del Dio Altissimo, realizza una particolare e speciale conformità al Sommo Sacerdote della nuova ed eterna alleanza.

 

Questo luogo è una sala grande e arredata al piano superiore dove egli mangia la Pasqua, fortemente desiderata: “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi” (Lc 22, 14), con i suoi discepoli, ora più che mai suoi amici.

 

Parte dal Cenacolo il senso vero della nostra vita di presbiteri e della nostra missione.

 

“Accanto alla parola dobbiamo collocare subito l’Eucaristia e il Sacramento della penitenza. L’eucaristia contiene tutto per il discepolo: la sua memoria (tutte le parole di Gesù e tutte le sue opere; la sua sofferenza e la sua morte; la sua obbedienza al Padre e il suo amore per gli uomini); la sua speranza (che la sua vita e la vita del mondo – il pane e il vino – possano diventare corpo di Cristo e quindi assumere la forma dell’amore oblativo), il suo impegno (il dono di se stesso nell’amore fraterno, secondo la volontà del Padre), la relazione con il corpo ecclesiale (“siamo un corpo solo, noi tutti che partecipiamo dell’unico pane”: 1Cor 10). Se può rimanere viva la consapevolezza che abbiamo richiamato sopra (che Cristo ‘ci ama’), questo dipende soprattutto dall’eucaristia: (“ È il mio corpo per voi…  è il mio sangue dell’alleanza per voi…”). Dall’Eucaristia il discepolo assume la forma stessa della sua vita: è l’amore di Cristo per noi, infatti, che accolto nella fede produce una risposta corrispondente: “amatevi gli uni gli altri (sic) come io vi ho amato” (Gv 13, 34); dunque l’amore ricevuto nel’eucaristia diventa amore fraterno.[1][1]

 

2.         Questo dono, questo Sacramento p posto nelle nostre mani.

 

Non possiamo non fare nostra la testimonianza del Servo di Dio Giovanni Paolo II su questo ‘admirabile Sacramentum’: “Da oltre mezzo secolo, ogni giorno, da quel 2 novembre 1946 in cui celebrai la mia prima Messa nella cripta di S. Leonardo nella Cattedrale del Wawel a Cracovia, i miei occhi si sono raccolti sull’ostia e sul calice in cui il tempo e la grazia si sono in qualche modo ‘contratti’ e il dramma del Golgota si è ripresentato al vivo, svelando la sua misteriosa ‘contemporaneità’. Ogni giorno la mia fede ha potuto riconoscere nel pane e nel vino conSacrati il divino Viandante che un giorno si mise a fianco dei due discepoli di Emmaus per aprire loro gli occhi alla luce e il cuore alla speranza”.[2][2]

 

Lo scorso anno nella lettera che vi ho inviato, prendendo spunto dai quaranta anni della morte di S. Pio, che già dal titolo, mutuato da S. Pio “Sacerdote Santo e Vittima perfetta”, ci ha richiamati al senso oblativo del nostro ministero.

 

Le parole di Gesù: “fate questo in memoria di me” ci impegnano per una memoria che dal rito va alla vita.

 

Non siamo, l’ho scritto e detto in molte occasioni, bravi attori o interessati spettatori: siamo chiamati a celebrare l’evento dell’amore col dono e l’offerta della nostra vita ogni giorno.

 

“Nell’umile segno del pane e del vino, transustanziati nel suo Corpo e nel suo Sangue, Cristo cammina con noi, quale nostra forza e nostro viatico, e ci rende per tutti testimoni di speranza”.[3][3]

 

L’Eucaristia è posta nelle nostre mani. Compito grande, inenarrabile, ineffabile. Che cosa renderemo al Signore per questo dono?

 

Il primo atteggiamento, ce lo ricorda Giovanni Paolo II, da assumere è quello della gratitudine, chiamati e invitati a “sentimenti di grande e grato stupore”. “Questo stupore deve invadere sempre la Chiesa… ma in modo speciale deve accompagnare il ministero dell’Eucaristia”.[4][4]

 

Siamo chiamati a una “premurosa attenzione al Mistero eucaristico”.

 

Via le sciatterie, le improvvisazioni, le deleghe nel trattare e nel toccare il santo mistero.

 

A noi presbiteri la responsabilità di custodire e salvaguardare la preziosità e unicità di questo dono.

 

Non possiamo renderci complici di abusi che in molti casi oscurano la retta fede e immiseriscono la ricchezza del dono.

 

Non possiamo relegare a una sorta di cenerentola o a un debito che non possiamo estinguere con la tradizione, il culto all’Eucaristia fuori della Messa, valore insostituibile per e nella vita della Chiesa: “È bello intrattenersi con Lui e, chinati sul suo petto come il discepolo prediletto, essere toccati dall’amore infinito del suo cuore. Se il cristianesimo deve distinguersi nel nostro tempo, soprattutto per l’arte della preghiera, come non sentire un rinnovato bisogno di trattenersi a lungo, in spirituale conversazione, in adorazione silenziosa, in atteggiamento di amore, davanti a Cristo presente nel Santissimo Sacramento?”[5][5]

 

3. Fratelli miei carissimi, la molteplicità degli impegni e delle esigenze del servizio pastorale, forse ha relegato a ritagli di tempo o ad occasionali celebrazioni tradizionali, il nostro stare alla presenza di Cristo Signore per essere suoi adoratori.

 

Lo stare alla presenza del mirabile Sacramento per adorare, contemplare, ascoltare, riparare talvolta ci fa mordere i freni.

 

Abbiamo fretta per altro, altri e dunque bisogna correre. Incombe su di noi il pericolo della dispersione, costretti a dividerci in compiti diversi.

 

Dimentichiamo che “l’Eucaristia è un tesoro inestimabile: non solo il celebrarla, ma anche il sostare davanti ad essa fuori della Messa consente di attingere alla sorgente stessa della grazia”[6][6]

 

4. Un’ultima parola sul ministero della consolazione verso i nostri fratelli e sorelle impossibilitati a causa dell’età avanzata e di particolari sofferenze fisiche a partecipare alla vita eucaristica della comunità.

 

La Chiesa, madre premurosa, per non privarli del dono dell’Eucaristia, a fronte, a volte, della impossibilità materiale di noi Sacerdoti di poter accedere alle loro case o ai luoghi in cui vivono per recare loro il dono del Pane di Vita, ha provveduto all’istituzione dei ministri straordinari della Comunione.

 

Questa attenzione però non può tollerare l’esproprio a cui molte volte ci condanniamo da soli, della cura e dell’assistenza spirituale a chi vive situazioni di fragilità e di debolezza fisica. Gesù ci ricorda che visitando l’ammalato, visitiamo Lui.

 

Anche questo secondo rischio non è assente da noi. Primariamente il ministero della consolazione è tra i compiti dai quali non possiamo liberarci con l’esercizio della delega ai laici per una strana affermazione che serpeggia tra noi quasi forma autogiustificativa di una assenza che non può lasciarci tranquilli.

 

Nel decreto sui ministri straordinari accluso a questa mia lettera ricordo l’impegno e la cura per la formazione di questi nostri fratelli e sorelle che fanno avvertire ai malati e agli anziani, con la loro presenza, non solo la ricchezza del grande dono che portano ma anche la vicinanza dell’intera comunità che si prende cura di loro.

 

Accanto a questo impegno non possiamo dimenticare quanto sicuro e garantito deve essere il decoro, il rispetto per il ‘mirabile Sacramento’.

 

Si tratta di un ‘ministero stra-ordinario’. Non ci è dato di trasformarlo in ordinario.

 

È bene recuperare fino in fondo il senso della devozione e della venerazione all’Eucaristia.

 

La Chiesa l’ha consegnata a noi Sacerdoti. Rimanga nelle nostre mani con grato stupore e sommo onore.

 

“Se di fronte a questo ministero la ragione sperimenta i suoi limiti, il cuore illuminato dalla grazia dello Spirito Santo intuisce bene come atteggiarsi, inabissandosi nell’adorazione e in un amore senza limiti”[7][7]

 

Bando dunque alla ordinarietà di un segno straordinariamente grande.

 

Via da noi pressapochismi ingiustificati. Torni l’Eucaristia nella ricchezza dei suoi segni che nascondono agli occhi umani l’abisso della santità di Dio.

 

I tanti abusi sono motivo di sofferenza per tanti di noi, per tanti nostri fedeli.

 

5. Faccio mie, a conclusione di queste riflessioni le parole di Giovanni Paolo II nella più volte citata lettera Enciclica ‘Ecclesia de Eucharistia’:

 

“Sento perciò il dovere di fare un caldo appello perché nella celebrazione eucaristica le norme liturgiche siano osservate con grande fedeltà. Esse sono un’espressione concreta dell’autentica ecclesialità dell’Eucaristia; questo è il loro senso più profondo. La Liturgia non è mai proprietà privata di qualcuno, né del celebrante né della comunità nella quale si celebrano i misteri … A nessuno è concesso di sottovalutate il Mistero affidato alle nostre mani: esso è troppo grande perché qualcuno possa permettersi di trattarlo con arbitrio personale, che non ne rispetterebbe il carattere Sacro e la dimensione ecclesiale”[8][8].

 

Con amore e devozione grande nell’Eucaristia, vi ho offerto alcune mie riflessioni con alcune sofferte osservazioni.

 

Da questa mia lettera non manca il rispetto e la gratitudine verso ciascuno di voi per la grandezza del servizio e la generosità della disponibilità nel vostro ministero.

 

Continuiamo ad amare questa nostra Chiesa, santa e immacolata. È la madre vergine che vi ha generati alla fede e al Sacerdozio.

 

Serviamola con dedizione usque ad finem.

 

Come Gesù anch’io vi dico più che mai: rimanete nel mio amore.

 

Manfredonia 9 aprile 2009, Giovedì Santo

 

 

 

 


 

 

[9][1]               L. Monari, La vita e il ministero del presbitero, in Atti della 56a assemblea Generale della CEI, Roma 2006, p. 97.

 

[10][2]            G. Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, 59.

 

[11][3]            Ecclesia de Eucharistia, 62

 

[12][4]            Ivi, 5

 

[13][5]            Ecclesia de Eucharistia, 25

 

[14][6]            Ivi, 25

 

[15][7]            Ivi, n. 62

 

[16][8]            Ivi, n. 52

 


09/04/2009 S.E.R. Mons. Domenico Umberto D’Ambrosio